Pubblicato il 16 novembre 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Quanti negozi sfitti ci sono nei centri storici delle città?
A Rimini ci sono serrande chiuse perfino lungo il regno dello struscio, il centralissimo
Corso d'Augusto, che da quando finisce la stagione è sempre pieno di
gente, pure troppa. In tutte le vie circostanti però il passeggio non
è mai eccessivo, anzi.
La domanda allora è quasi banale: una città come Rimini ha bisogno
di un nuovo mega centro commerciale?
Non è che sia a priori contro queste strutture annichilenti, e prima
di criticare la viabilità che ne conseguirà aspettiamo di vedere
se terranno le pezze con cui l'amministrazione sta cercando di rattoppare la
logica di un super Iper voluto nel mezzo di una zona già al limite della
sopportazione umana quanto a traffico. Il pessimismo è lecito.
Il punto è un altro. Oliature e opportunismi di bottega a parte (ma con
questo forse ho detto tutto), chiediamoci un paio di cose:
1) Per quale motivo si costruisce un Iper?
2) La nascita degli Iper aiuta lo sviluppo di una sana concorrenza commerciale?
Alla prima domanda si può rispondere in vari modi.
RISPOSTA A
I consumi sono molto elevati, la città non riesce a soddisfare tutti
ed ecco che la concorrenza spinge alla nascita di nuove attività profittevoli.
Se questa fosse l'esigenza sociale, cosa ci fanno tutti quei di vani commerciali
sfitti nel centro storico, compresi edifici interi non utilizzati da anni?
RISPOSTA B
Gli affitti commerciali in città sono troppo cari, i commercianti protestano
e chiedono l'apertura di nuove aree in cui trasferirsi in cui accentrare la
vita commerciale della comunità.
In questo caso però, prima procedere alla realizzazione di un mega iper
molto ingombrante, un'amministrazione decente dovrebbe operarsi per far si che
la città venga pienamente utilizzata, per esempio penalizzando fortemente
i proprietari che non utilizzano propri locali, limitando tra l'altro una fonte
di rendita, sempre negativa per l'economia, e dando respiro ad un'attività
commerciale. E poi un negozio in un Iper avrà veramente dei costi di
gestione più bassi?
Un lettore, un commerciante a cui avevano tempo sottoposto un contratto di affitto,
mi ha girato l'offerta che gli era stata fatta per occupare una spazio nel centro
"Le Befane", in galleria:
" Superficie di circa 60 mq. - solo generi vari od attività artigianali.
" Canone del 7% sull'incasso con un minimo di affitto di 35.000 €
+ 80 €/mq. annuali per spese promozionali pubblicitarie collettive + spese
generali "condominiali" (luce, condizionamento, acqua, vigilanza,
eccetera).
" Arredamento, dai pavimenti ai controsoffitti, impiantistica, eccetera
tutto a carico del futuro gestore.
Con questi canoni facendo una proiezione di fatturato cosa bisogna incassare,
ma soprattutto vendere (quali prodotti/servizi), per stare a galla?
Continuava il lettore, "non si tratta neanche di locazione commerciale,
ma di contratto di affitto aziendale. In pratica se dopo 5 anni decidono di
buttarti fuori è abbastanza semplice".
Passiamo alla seconda domanda.
Pur da liberista quale sono, ho molti dubbi sul contributo che gli iper possono
dare alla concorrenza, perlomeno in alcuni settori.
Voglio dire: creiamo le condizioni di vera concorrenza sul mercato, lasciando
che ogni piccolo negozio cittadino sia libero di aprire dove vuole e di fare
gli orari che vuole, in un mercato immobiliare purgato dalle rendite, e poi
vediamo cosa succede.
I grandi agglomerati commerciali sono oramai comprensibili e, sottolineo, giustamente
inevitabili per certi beni come gli elettrodomestici, il cui acquisto all'interno
di una famiglia avviene una volta ogni 5/10 anni, od anche i cinema. Ma gli
alimentari per esempio?
Come mai nel regno del consumismo e degli iper, nell'america liberista, continuano
ad esistere tanti piccoli negozi di alimentari al fianco dei mega store? Perché
sono liberi di fare quello che voglio, offrono un servizio diverso, e la gestione
è stata lasciata agli immigrati, che praticamente vivono in piccoli negozietti
che oltre alla verdura hanno pure alcuni farmaci da banco, le sigarette, i biglietti
della lotteria, i giornali. E a mezzanotte sono ancora aperti.
Perché poi non si sfruttano le potenzialità che già ci
sono.
C'è un supermercato Coop nel pieno centro di Rimini, con un parcheggio
economico a fianco decisamente sotto-utilizzato. Perché non si è
investito scavando l'ex area Scarpetti, non per fare le fondamenta dell'ennesimo
condominio, ma per triplicare quel parcheggio, a pochi minuti di cammino da
Piazza Cavour?
Lo stesso commerciante citato sopra mi scrisse un mesetto fa:
"Ti faccio un accenno ai contratti che le aziende sono costrette a subire
per posizionare i propri prodotti nel supermercato, con l'esempio di un'industria
che produce articoli deperibili. Di solito la prima fornitura a scaffale è
gratuita, più un contributo una tantum per singola referenza variabile
dai 500 ai 1000 €. Poi si paga anche lo spazio occupato in base a tariffe
ben precise e care. Per farti un esempio, all'Iper Rubicone affittare uno spazio
espositivo in testata di gondola per sette giorni costava, in vecchie lire,
5 milioni. Prova a farci un giro e calcola il numero di testate espositive,
moltiplica per 5 milioni a settimana e vedi quanto rendono.
In più c'è il merchandising (ossia l'esposizione fisica della
merce sullo scaffale) che è a carico della ditta fornitrice. Con queste
aperture l'unico a guadagnarci inizialmente è sempre e solo il consumatore.
Noi piccoli continuiamo a fare la parte dei ladri rispetto all'opinione pubblica
e loro dei bravi, ma tutti ignorano il giro di "tangenti" sottostante
(come chiamare certe "tariffe" per poter esporre i prodotti in un
ipermercato?).
Comunque, a parte la battaglia iniziale del sottocosto, dopo qualche anno i
conti economici devono tornare, perché una struttura del genere ha dei
costi molto alti ed il periodo di gloria dura solo qualche anno. La rendita
immobiliare però resta, così come i danni perenni recati al tessuto
urbanistico cittadino a partire dalla viabilità.
Anni fa rinunciai a continuare gli studi universitari. Vedevo i miei genitori
dare anima e corpo nel lavoro del negozio ed io improduttivo che bussavo quattrini
per mantenermi a Bologna. Mi sono sentito in colpa e ho mollato, ma è
stato un grosso errore. Il lavoro è sempre meno e noi piccoli saremo
costretti a chiudere prima o poi. Considera che il lavoro dell'alimentare ti
assorbe in modo assurdo senza lasciare spazio alla famiglia. Ti racconto cosa
ha scritto mio figlio (fa le elementari) quando al ritorno a scuola l'insegnante
ha fatto raccontare a tutti gli alunni come avevano trascorso le vacanze: il
mio pargolo ha scritto che erano state noiose, schifose e monotone sempre e
solo in negozio attaccati ai genitori. La maestra ci ha chiamato per farcelo
leggere."
E noi consumatori siamo veramente sicuri che un nuovo mega
iper, che massacra i piccoli dettaglianti (ma su questo vedremo se sarà
veramente così) migliorerà la nostra vita? La storia insegna che
c'è crescita se in un rapporto commerciale si avvantaggiano entrambe
le parti. Non sarà la distruzione del piccolo commercio a tutelare i
risparmiatori, ma una migliore concorrenza al suo interno e una struttura distributiva
meno piramidale. E la vera concorrenza avviene tra tanti operatori di medie
o piccole dimensioni. I grossi iper che fagocitano tutto sanno molto di dumping
(vendere inizialmente sottocosto per distruggere un avversario più piccolo),
cioè il primo passo verso un brutto monopolio futuro.
Stiamo attenti. Probabilmente è necessario un cambiamento sociale nella
gestione di certa attività, così come è avvenuto nel lavori
pesanti in cui gli immigrati sono sempre più necessari, e come ne sono
loro malgrado consapevoli anche i piccoli dettaglianti. Ma cancellare di botto
una realtà distributiva non è forse la via migliore da seguire,
perlomeno nel campo alimentare.
Un ultimo dubbio: come mai si spara solo su Le Befane e si tace, o quasi, sull'ipercop
"I Malatesta" che apre tra neanche un mese vicino alla nuova fiera?