Pubblicato il 30 marzo 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Due settimane fa ho assistito alla presentazione del rapporto
sull'economia riminese realizzato dalla Camera di Commercio, in collaborazione
con Prometeia.
Al di là di alcuni interessanti spunti di riflessione che meriterebbero
ulteriori approfondimenti critici (l'analisi demografica, per esempio) e dei
contributi giunti dalla platea, come ci si poteva aspettare, "alla fine
della fiera" non è che ci si sia alzati dalla sedia molto più
ricchi di quanto lo si fosse entrando in sala.
Ma non perché i dati fossero imprecisi o male esposti, quanto perché
ciò che sta vivendo la provincia di Rimini rispecchia un problema italiano
più generale e che, per quanto ci si discuta sopra, resta sempre lì,
forse con poche soluzioni indolore.
Ed ecco che fa capolino, puntuale, la Cina, i problemi delle grandi vie di comunicazione,
la viabilità, tema che ha toccato il suo apice comico con l'intervento
di un signore che diceva di essersi perso per cercare di raggiungere Viserba
"e abito a Rimini da 62 anni!". Poi le nostre potenzialità
nello sviluppo del turismo sia congressuale che classico, e l'intervento del
presidente della provincia Fabbri che, dopo uno slancio di enfatico ottimismo
che mi ha ricordato gli amministratori di Miami degli anni venti secondo cui
la loro terra era "la comunità più straordinariamente benedetta,
nello stato più generosamente dotato con le persone più incredibilmente
intraprendenti dell'universo", incassa le perplessità di Luciano
Chicchi (presidente della fondazione Carim), decisamente più realista.
Il Turismo e la sua crisi, che fare? Le soluzioni per tornare all'eccellenza
non sono così immediate né facili, una volta identificate, da
realizzare.
Qualche giorno dopo la conferenza, mi sono capitati sott'occhio dei dati del
World Economic Forum secondo i quali l'Italia era precipitata di oltre 17 posizioni
in quanto a capacità di sfruttare le tecnologie informatiche e della
comunicazione, e della progressiva "sconnessione" del nostro paese
dal resto del mondo, distanziato in questo campo oramai da molti paesi più
arretrati, tanto che Malesia, Sud Africa e India sono ben più avanti
di noi, mentre il Brasile si trova appena una posizione sotto.
Allora mi è tornato alla mente uno degli interventi ascoltati durante
la conferenza. Il direttore dell'Api Rimini (Associazione piccole e medie industrie)
Alessandro Rapone, dopo alcune considerazioni sulle problematiche dell'imprenditoria
locale, si è chiesto come mai l'industria turistica non cercasse più
attivamente di inserirsi nel mercato dell'Est Europa, magari con l'apertura
di catene di alberghi in Croazia.
Lì per lì poteva sembrare una provocazione: come, togliere risorse
al turismo riminese e investire all'estero, orrore! Oltretutto poco prima il
solito Fabbri aveva "spiegato" che i servizi, e quindi anche il turismo,
sono una di quelle cose che "per fortuna" non si possono delocalizzare
(problema Cina e Romania).
Il nostro presidente provinciale però dimentica una cosa importante:
sono i turisti che possono "delocalizzarsi" andandosene altrove.
Ed ecco che un filo logico mi è sembrato unisse la proposta di Rapone,
la nostra crisi alberghiera, le scarse capacità tecnologiche del nostro
paese e i rilancio dell'economia turistica locale.
Siamo sicuri che per rilanciare il turismo si debba investire puntando ad un'espansione
quantitativa? La nostra città, che con la fiera e il nascente palacongressi
(che pare sarà effettivamente molto bello) ha cercato di differenziare
la sua offerta, non credo debba tanto continuare ad espandersi, quanto a migliorare
il bene di cui dispone. Il che significa che se si facesse qualche "motore
immobiliare" non solo per costruire uno stadio (certo utile, ma forse non
così strategico), ma anche per rifare magari una parte delle infrastrutture
fognarie, o per dragare il porto ripulendolo dallo schifo immondo di cui è
pieno, non sarebbe male. Il congressuale non potrà mai sopravvivere se
non sarà alimentato da un recupero della qualità generale della
città.
Ciò non significa che il settore alberghiero non debba puntare alla crescita,
anzi. I riminesi il mestiere lo sanno fare, e bene. Se un albergatore, come
un industriale, decidesse di intraprendere un sentiero espansivo, perché
non andare là dove in prima battuta si riverserà il nuovo turismo
ricco dell'Est? Non solo in Croazia, ma anche sul Mar Nero. Se questi nuovi
turisti saranno accolti, oltre che dai locali, solo dai gruppi stranieri, che
già si stanno muovendo, un domani sarà più difficile dirottare
i loro aerei destinati magari in Francia, in Spagna o in Germania. Abbiamo perso
le "valchirie" e le "vichinghe", rischiamo di fare tris
con le "zarine". Ho un nonno albergatore che organizzava giochi a
premio da Harrods per portare gli inglesi sull'Adriatico, ma era più
di 40 anni fa. Se allora il sistema era pionieristico e innovativo oggi, grazie
alle tecnologie, che noi continuiamo ad usare poco, ci vuole ben altro.
Non so quanto sia realizzabile tutto ciò, né se ci sia la volontà
imprenditoriale e politica di appoggiare un simile processo di sviluppo qualitativo
interno e quantitativo esterno (forse dovremo aspettare la Regione Romagna,
anche per un utilizzo più equo dei finanziamenti). Un fatto però
è certo: il nostro modello è in crisi da tempo e a fianco di progetti
lodevoli come il palacongressi, permane una sostanziale disattenzione alle infrastrutture
essenziali come strade (oggi ricavate all'interno dei parchi dopo una frettolosa
cementificazione idiota), fogne, parcheggi, parchi, aeroporto, metropolitana
di costa (ma non su gomma, accidenti; sotterranea!) la mancanza delle quali
potrebbe pregiudicare qualsiasi forma di sviluppo futuro.