Pubblicato il 28 luglio 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
C'è una grande Pantera che da più di 50 anni
si aggira indisturbata per Rimini. E' una bestia silenziosa, ma ingombrante;
tranquilli però: l'unico pericolo per la collettività è
paradossalmente rappresentato solo da un suo eventuale abbattimento. Ha trovato
per ora posto a Viserba, accudita da generazioni di contadini e la sua tana
è quella grande area vuota che da di fronte al cimitero costeggia via
Sacramora per circa 700 metri, quasi fino alle fonti.
Chi conosce un po' la storia della nostra città avrà già
capito di quale "Pantera" sto parlando. Non del solito animale feroce
puntualmente avvistato ogni estate nelle nostre campagne (e quest'anno non ha
fatto eccezione), ma un vastissimo lotto di terreno, quello appunto lungo via
Sacramora, che da decenni viene lasciato solo alle cure di qualche coltivatore
e alle grida dei bambini che affollano il campo da baseball situato in un angolino
dell'area.
La storia di questa proprietà si lega nel profondo con quella di Viserba,
ed ha visto sorgere attorno a sé un'intera città, osservandone
con discrezione i cambiamenti e gli stravolgimenti. Enzo e Tonino, due fratelli
viserbesi purosangue, di quelli che sanno tutto su ogni via, famiglia e pietruzza
del loro paese, ne hanno tante da raccontar sulla loro Pantera: dai fortini
dei tedeschi con le loro case matte ai confini dell'area dove oggi sorge il
Camping Italia, alla costruzione della Fonte, alla mitica abbondanza di acqua
che ha dato il nome al terreno (c'era sempre un gran pantano e così "pantano"
è diventato "pantera"); e poi ancora le vicissitudini dei coltivatori
di quel terreno che si sono arricchiti pagando affitti da due soldi negli anni
50 e 60…
Anche la proprietà, ancora oggi la stessa di sempre, rievoca un nome
ben conosciuto non solo dalle nostre parti, ma in mezza Italia: Ceschina.
L'ing. Gaetano Ceschina, industriale milanese che furoreggiò nella prima
metà del '900, era uno di quei personaggi eclettici e poliedrici che
seppero utilizzare al meglio le proprie ricchezze e il proprio fiuto per gli
affari. Fu un grande accaparratore di terreni nel primo dopoguerra, nonché
un generoso costruttore (suoi sono, tra i tanti, il Grand Hotel di Riccione
(1929) e quello di Cesenatico (1928), oltre a decine di altri palazzi, come
quello all'incrocio di via Roma con via Gambalunga che verrà presto demolito
per far posto ad un grande centro commerciale-abitativo di lusso). Dalle nostre
parti aveva accumulato notevoli proprietà in tutta la costa, non solo
a Rimini nord ma anche e soprattutto nella zona sud. Negli anni '20, infatti,
troviamo il Ceschina proprietario di moltissimi terreni tra Riccione e Cattolica,
ricevuti dallo Stato come compenso per le abbondanti forniture di materiale
sanitario che l'ingegnere aveva fatto all'esercito, terreni poi lottizzati in
modo grossolano e lasciati per molto tempo in abbandono.
Lui oramai è morto da decenni, ma le sue proprietà restano sparse
per l'Italia, in molti casi ancora abbandonate e senza un futuro preciso. O
meglio, un futuro potrebbero anche avercelo. E qui la questione si fa interessante
e al tempo stesso inquietante per la nostra Pantera.
La prospettiva più drammatica sarebbe una sorte simile a quella dell'area
del nuovo Peep di Viserba, in cui, per far contenti tutti, non si è certo
lesinato in concessioni edili. La Pantera, oggi terreno agricolo, potrebbe diventare
- magari durante il prossimo ciclo di crescita immobiliare (prima si dovrà
smaltire tutto il lavoro in cantiere oggi!) - la prossima vittima sacrificale,
con qualche modifica ad hoc al piano regolatore.
Ma c'è un'alternativa da sogno. Regalare per una volta qualcosa alla
città. Trasformare quel vasto terreno in un'unica grande area verde,
in un grande bosco, una specie di Central Park di Viserba, che darebbe un po'
di sollievo ad una parte di Rimini sempre più soffocata da traffico e
cemento. I presupposti per la realizzazione ci sarebbero tutti: il proprietario
è unico, situazione rarissima al giorno d'oggi per un'area così
vasta a due passi dal mare, il che faciliterebbe un eventuale esproprio, ma
anche una semplice transazione; oltretutto la proprietà da 50 anni non
è mai stata particolarmente interessata allo sfruttamento del terreno,
anche perché si tratta dopo tutto di un lotto piuttosto marginale all'interno
dello sterminato patrimonio della famiglia Ceschina. Il terreno è tutto
bonificato, ci sono pochissime costruzioni al suo interno ed è in posizione
strategica tra il mare e la zona più industriale.
Chissà se i nostri amministratori vorranno regalare questo sogno alla
nostra città? Sarebbe la dimostrazione che le cose vengono fatte non
solo per rispondere a lobby di interesse, ma per la collettività. Chissà
se sarà la proprietà a voler imprimere per sempre il nome di Ceschina
a Rimini, donando il parco alla città? Avremmo anche noi la nostra pineta
sul mare…
E forse si potrebbe pensare di fare altrettanto, almeno in parte, con l'ex Corderia,
salvando magari il piccolo nucleo del vecchio, bellissimo esempio di archeologia
industriale, e poi… basta, basta. Sento già le risatine ironiche
di qualche assessore mentre, sfregnadosi le mani, valuta i soldi che arriverebbero
nelle casse comunali da quell'ennesima invasione di cemento che un giorno potrebbe
uccidere per sempre la vecchia "Pantera".