Attacco e difesa sui fondi - prima parte
Pubblicato il 6 giugno 2007 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Manca poco meno di un mese all'inizio del periodo in cui i lavoratori dipendenti del settore privato dovranno indicare la destinazione del loro TFR. A distanza di qualche mese, torno su questo argomento perché la confusione generale pare non essere diminuita.
Innanzitutto è bene ricordare che in realtà il primo di luglio non è una data fatidica dopo la quale nulla è più possibile. Se non siete ancora sicuri sul da farsi, o se ancora non avete individuato un fondo pensione adatto a voi, potete tranquillamente decidere di mantenere le cose così come stanno (dovete però esplicitarlo, non restare silenti) lasciando il TFR in azienda. Il trasferimento ai fondi potrà sempre essere fatto in futuro quando voi vorrete. Non sarà invece più possibile tornare indietro una volta che avrete aderito ai fondi. Prendetevi dunque del tempo se siete indecisi: meglio rimandare la decisione di un mese che farne una affrettata, ma sbagliata.
Nel frattempo continuerò in queste settimane a sfatare alcuni luoghi comuni che aleggiano sui fondi pensione. Per far ciò utilizzerò uno spot realizzato dalla Confederazione Unitaria di Base FLMU-CUB Emilia-Romagna di Bologna, che mi arrivò durante il mio primo ciclo di articoli. Me lo spedì un amico che si definiva "un librale vero" (e so che è così), ma anche lui diceva di non fidarsi dei fondi. Il documento della CUB è un elenco di sette accuse, fatte certamente in buona fede, ma sbagliate. Le vedremo una per una.

Primo attacco (cito il testo):
"Il TFR nasce nel '24 con il nome "indennità di licenziamento" e diventa "Trattamento di fine rapporto" nel '82 quando per legge si stabilisce che la sua rivalutazione negli anni sarà del 1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo Istat). Nel 1982 l'inflazione era del 16%, il TFR con la formuletta rendeva il 13,5% e i BOT erano emessi al 20%. I padroni con il TFR compravano i BOT intascando il 6,5. Negli anni '90 l'inflazione scende sotto il 6% (soglia in cui il TFR si rivaluta alla pari) arrivando anche al 2%, valore per cui il TFR rende il 3%; i padroni non riescono più a fare grosse speculazioni con i soldi dei lavoratori e quindi si cambia strategia per gestire in modo proficuo i soldi dei dipendenti. Nascono i Fondi Pensione. Sono sempre i padroni (questa volta al 50% con i sindacati concertativi cgil cisl uil) che gestiscono i nostri soldi eliminando quella garanzia del 1,5% + 75% d'inflazione. Nasce il "Pensiero Unico" sostenuto da Governo, Imprese, Banche, Finanziarie e Sindacati per cui i Fondi sono l'unica possibilità per avere una pensione dignitosa. In realtà quelli che si possono definire "Poteri Forti" si alleano per un'unica "mission": la gestione di una montagna di soldi (21 miliardi di euro annui) per comprare e vendere azioni di società sostenendole o affossandole, intascare le commissioni e nominare infinite cariche nei vari consigli d'amministrazione con relative indennità".
Difesa
Queste argomentazioni fanno breccia su molti, ma tradiscono un grave fraintendimento della materia. Prima di tutto i "padroni", hanno sempre utilizzato il TFR come fonte di finanziamento per limitare il ricorso al prestito bancario, non per fare speculazioni con i Bot, e sono i primi loro ad essere contentissimi della campagna della CUB per lasciare il TFR in azienda. Oltretutto la gestione dei soldi non va affatto ai "padroni".
La gestione da parte dei fondi della montagna dei soldi che arriverà loro, non farà che del bene al capitalismo italiano che è sempre stato in balia di quei "Poteri Forti tanto temuti (e tanto reali oggi, su questo la CUB ha ragione), che sono tali proprio per la cronica mancanza di investitori istituzionali indipendenti e di lungo periodo come i fondi pensione che, come accade nei paesi in cui sono più sviluppati, impediscono la sopravvivenza di quel capitalismo delle relazioni e senza capitali (cioè in mano a poteri forti di pochi, che usano soldi altrui) tipico dell'Italia. Un capitalismo, cioè, in cui, come diceva giustamente Enrico Cuccia, "le azioni non si contano, ma si pesano".

Secondo attacco
"Fino al 2000 il TFR era tassato al 12% circa grazie ad una detrazione di 600.000 lire per ogni anno di accantonamento. Dal 2001 questa detrazione viene ridotta a 120.000 per gli anni a venire determinando un incremento progressivo della tassazione. Dal 2003 l'aliquota fiscale passa dal 18% al 23%. Dal 2006 viene eliminata la detrazione di 120.000 lire. In 6 anni la tassazione è passata dal 12% al 23% per incentivare il
passaggio del TFR ai Fondi Integrativi".
Difesa
Qui sono i calcoli ad essere sbagliati, dato che è cambiato il modo di agevolare il tfr (non più la detrazione fissa, ma in base alla rivalutazione), cosa che non ha però stravolto la tassazione finale, tutt'altro che raddoppiata in sei anni.
Non si dice però che per chi è in là con gli anni il TFR gia versato continuerà a beneficiare della vecchia tassazione. Per un giovane tra i 25 e i 30 anni che inizia oggi invece, con la scelta dei fondi avrà non solo uno strumento che in 35 anni renderà molto di più, ma che alla fine sarà tassato molto meno anche del vecchio TFR, appena il 9%, contro l'aliquota media degli ultimi cinque anni.

Terzo attacco
"Il "Pensiero Unico" teme che i lavoratori resistano al canto delle sirene dei fondi e allora adattano gli statuti dei Fondi Negoziali trasformandoli da "Gestori di pensione integrativa" a "Soggetti di speculazione finanziaria". Investimenti a rischio perché il rendimento non è prevedibile. Ci si può rimettere anche il capitale versato, a meno che lo statuto del fondo non preveda qualche garanzia, probabilmente fatta con obbligazioni (vedi Parmalat). Questa è la prova che l'obiettivo del fondo non è costruire un "secondo pilastro", ma l'esistenza del fondo stesso".
Difesa
La smentita arriva dal primo punto di questo elenco, quando si ricordavano giustamente quei periodi ad alta inflazione in cui il TFR rendeva molto meno dei Bot. Cosa che è invece evitabile semplicemente scegliendo le linee più prudenti (ma molto sconsigliate per i giovani). C'è poi la solita retorica anti-mercato, per cui investire è sempre e solo uguale a speculare. In realtà in fondi italiani sono i più prudenti in assoluto tra tutti quelli dei paesi industrializzati (e questo è un male), e la percentuale investita in azioni non arriva complessivamente al 20%. Se poi tutte le migliaia di italiani che sono rimasti invischiati nei casi Parmalat, Argentina&C, magari investendo in tali obbligazioni proprio il tfr accumulato in una vita, avessero optato per soluzioni collettive come i fondi, nessuno, sottolineo, NESSUNO ci avrebbe rimesso un centesimo, perchè nessun fondo si è mai esposto in passato, ne si esporrà mai troppo in futuro, per obbligo di legge, su una singola azione o obbligazione.
Continueremo il prossimo mercoledì.









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