Pubblicato
il 26 ottobre 2005 La Voce di Romagna in prima pagina
di Simone Mariotti
"I libri, i giornali possono fare molto per informare
i cittadini, mettendoli in guardia ogniqualvolta una lobby usa argomenti
discutibili o palesemente sbagliati. Ma la vera speranza sono i diretti
beneficiari, i cittadini. Il problema è come mobilitarli, come evitare
che divengano prigionieri di se stessi, come far sì che alle prossime
elezioni votino per chi vogliono, ma mai per un iscritto ad un ordine
professionale".
Con queste parole si chiude uno dei libri più interessanti di questo autunno:
"Lobby d'Italia", del prof. Francesco Giavazzi (Rizzoli, 8.2€).
Laureato in ingegneria elettronica al politecnico di Milano, volato subito
dopo negli Stati Uniti per conseguire il Ph.D. in economia al MIT, dove
oggi tiene il corso di Economia Politica che fu del suo maestro, il grandissimo
Rudiger Dornbusch, Francesco Giavazzi non è solo uno dei migliori economisti
del nostro tempo, ma anche uno straordinario ed implacabile commentatore
che da anni, dalla prima pagina del Corriere della Sera, lancia instancabilmente
precisi fendenti contro il sistema delle corporazioni e dei monopoli che
frenano e ingessano da sempre il nostro paese.
Il libro appena uscito
non è altro che un'eccellente antologia dei suoi migliori articoli, tra
i tanti pubblicati negli ultimi anni.
La prima volta che l'ho incontrato fu nel 1991, durante un seminario all'interno
del mio corso di Economia e Politica Internazionale, a Bologna. Sin da
allora, nelle rare volte che ho avuto occasione di ascoltarlo o di parlarci,
ne ho apprezzato la chiarezza e la semplicità con cui sempre impostava
la sua esposizione, ed è sempre stato illuminante nelle sue considerazioni.
Semplicità (genialità) che ha saputo egregiamente trasferire anche sulla
carta stampata.
Fin dall'introduzione di questo nuovo libro è chiaro un concetto di fondo:
se gli italiani nel mondo sono circondati di rispetto e considerazione,
la loro terra natia riscuote molto meno successo, e questo è un vero paradosso.
I ricercatori italiani all'estero sono molto stimati, mentre da noi anche
i migliori sono uccisi da un misero sistema di concorsi e clientele. Idem
per i banchieri, che sono capaci di girare solo sotto la scorta di Bankitalia.
E poi la vergogna degli ordini professionali feudali che frenano la competitività,
dai notai, ai farmacisti, ai tassisti, a tutto il sistema dei regolamenti
e delle licenze commerciali. E gli ingegneri, che da noi sono sempre di
meno, mentre continuano a crescere avvocati, commercialisti, "esperti"
di comunicazione.
Insomma, un attacco a 360 gradi contro le mille lobby, le rendite e le
mancanze di questo paese, governato da una classe politica oltretutto
troppo anziana e troppo timorosa dei cambiamenti.
Ogni pagina di questo volumetto dovrebbe costituire una priorità per ogni
Governo, sia di destra che di sinistra. Ministri e Presidenti del Consiglio
dovrebbero imparare a memoria ogni capitolo e recitarli la sera al posto
delle troppe Ave Maria con cui si stanno drogando da qualche tempo.
Ma come al solito le persone che valgono non possono sedere sulle poltrone
del potere. L'Italia invece di Giavazzi si è meritata prima Vincenzo Visco,
che durante una trasmissione radiofonica a Radio Radicale di qualche anno
fa disse candidamente di ignorare cosa fosse lo Sherman Act (la più grande,
storica legge antitrust americana, che oramai è studiata anche dai bambini
delle scuole medie), poi un commercialista di Sondrio la cui miglior qualità
è l'antipatia, che ha fatto della più becera delle trovate economiche
per un paese in crisi di competitività, il protezionismo, il suo cavallo
di battaglia, e che ancora non è stanco di fare propaganda da quatto soldi
sull'"Euro di Prodi".
Pazienza.
Il compito che il professor Giavazzi si è dato, quello di scardinare il
potere delle lobby, più che titanico è utopico per essere svolto da un
uomo solo. E di questo ne è consapevole anche lui, visto che da anni,
come una Cassandra, ripete inascoltato le stesse cose ai malcapitati di
turno. Ma i politici ruotano e i problemi restano.
La sua conclusione, che ho citato all'inizio, è quindi naturale: fino
a che il Parlamento sarà composto da persone la cui fonte principale di
ricchezza è costituta dall'essere protetti dal loro ordine professionale
(un parlamentare su tre è iscritto ad un ordine; due su tre tra quelli
dell'attuale maggioranza), nessuno farà mai nulla per cambiare e per sbloccare
quel bellissimo meccano, purtroppo montato male (per usare una sua metafora),
che è l'Italia.
Un paese che continua a preoccuparsi della ridicola propaganda anticapitalista
di Bertinotti, ma che sguazza inerme tra i privilegi seriamente molto
più dannosi creati dal sistema delle corporazioni.