Troppi miti sui fondi pensione
Pubblicato il 25 ottobre 2006 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

La settimana scorsa, parlando del premio Nobel assegnato a Yunus, il banchiere dei poveri, ricordavo come l'importanza del premio stava anche nel prezioso contributo che tale riconoscimento dava nella lotta conto coloro che vedono nella finanza e nel credito bancario (una delle più importanti invenzioni della storia dell'uomo) solo una diversa forma di armi di distruzione di massa. In realtà è esattamente l'opposto. Il terrorismo finanziario non ha risparmiato neppure la previdenza che, ahimè, di finanza ne avrebbe bisogno in quantità "industriale", e la battuta non è casuale.
Si fa un gran parlare oggi di Tfr, se sia giusto o no darlo all'Inps, se sia meglio lasciarlo alle aziende, se finanziare la previdenza complementare, ecc.
Trattare tutto non si può. Mi soffermo allora sui fondi pensione, che sarebbero la scelta migliore per la grande maggioranza dei dipendenti, sui quali aleggiano spettri terribili, "visti" anche da molte persone dotate di buon senso.
Prima questione: attenzione ai falsi teoremi.
Quando si sente parlare di fondi pensione ci sono alcune affermazioni ricorrenti che tendono a creare molta confusione su di una materia che, come molte altre in finanza, in realtà sarebbe in sé piuttosto semplice. Sui fondi pensione ci sono due gruppi di persone la cui dialettica retorica si distingue dalla massa:
I terrorizzati-terrorizzanti. Sono gli statalisti puri, gli innamorati dell'INPS, quelli che se parli dei fondi pensione ti tirano subito fuori il caso del fallimento di Maxwell di 20 anni fa o della Enron, che tra l'altro niente hanno a che fare con i fondi pensione aperti. Dicono che sono rischiosissimi e quindi frenarne lo sviluppo non è un male, che è un bene che tutto il TFR delle aziende vada all'INPS. Tra coloro arroccati su questa posizione si distingue la "potente" figura di Rosy Bindi.
I fanatici. Si trovano all'esatto opposto dei terrorizzati. Sono quelli esaltati dal Wall Street, che si sono sciroppati tutte le manfrine sul mercato azionario che gli hanno raccontato verso la fine degli anni '90, e non si sono accorti che qualcosa è cambiato. Sostengono che i fondi pensione sono la panacea per tutti i mali perché investono in azioni e le azioni si sa (altro mito) nel lungo periodo rendono molto di più di qualsiasi altra cosa. Così facendo parlano di fondi pensione solo in termini di azionario stimolando il terrore dei terrorizzati, e di molti altri.
Entrambi, purtroppo si sbagliano di grosso finendo per confondere ancora di più le idee a tutti. In realtà le loro posizioni sono più che altro frutto solo dei soliti conflitti di interesse, generalmente politico per i terrorizzati, economico per i fanatici.
Chi tira l'acqua al mulino dell'INPS lo fa partendo da un doppio errore. Primo, i fondi non sono solo azionari. La varietà è notevole e molte società che li offrono dispongono di varie linee a seconda appunto di quanto uno sia disposto a rischiare. Secondo, i fallimenti nei fondi pensione che molti citano, come quelli di Maxwell o Enron, sono in realtà fallimenti di fondi aziendali, non di fondi pensione aperti a contribuzione libera, e dal patrimonio separato dalla società che li gestisce.
Spesso dietro a questa posizione c'è sia il desiderio statalista (e l'ignoranza) di alcuni esponenti politici, sia il timore di altri che mal digeriscono l'ingresso nel capitalismo italiano di una forza indipendente e slegata dalle grandi famiglie, che è invece la spina dorsale dei sistemi finanziari anglosassoni, quella dei fondi pensione appunto.
Anche la posizione dei fanatici è però viziata da falsi miti, il primo dei quali è che nel lungo periodo il mercato azionario è sempre vincente. Come tutte le affermazioni assolute anche questa è sostanzialmente da rigettare. Il fondamento di questa idea non è sbagliato e i dati di lunghissimo periodo lo confermano. Il fatto è che quanto debba essere lungo il lungo periodo non è dato saperlo e se in alcuni periodi sono bastati 10 anni, in altri non ne sono stati sufficienti 30 per battere il rendimento delle obbligazioni, o degli immobili, altra categoria ultra sopravvalutata quanto a capacità di generare reddito.
Poi bisogna considerare che ci siamo lasciati alle spalle 50 anni di grande crescita e di grosso boom demografico che si va stabilizzando e che potrebbe produrre grossi guasti al mercato azionario nei prossimi decenni. Robert Shiller, l'economista di Yale molto noto per il suo libro Esuberanza irrazionale (1999), nel quale annunciò in anticipo lo scoppio della bolla speculativa sul mercato azionario del 2000, ritiene che a causa dell'invecchiamento, nei prossimi anni le azioni americane conosceranno un periodo di ritorni negativi a causa del disinvestimento dei fondi pensione che non sarà più marginale, e che anche il prezzo degli immobili nei paesi occidentali continuerà gradualmente a sgonfiarsi nel 21° secolo.
A proposito: i fanatici di solito sono dei venditori di polizze assicurative molto care.
Per oggi finisco qui, per non mettere troppa carne al fuoco. La prossima settimana vedremo quale può essere una scaletta da seguire per cercare di fare scelte più ragionate circa il proprio futuro pensionistico.








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