Pubblicato il 14 dicembre 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
"Gli scenari di crollo del sistema pensionistico pubblico
sono senza fondamento. I pensionati del XXI secolo possono stare tranquilli"
Giacinto Militello, Presidente dell'Inps, 14 febbraio 1987.
"Prima si chiude la partita del Tfr, meglio è per il bene dei lavoratori
e per tutto il sistema pensionistico. Il basso tasso di crescita demografica
e l'aumento delle prospettive di vita rendono ancora più impellente il
decollo della previdenza complementare".
Gian Paolo Sassi, Presidente dell'Inps, 25 agosto 2005.
Quando meditate se mettere da parte un po' di soldi per la
vecchiaia, un consiglio che mi nasce dal cuore è quello di non sopravvalutare
lo stato del nostro sistema previdenziale. Prendetevi seriamente quando con
gli amici discutete sul buco pensionistico o sui drammi dell'INPS. Quasi tutte
le persone che conosco paiono dubbiose sul futuro della previdenza in Italia;
eppure, come evidenziava un sondaggio Eurisko-Zurich di qualche anno fa, oltre
il 70% degli italiani ancora si illudeva di non dover calare poi troppo il proprio
tenore di vita una volta raggiunta la pensione. Oggi le cose sono migliorate
solo di poco, tanto è vero che alla fine del 2004, dopo sei anni dal
loro avvio, solo il 14% dei potenziali aderenti aveva aderito ad un fondo pensione.
Purtroppo, la realtà che attende molti cittadini sarà ben diversa.
Secondo stime prudenti, i dipendenti che andranno in pensione tra il 2020 e
il 2030 riceveranno a mala pena la metà dell'ultimo stipendio, mentre
per gli autonomi e per i parasubordinati si faticherà a raggiungere il
35-40%.
L'INPS ha solo 40 anni di vita ed è già un vecchietto che ha bisogno
di un solido bastone per camminare; sta collassando, colpito a morte dall'allungamento
della vita media, dell'accorciamento del periodo lavorativo e dal disastro delle
politiche previdenziali italiane, capaci solo di calmare un male grave con semplici
aspirine. La settimana scorsa abbiamo mostrato i preoccupanti rapporti tra numero
di lavoratori e numero di pensionati nel futuro.
Ebbene, pochi lo sanno, ma dal 2001 in 7 province italiane i pensionati sono
già di più dei lavoratori (Agrigento, Alessandria, Catanzaro,
Enna, L'Aquila, Reggio Calabria, Trieste). Sempre dal 2001 i contributi dei
lavoratori sono sufficienti a pagare poco più che il 70% delle pensioni,
e il periodo di pensionamento si allunga continuamente. Sono sempre di più
le persone che arrivano alla fatidica soglia del secolo di vita, tanto che nel
2000 in Italia i centenari erano oltre seimila ed il loro numero nel mondo è
aumentato di 16 volte in vent'anni. I più recenti rapporti dell'ONU sullo
stato demografico del mondo (Revisioni 2002 e 2004) assegnano all'Italia un
triste primato: nei prossimi decenni siamo destinati a confermare la nostra
leaderschip come nazione più "vecchia" assieme al Giappone.
L'età media del nostro paese è passata dai 29 anni del 1950 ai
40 di oggi, mentre già nel 2025 saremo i nonni del pianeta con 51 anni.
Chi provvederà al mantenimento di questo esercito di pensionati? Ma c'è
un altro fattore che deve essere considerato.
In Italia, e in molti altri paesi europei, i contributi futuri non solo dovranno
essere prodotti da un numero insufficiente di lavoratori, ma anche in un contesto
economico globale per loro molto più impegnativo. Quelle aree che già
oggi ci insidiano commercialmente, come buona parte dell'Asia, si avviano ad
incassare quel bonus demografico, oramai speso dall'Italia, costituito da un
boom crescente (e lo sarà ancora per un paio di decenni) della forza
lavoro attiva, rispetto a quella a carico dello Stato (giovani e anziani), dato
che, come accaduto da noi in passato, la fertilità si va stabilizzando
in una popolazione mediamente ancora molto giovane.
Richard Cragg, un esperto inglese di finanza, scrisse anni fa un libro di successo,
The Demographic Investor, che lanciava l'allarme sul problema demografico europeo
e la conseguente precarietà dei sistemi pensionistici ed ammoniva: "Dovunque
tu viva in Europa, la tua pensione non è sicura. […] Se potete,
iniziate un vostro piano personale di risparmio. I progressi nella biotecnologia
avranno un notevole impatto sulla speranza di vita nei prossimi decenni; se
fate affidamento sulla pensione di Stato, cercate di non vivere troppo a lungo".
Altro problema è la mancanza di cultura.
In Italia pare non ci sia altro modo di stimolare il bisogno previdenziale se
non con l'uso di una qualche forma di coercizione, come ad esempio il meccanismo
del silenzio assenso previsto per la destinazione del Tfr alle forme pensionistiche
complementari. E siccome si suppone (o desidera?) che la maggior parte dei lavoratori
finirà per starsene zitta, bisognerà pensare anche a come indirizzare
questa tacita indicazione, col rischio che alla fine a rimetterci sarà
l'efficienza del sistema a favore del solito papocchio, dei soliti conflitti
di interesse, favoritismi e clientelismi vari. E guai a fare una più
che mai opportuna campagna informativa seria!
Il fatto deprimente è che i problemi sono noti da tanti anni, ma poco
si muove sotto il sole della politica. Angelo Panebianco il 30 agosto 1998,
dalle colonne del Corriere della Sera, in un duro articolo intitolato "Padri
pensionati, figli disoccupati" scrisse: "La frustata con cui il professor
Mario Monti ha colpito partiti di governo e sindacati evocando e auspicando
uno sciopero dei giovani, una rivolta generazionale, è stata inaspettata
e dura, li ha fatti per un momento vacillare, ma è certo che essi si
riprenderanno subito e ricominceranno a fare finta di nulla. […] Le politiche
"contro i giovani" che discendono dal predominio degli interessi dei
garantiti e dei pensionati sono, potremmo dire, un effetto perverso prodotto
dall'impatto - mediato e amplificato però, da trasformazioni degli atteggiamenti
culturali - della demografia sulla democrazia. […] Ma naturalmente l'impatto
della demografia sulla democrazia non sarebbe così disastroso se non
fosse accompagnato da cambiamenti negli atteggiamenti culturali, da una tendenziale
rottura della solidarietà intergenerazionale che da noi (basti vedere
in che conto sono tenute le istituzioni educative) appare in forme più
gravi che altrove".
Troppo poco però è cambiato da allora, soprattutto
nella consapevolezza dei futuri pensionati, che non sono neanche in grado di
chiedere aiuto.