Quante ipocrisie sulle pensioni
Pubblicato il 30 novembre 2005 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

La settimana scorsa, con l'approvazione e contestuale rinvio del decreto sulla previdenza, abbiamo assistito inermi, oramai rassegnati al trionfo di un paio di ipocrisie sostenute da una generale indifferenza.
La prima ipocrisia l'ha offerta ovviamente il governo, sempre meno presentabile nella sua sfacciata piccolezza, che non solo ha rinnegato se stesso sull'assoluta improrogabilità della riforma precedentemente annunciata dal ministro Maroni, oggi festoso, ma non ha neanche tentato di gestire gli straripanti conflitti di interessi del presidente del consiglio, e in cinque anni non ha fatto altro che riformucce che pochi effetti produrranno, il principale dei quali sarà quello di allungare un po' la vita di quel del malato terminale che è l'Inps. Grande ipocrisia è stata anche quella di Silvio, che ha iniziato anni fa con annunci televisivi per informare il popolo sulla precarietà del nostro sistema pensionistico a cui lui avrebbe posto rimedio, e poi si è letteralmente cagato sotto quando si è trattato di fare qualsiasi cosa che fosse anche solo vagamente impopolare.
La seconda grande ipocrisia arriva dai sindacati, e da buona parte della sinistra che oggi si straccia le vesti per un rinvio di due anni, ma che non solo non ha fatto gran che a suo tempo, quando la situazione era già ultra critica, ma che strumentalmente sposta l'attenzione sul problema del tfr, come se fosse una panacea per tutti mali, inorridendo a proposte sacrosante ed irrinunciabili come quella di abolire immediatamente le pensioni di anzianità, particolarità tutta italiana, che rappresenta uno dei macigni più grossi sul futuro del sistema previdenziale, o quella dell'innalzamento immediato dell'età pensionabile e della sua equiparazione tra uomini e donne.
E poi, perché ancora non si è posto un tetto a tutte le retribuzioni pensionabili in circolazione, eliminando in tal modo una marea di pensioni d'oro ancora in essere, prodotte tra l'88 e il '95? Perché non si è intervenuti in massa sulle pensioni di invalidità, la maggior parte delle quali fasulle?
Su tutto c'è la continua indifferenza grave e colposa degli italiani al problema pensioni. I giovani o non sanno neanche cosa sia una pensione o, e questo è veramente patetico, marciano per strada chiedendo la difesa delle pensioni dei loro babbi e nonni, credendo, probabilmente in buona fede, di difendere il loro futuro. Un'indifferenza che si alimenta con l'illusione del "tanto la pensione me la daranno di sicuro". Certo, ma quanto? Qualcuno degli attuali 30/40enni se lo è chiesto seriamente?
Di risparmiare autonomamente qualcosina per la pensione però non ci pensano neanche lontanamente.
Si fa un gran baccano sul tfr, ma ci si dimentica che da 7 anni è iniziato il collocamento dei fondi pensione aperti, che negli altri paese viaggiano a velocità multipla rispetto ala nostra, che saremmo invece quelli ad averne più bisogno. E che possono offrire anche notevoli vantaggi fiscali a chi li sottoscrive, ma che continuano ad essere dei benemeriti sconosciuti ai più.
Un'altro paradosso a cui non si vuole porre rimedio è la scarsa trasparenza delle polizze previdenziali. Paradosso, perché se da un lato la preferenza accordata ai fondi chiusi nella futura destinazione del tfr rappresenta un vincolo ridicolo alla concorrenza ed un regalo al sindacato, dall'altro le compagnie assicurative, che nella loro protesta sul punto di principio della concorrenza avrebbero ragione (e l'obiezione di Berlusconi al riguardo è corretta, se pur molto interessata per via della sua grossa partecipazione in Mediolanum), sono talmente colpevoli per la valanga di prodotti di "serie Z" con cui hanno inondato il mercato, proprio avvalendosi della mancanza di trasparenza che come lobby hanno imposto al sistema, da diventare anche loro assolutamente indifendibili.
Manca tutto in questo paese. Manca il coraggio dei politici di fare riforme serie e impopolari (finendo per essere antipopolari), manca la volontà dei cittadini di occuparsi con realismo del proprio futuro, manca in qualsiasi settore quella concorrenza che smorzerebbe molti degli spigoli più appuntiti.
Si finisce così per chiedere a Confindustria un parere sul rinvio delle riforma sul Tfr. Ma cosa volete che risponda, che sono tristi e che si stracciano le vesti? Al sistema industriale delle pensioni dei lavoratori non gliene può fregare di meno. E giustamente, visto non è compito suo. Non può che essere soddisfatto di un rinvio di un provvedimento che avrebbe costretto le aziende a cercare vie alternative e più costose ad un comodo finanziamento interno.
E nella loro comprensibile posizione c'è lo zampino di un sistema di vincoli (costo del lavoro, flessibilità, licenziamenti) e assenza di concorrenza (bancaria) tutto italiano.
Tutto in questo paese è viziato. L'Italia sta in piedi come un castello di carte, ognuna della quali viene retta da una lobby che in cambio vuole un privilegio. Quando però la cancrena avrà corroso ogni settore le carte cominceranno a cadere da sole. E c'è poco da arrabbiarsi se l'Economist ci fa le pulci. Fa solo il suo mestiere: parla di economia e lo fa bene.
Chi avrà la pazienza di aspettare la prossima settimana scoprirà che chi oggi difende lo status quo del sistema pensionistico attuale, limitandosi a chiedere la riforma del tfr, ed ha meno di 50 anni, è generalmente un illuso. Chi lo fa avendo più di 50 anni è generalmente uno che difende un privilegio a danno dei suoi stessi figli.








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