Pubblicato
il 3 novembre 2004 La Voce di Romagna in prima pagina
di Simone Mariotti
Acqua bevon color che fan del male:
n'è una prova il diluvio universale!
(Canzone francese del primo ottocento)
C'e un settore nella nostra editoria che da un po' di
tempo langue, o meglio è sempre meno apprezzato dal pubblico, specialmente
quello più giovane: i classici della letteratura. In realtà di classici
ne vengono venduti parecchi, in varie collane economiche, specialmente
in edicola. Che tutto questo materiale a poco prezzo venga poi letto è
tutta un'altra faccenda.
Spesso sono considerati a torto come dei "mattoni" duri da digerire, e
non poche volte associati a terribili ricordi scolastici, quando l'immancabile
professoressa arcigna ti costringeva a leggere e riassumere (che cosa
orripilante) un grande capolavoro, con l'inevitabile aggiunta del ridicolo
tema da fare a casa della serie: "Dialogo con la Monaca di Monza "se
la sventurata non avesse risposto": dubbi, angosce, masturbazioni. Come
avrebbe potuto esserle d'aiuto Antonella Clerici?". Tuttavia ritengo
che la lettura dei classici sia un'attività formidabile per capire meglio
il presente, per apprezzarne la diversità, per avere una serie di punti
fermi nella nostra esistenza che testimonino la nostra evoluzione (altro
che le origini cristiane nella Costituzione europea), per la straordinaria
originalità chi ci regalano e che ci riempie.
Oggi vanno di moda tanti legal thriller americani,
che aiutano a fuggire a volte dalla noia di una vita che ha continuamente
bisogno di stimoli per tirarsi su. Sono sicuro però che a molti lettori
moderni non è passato neanche per la testa di mettersi a leggere quel
grande e fascinoso legal thriller del passato che è Il Conte
di Montecristo, da cui è tratta la piccola citazione iniziale, cantata
al tavolo di una locanda mentre si tramava alle spalle del povero Edmond
Dantes. Purtroppo ci si accontenta di deprimenti versioni televisive,
spesso fasulle e buoniste, come appunto quella terrificante del Montecristo
con la Muti e Depardieu (molto meglio fece Andrea Giordana più di 30 anni
fa).
Oggi c'e anche il nuovo revival epico-tascabile (vedi Baricco), meglio
se usufruito al cinema, che si fa prima, e si può anche "adattare" meglio
l'originale, tanto gli strafalcioni in sala sono sempre ben accetti, ed
anche il grande e rigoroso Kubrick ricorse a questa pratica nel suo classicheggiante
"Spartacus".
Poiché il tema ci appassiona, e dato che su Troy, Gladiator,
ecc. è meglio tacere, continuiamo allora a parlare di classici in un altro
modo.
Da questa settimana il prof. Claudio Zamagni, profondo conoscitore di
una disciplina misteriosa e mistica come la letteratura cristiana antica
(più classico di così!), ma grande cultore del piacere della lettura,
non solo classica ovviamente, cercherà dalle pagine di questo giornale
di aprire una finestra su un'opera letteraria, con una serie di piccole
recensioni, anzi quasi microscopiche, da bere tutte d'un fiato, che lui
ha chiamato "inattuali". Facciamo allora due chiacchiere con l'autore.
Caro Claudio, ti chiedo di iniziare questa collaborazione
togliendoci una prima curiosità: perché si dice "è un classico"?
"In senso gergale è ovviamente qualcosa che capita spesso: proprio
perché è tipico del "classico" attraversare il tempo; classico
è, in primo luogo qualcosa che dura fin dall'antichità come modello perenne,
oppure qualcosa di moderno cui si riconosce la capacità di sopravvivere
al proprio tempo. Nella scrittura, è ovvio che la maggior parte degli
autori, dallo storico greco Erodoto al raffinato poeta Callimaco, ambiscono
a fissare le loro opere per sempre, a lasciare indelebilmente la loro
traccia, fosse anche per una manciata di lettori ogni secolo, purché sia
all'infinito. Quanto all'aggettivo classico, rimanda alla classis,
all'ordine burocratico e militare degli antichi, a una gerarchia. Già,
perché nel mondo antico si faceva critica letteraria: gli autori erano
stati appunto divisi in classi dai filologi dell'epoca. Così
si distinsero autori di prima classe da quelli di seconda classe e, all'interno
dell'opera di ciascun autore, le opere migliori dalle altre. Ora, ovviamente,
non ha più senso questa classificazione, perché le opere degli
scrittori antichi giudicati di secondo piano non sono sopravvissute, e
neppure le opere considerate meno rappresentative anche di autori grandissimi.
Infatti, riprodurre uno scritto era un'operazione molto costosa e lenta,
non c'era motivo di sprecare energie nella copia di opere giudicate di
secondo livello. Così, le commedie di Plauto o le tragedie di Eschilo
sono quelle classiche e non altre, in tutti i manoscritti esistenti,
perché i filologi antichi avevano scelto proprio quelle."
Come mai hai scelto un termine quasi contraddittorio,
"inattuali", per queste tue recensioni?
"C'è un primo motivo ovvio: la recensione si fa al libro appena uscito,
non ai Promessi sposi, e neanche a Oceano mare. In questi
casi si dovrebbe fare un saggio critico e non far finta di essere il primo
lettore del mondo; per fortuna però io non sono un critico letterario.
E poi c'è l'idea dell'inattuale in mezzo alla cronaca quotidiana:
i libri attraversano i secoli, i libri sono, per loro natura, inattuali.
Ma è anche inattuale tutto quello che è più essenzialmente umano, non
legato alle contingenze del tempo. Ma in quanto umano è anche
attuale e modernissimo: come un buon libro.
Prendi per esempio l'idea della scrittura. Una cosa remotissima, ma senza
la quale non potremmo ricevere e trasmettere la memoria dei fatti, la
conoscenza scientifica, la letteratura. Rifletti, è una scoperta che certo
non è stata immediata, probabilmente il risultato di uno sviluppo che
ha richiesto anni, anzi secoli. Dietro la scrittura ci saranno stati bisogni
in primo luogo economici, che se non altro sono alla base della sua straordinaria
diffusione: per tenere conto delle tasse riscosse, programmare le spese
o prevedere le entrate future dell'amministrazione non c'è modo più preciso
e sicuro che archiviare i dati, per esempio su delle tavolette di argilla.
Accadeva qualche millennio fa dalle parti di quella Bagdad oggi purtroppo
nota per altre ragioni. Decisamente, non deve essere stato un fatto semplice
e immediato. Eppure qualcuno per primo deve averne avuto l'idea. Una persona,
un singolo uomo che ha scritto la prima lettera dell'umanità. Forse si
è accorto che il parlare con i suoi simili non era il solo modo di esprimersi
e farsi intendere. Forse ha intuito che poteva parlare anche senza muovere
le corde vocali, risolvendo tutto nel suo pensiero. E se poteva pensare
senza parlare, avrebbe anche potuto rendere indipendente il suo discorso
dalla contemporaneità dell'enunciarlo: poteva dirlo in un altro modo,
poteva pensarlo, poteva scriverlo... Fu così che probabilmente
accadde, magari mentre stava contemplando la distesa d'acqua di un oceano,
o un verde pendio di montagna inondato di sole, o mentre osservava una
nuvola bianca di sole stagliarsi su un cielo azzurro. Ma più probabilmente
in un imbrunire, poco prima di addormentarsi, rivivendo un dialogo che
valeva la pena di ripensare, di ricordare. Fu così che si scrisse
la prima parola. Per non dimenticare, per sempre. Ma lo fece lui, da solo,
nel silenzio che invariabilmente avvolge i grandi momenti di svolta, il
punto a partire dal quale nulla è più come prima. Di inventori così importanti
è piena la storia. C'è quello che ha dipinto il primo graffito, quello
che ha scolpito la prima selce, quello che ha danzato il primo ballo,
quello che ha cotto la prima bistecca e così via. E c'è, soprattutto,
quello che ha dato il primo bacio a qualcuno. Non si sa nulla di loro,
eppure sono esistiti. Anzi, è ad essi che dobbiamo tutto, veramente tutto,
non a Leonardo da Vinci né a Guglielmo Marconi. Sono proprio queste cose
lontanissime da noi e che noi consideriamo totalmente scontate ad essere
le più influenti nella nostra vita e, mi pare, le più attuali."
Bene. Ringraziando Claudio Zamagni, non mi resta che augurarvi buona lettura,
con la prima recensione che trovate oggi.
Tra l'altro leggere un classico potrebbe giovarvi alla salute, non solo
mentale. Sei medici europei, provenienti da Austria, Germania e Svizzera,
hanno infatti recentemente pubblicato sull'American Journal of Physiology
uno studio intitolato Heart Circulation Physiology in cui si
dimostra che la lettura della poesia classica, meglio se in esametri greci,
è di giovamento in caso di aritmia respiratoria, provvedendo a regolarizzare
la respirazione e ad abbassare la pressione sanguigna. Insomma, un classico
al giorno…!