La Brexit, l’oro e gli strafalcioni delle banche sulle materie prime

La Voce di Romagna, 4 luglio 2016

di Simone Mariotti

La Brexit ha dato un colpo mortale alle previsioni sulle materie prime degli ultimi mesi, soprattutto parliamo di quella più preziosa, l’oro. Quando pochi anni fa le commodities raggiunsero il loro picco, le banche d’affari, Goldman Sachs in testa, parlarono addirittura di un “superciclo” in atto, cioè un movimento di crescita che sarebbe dovuto durare vari lustri. Il petrolio era visto in salita fin oltre i 200$ al barile, da Barclays per esempio, che ancora ad aprile 2013 era super rialzista, con l’oro nero che in quel momento viaggiava poco sopra i 100$.
Anche sull’oro si è detto di tutto e di più. Fino al 2012, dopo oltre 10 anni di crescita, puntare al rialzo sembrava un’ovvietà. Poi, dopo vari scossosi, nell’aprile 2013, Goldman Sachs iniziò a essere ribassista, ma solo dopo che l’oro da 1900$ era calato a 1550$. Peccato che nei tre anni precedenti e con prezzi più altri del 20%, aveva suggerito di fare l’opposto. Pochi mesi fa, invece, aveva visto il petrolio destinato a finire sotto i 20$; oggi invece, pur nel giorno della Brexit, è poco lontano dai 50$.
E che dire del ferro? A fine 2015, in crisi totale e con un’enorme offerta sul mercato, Citygroup lo piazzava a 30$ la tonnellata mentre la solita Goldman lo stimava sotto 40$ sino al 2018. Oggi, dopo pochi mesi, il ferro quota sopra 50$.
Ma è una vecchia storia che riguarda ogni mercato: quando le cose vanno bene, i grandi operatori finanziari globali seguono, più o meno ordinatamente, lo stesso mantra: “non disturbare il conducente e mettiti in scia”. E lo fanno sino al giorno prima del crac, avvenuto il quale, inizia il mantra opposto: disastri perenni e interminabili, quindi consigli di fuga generalizzati. La vicenda dell’oro, ma anche del petrolio, è esemplare.
Dopo di anni di magra, quando dagli oltre 1900$ l’oncia del 2011 scese la scorsa esatte sotto i 1100$, per l’oro sembrava arrivato il giorno del giudizio. Un analista di Goldman Sachs disse all’agenzia Bloomberg che il peggio doveva ancora arrivare e che la quotazione sarebbe arrivata presto sotto i 1000$. Altri vedevano ancora più nero tanto che il Sole24Ore dedicò la copertina di Plus24 del 1 agosto 2015 al metallo giallo con un titolo piuttosto esplicito: “Fuggire dall’oro”. Il pessimismo era generalizzato. Anche per Abn Amro e SocGen il lingotto era destinato a calare a 1000$ entro fine anno, mentre Morgan Stanley aveva un target di prezzo addirittura a 800$.
I titoli auriferi invece, cioè le azioni delle compagnie minerarie, sulla scia dell’oro dall’agosto scorso addirittura sono mediamente raddoppiati, e uno dei principali indici del settore, il Philadelphia Gold&Silver Index, che ad agosto 2015 scese a 43 punti, viaggia oggi attorno ai 90. Il principale titolo aurifero del mondo, invece, quello della compagnia mineraria canadese Barrik Gold, che ad agosto 2015 era finito sotto i 6$, oggi dopo neanche un anno supera i 20$, facendo segnare un guadagno di oltre il 200%.
Lo storico della finanza Peter Bernstein scrisse in un suo celebre libro sull’oro: “mentre il prezzo dell'oro saliva dai 375 dollari l'oncia del 1982 ai quasi 500$ toccati dopo il crollo del mercato azionario del 1987, le banche centrali effettuarono poche vendite. Quando il prezzo scese a 350$ nel 1992 ne furono collocate circa 500 tonnellate. Nel periodo compreso tra il 1992 e il 1999, tuttavia, quando il prezzo precipitò sotto i 300$, le banche centrali liquidarono 3000 tonnellate d’oro, ovvero 400 tonnellate l’anno. Per svendere non occorre necessariamente essere dei dilettanti”.
E se andiamo a vedere quel che consigliavano sull’oro le grandi case di investimento a fine 2015, alla vigilia cioè del miglior inizio anno degli ultimi 30 per il metallo giallo (+24% circa), e cioè un pessimismo cosmico generalizzato, la lezione di Bernstein non sembra sia stata ancora compresa.
L’unico che l’ha capita è forse Ben Bernanke, che poco prima di lasciare la guida della Federal Reserve (la banca centrale americana), interrogato sui forti movimenti del metallo prezioso, ammise: “Nessuno comprende veramente le quotazioni dell’oro e non pretendo di comprenderle neppure io”.
Da Goldmam Sachs però insistono. Il primo di aprile il Sole24Ore ha pubblicato una dichiarazione della società secondo cui il recente rally sarà di breve durata e l’oro tornerà presto sotto 1200$, chissà! Intanto lo spetto della Brexit, presente da tempo, si è materializzato e l’oro si è riportato ben sopra quota 1300$, con una punta nella calda notte inglese a 1350$, come non accadeva da oltre due anni.







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