Pubblicato il 3 novembre 2014 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
Domenica scorsa ricordavo il disastro immobiliare annunciato dieci anni fa. Per una curiosa coincidenza il giorno dopo, su La Repubblica, il prof. Alberto Ziparo, docente di pianificazione urbanistica all’Università di Firenze, riportava dei dati piuttosto sconvolgenti sul numero di abitazioni vuote sparse lungo lo stivale, un argomento che trattai sempre nel 2004, quando scrissi un articolo intitolato “Un futuro pieno di case vuote”.
L’allarme che lanciavo allora era che il numero di abitazioni già presenti sul territorio, unito al trend di crescita delle costruzioni e quello in decrescita della popolazione avrebbe creato una situazione drammatica per il valore degli immobili residenziali, oltre che un disastro per la qualità ambientale e la salute del territorio, che avrebbe provocato un’ulteriore spinta al deprezzamento degli stessi.
Io ragionavo sul numero degli edifici, l’unico dato che possedevo allora, che nel 2004 erano oltre 13 milioni, di cui 11 residenziali. E se è vero che sbagliai in eccesso, stimando una media di 4 appartamenti per edificio (in realtà erano poco meno di tre), per un totale di circa 30 milioni di unità abitative, avevo invece addirittura sottostimato la crescita di ulteriori edifici, che ponevo in 500mila, contro il milione e mezzo di nuove strutture effettivamente costruite in questi anni. Il risultato alla fine non cambia molto, e ciò che era stato teorizzato si è verificato: una notevole sovrabbondanza di vani rispetto alla popolazione residente; un dato che andrà oltretutto a peggiorare nei prossimi anni anche per l’ulteriore aggravarsi delle dinamiche demografiche italiane, con nuovi minimi nelle nascite, soprattutto al sud, e un calo dell’immigrazione che oggi è accompagnato da una ripresa dell’emigrazione.
L’analisi del prof. Ziparo contiene anche un interessante dato sulla volumetria secondo cui “appare accettabile la stima di OLT (Osservatorio sui Laboratori Territoriali) di almeno di 18 miliardi di metri cubi edificati, di cui 15,5 miliardi (84,3%) residenziali, laddove il fabbisogno nazionale aggregato è di 6,2 miliardi di metri cubi (siamo 62 milioni di persone, includendo una stima molto largheggiante anche degli immigrati non censiti)”. Ma il dato che lui stesso definisce sconvolgente, e che anticipa di anni una situazione che io avevo ipotizzato si sarebbe potuta realizzare successivamente al 2020/24, con l’inizio del pensionamento dei baby boomers, è il numero di appartamenti vuoti in Italia: oltre 7 milioni. Scrive Ziparo: “quasi un alloggio su quattro è vuoto, con una punta presentata dalla Calabria con una quota pari al 40%; seguono Sicilia e Sardegna con circa il 30% del patrimonio abitativo inutilizzato. In Piemonte un alloggio su quattro è vuoto, laddove in Veneto e Toscana il rapporto è di uno su cinque, circa poco meno del Lazio (22%) e poco più della Lombardia (16%)”. Ma che succede Romagna?
Dai dati Istat relativi all’ultimo censimento, in Emilia-Romagna risultavano essere presenti 2.353.000 abitazioni di cui 487.000 vuote o occupate da non residenti, il 20%, una delle percentuali più basse in Italia. Il dato relativo alle abitazioni presenti sul territorio rispecchia fedelmente quello della popolazione. Infatti in Emilia-Romagna vive il 7,3% della popolazione italiana, mentre il 7,5% è la percentuale totale (occupate e non) di abitazioni presenti in regione rispetto al dato nazionale. Se facciamo allora un rapporto con la popolazione residente, in Romagna le case vuote dovrebbero essere circa 120.000, e considerando che nella provincia di Rimini abita il 7% circa dei cittadini regionali, il numero di case vuote attribuibile ai comuni del riminese è di circa 34.000 unità, di cui quindi più o meno la metà nella sola Rimini. E se consideriamo la vocazione turistica di Rimini, e la strutturale maggior presenza di seconde case sul nostro territorio rispetto ad altre realtà, possiamo stimare in oltre 15.000 il numero di alloggi vuoti o occupati da non residenti.
Per questo la settimana scorsa, riflettendo sulle circa 3000 abitazioni in vendita a Rimini, scrivevo che questa offerta è destinata ad aumentare, sia a causa della la crisi, che forzerà le esigenze di liquidità dei proprietari, sia per l’evoluzione della popolazione e il trasferimento per successione degli immobili a eredi che li porranno in vendita a prezzi ridotti, non essendo costoro legati ai valori gonfiati del passato, che ancora invece illudono molti vecchi proprietari.
Le strade per uscire dalla secca immobiliare ci sono, e possono anche migliorare la qualità della vita. Una di queste passa per l’allargamento della dimensione delle abitazioni, che produrrà una riduzione del numero delle stesse e una contrazione dell’offerta. Un ritorno al passato, quando non c’era l’ossessione della proprietà, si stava in affitto più serenamente e a prezzi più bassi, in case più ampie e di qualità. “Qualità”, una parola dimenticata da molti dei responsabili della ciclopica infornata di cemento degli ultimi 10 anni, che deve essere recuperata per giustificare un nuovo sforzo economico da parte dei compratori e che si dovrà sposare con una mutata concezione di vita anche da parte della popolazione: maggior mobilità, più contratti di affitto, canoni ridotti ma con certezza esecutiva negli sfratti, una tassazione che dovrà penalizzare ancora di più lo sfitto e il vuoto, anche commerciale, per forzare un riequilibrio del mercato e una riduzione della rendita immobiliare, da sempre produttrice di capitale morto, sottratto a chi crea lavoro o al consumo collettivo. Un cambio epocale che, come sempre accade, avrebbe fatto meno morti se fosse stato avviato a suo tempo, ma ugualmente necessario oggi.
