Pubblicata il 4 ottobre 2014 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
La sua newsletter settimanale di strategia, Il Rosso e il Nero (disponibile a tutti su www.kairospartners.com) è uno degli appuntamenti più interessanti, particolari e seguiti del mondo finanziario italiano. Eclettico, di formazione filosofica ma prestato da sempre alla “scienza triste”, abbiamo oggi il piacere di ospitare Alessandro Fugnoli, strategist del gruppo Kairos, una delle eccellenze italiane della finanza e dell’asset management indipendente, che proprio in questi giorni festeggia i 15 anni di attività (vedi box in pagina).
John Galbraith diceva che “il mondo della finanza continua ad acclamare l’invenzione della ruota, spesso in una versione un po’ più instabile”. Che ne pensa?
La finanza produce innovazione, forse fin troppa, viene da dire. Prima della crisi del 2008 le sale operative si erano riempite di fisici e matematici che scrivevano equazioni che capivano solo loro. Gli economisti non riuscivano a stare dietro e il buon senso nemmeno, alle volte. Un cosmologo può divertirsi a immaginare universi e pluriversi teoricamente possibili senza fare danni, ma se si va a incidere sull’unico mondo con cui abbiamo a che fare tutti i giorni bisogna stare attenti. Detto questo, la finanza deve servire all’allocazione ottimale delle scarse risorse economiche, non a sé stessa. La crisi l’ha riportata verso il suo obiettivo e ora si presta più denaro per le attività produttive e meno per il trading. Ricordo anche che la ricchezza finanziaria è l’altra faccia del debito pubblico, enormemente aumentato nei paesi sviluppati negli ultimi tre decenni, nonché della creazione di base monetaria da parte delle banche centrali. Dove non c’è finanza, del resto, o c’è povertà assoluta o c’è una pessima allocazione delle risorse. Si tratta quindi di scegliere il male minore e di regolarlo al meglio.
Nei secoli si sono susseguite le egemonie di diverse nazioni e popoli. Se prendiamo solo gli ultimi secoli, dalla Spagna si è passati alla Francia, poi l’Inghilterra sino a tutto all’800, mentre gli USA hanno dominato il ’900. Per completare la sequenza il nome ovvio che si fa è la Cina: in termini di opportunità finanziarie sarà veramente così?
La Cina è la dimostrazione del fatto che anche con poca finanza e con le banche dedite quasi esclusivamente a finanziare le imprese si può creare un sistema a rischio. Prestare troppo alle imprese può indurre a costruire fabbriche, quartieri e città anche quando non c’è una effettiva domanda finale. Può insomma provocare crisi bancarie e danneggiare l’economia esattamente come il prestare troppo poco e strangolare le imprese. Oggi gli Stati Uniti sono strutturalmente molto più stabili e forti della Cina. Vanno più piano, certo, ma non rischiano di sbandare e finire fuori strada. Finché riuscirà ad attrarre cervelli e capitali da tutto il mondo con un sistema aperto che favorisce l’incontro tra soldi e innovazione l’America manterrà la sua egemonia economica, militare, politica e culturale.
Il 4 settembre, nella sua newsletter “Il Rosso e il Nero” lei scrisse: “può succedere (o profilarsi) il meglio o il peggio, ma borse e bond si comportano come se si trovassero in un mondo noiosamente tranquillo, strutturalmente solido e privo di inflazione e di deflazione”. Sembra la descrizione di un villaggio Potëmkin, piacevole all’apparenza, ma falso in ogni sua parte. Tutto ciò non la preoccupa?
Rispetto a settembre vediamo già i primi segnali di graduale ritorno alla realtà. L’economia va meglio, almeno in America, e nei mercati finanziari c’è un certo nervosismo. Va bene così. L’idillio dei mercati è servito a dare un po’ di vita e di colore a un’economia globale collassata. Se la ripresa si consoliderà, come è perfettamente possibile se non si commetteranno gravi errori di policy, i mercati finanziari saranno meno coccolati dalle banche centrali e verranno svezzati. All’inizio si troveranno spaesati ma poi, se la crescita economica accelererà, torneranno in carreggiata.
Tassi euro di fatto a zero, BTP che rendono meno dei treasuries, inflazione svanita, rendimenti high yield poco interessanti: sembra uno scenario da incubo per i bond. Da anni però si annuncia la fine del toro nel mercato obbligazionario, durato trent’anni: ci siamo davvero?
Speriamo, viene da dire, perché i bond forti sono un segno positivo di inflazione sotto controllo e di solidità degli emittenti, ma bond troppo forti, come in questa fase storica, diventano invece un segnale di bassa domanda di credito e di possibile deflazione e vanno guardati con una certa cautela, perché sono sostenuti artificiosamente da acquisti diretti da parte delle banche centrali o comunque dalla liquidità d’emergenza da queste creata. Consideriamo anche il fatto che le banche centrali proclamano ad alta voce la volontà di fare risalire l’inflazione e prima o poi ci riusciranno. Quando accadrà, o scenderanno i prezzi dei bond o diventerà ancora più negativo il loro rendimento reale. A quel punto si potrà comunque tenere in portafoglio una certa quantità di obbligazioni, ma solo a titolo di assicurazione in caso di ricaduta dell’economia globale nella crisi. Se, come ci auguriamo, l’economia ripartirà, sarà l’azionario a dare un ritorno positivo, non i bond.
Debito sempre in crescita, recessione, disoccupazione a livelli drammatici, edilizia al tracollo. Lo spread dell’Italia però è 400 punti sotto quello di 2/3 anni fa. Come mai?
In tempi normali lo spread è un indicatore del merito di credito, ovvero della solidità economica del debitore. Da quando però le banche centrali hanno iniziato a comprare bond (o si sono dette pronte a farlo, come ha fatto la Bce nel 2012) lo spread è diventato un indicatore della volontà politica di sostenere un debitore da parte di chi ha la facoltà di creare moneta. Nel 2011 la cancelliera Merkel esaltava la funzione pedagogica dello spread come incentivo verso comportamenti virtuosi da parte delle cicale d’Europa. Rispetto ad allora è successo che la Germania si è resa conto che cure troppo energiche non trasformano la cicala in formica, ma la fanno morire. Le cicale, dal canto loro, hanno cambiato, chi più chi meno, i loro comportamenti. Quelle che hanno tagliato la spesa pubblica, come l’Irlanda (o il Regno Unito, che non è nell’euro, ma ha tagliato di mezzo milione di unità gli impieghi statali) oggi hanno occupazione ed economia in forte crescita. Quelle che hanno deciso di non tagliare quasi niente e di aumentare le tasse (Francia e Italia) oggi non stanno tanto bene. Tutte le cicale, in ogni caso, si sono date da fare e la Germania ha dato loro credito. Finché sarà così, lo spread resterà basso. E’ comunque importante capire che lo spread non è regolato da Londra (i mercati) o da Francoforte (la Bce), ma da Berlino.
La piccola borsa italiana è un investimento interessante o è sempre in balia dei furbetti e del capitalismo familiare nostrano?
La partita della ripresa globale si gioca in Europa. La partita dell’Europa e dell’euro si gioca in Italia e in Francia. L’Italia che fa una mossa sbagliata rischia di finire nel burrone, l’Italia che fa una mossa giusta diventa una eccellente occasione d’acquisto. Tutti ci guardano e tutti sono pronti a scappare di corsa o a tornare di corsa a seconda di come ci comportiamo. E’ il mondo, ormai, a fare salire e scendere la nostra borsa, non i furbetti. Certo, un investitore italiano deve avere una buona diversificazione nel suo portafoglio (come deve averla qualsiasi investitore al mondo). Giocando però in casa in un paese così decisivo per le sorti dell’economia globale, può anche pensare molto legittimamente di avere un grado di comprensione della situazione migliore di quello di chi ci vede da fuori. Perché rinunciare a questo importante vantaggio competitivo?
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Un libro per i 15 anni di Kairos
Nato a Londra nel 1999 grazie al lavoro di Paolo Basilico, una delle figure più illustri della finanza italiana nel mondo, che da allora lo guida, il gruppo Kairos è tra le poche realtà imprenditoriali indipendenti di successo nel settore finanziario in Italia, con 6,5 miliardi di euro di masse gestite, 140 collaboratori, 22 partner e varie sedi in Europa. Per festeggiare i primi 15 anni è stato pubblicato il libro Kairos 15 – Il volto di una finanza amica scritto da Basilico, dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, dallo scrittore Moreno Gentili e da Alessandro Fugnoli, nostro ospite oggi. Un testo che nelle intenzioni degli autori è un manifesto per il futuro dedicato ai giovani. Ai ragazzi più in difficoltà si rivolge invece la “Fondazione Oliver Twist”, nata nel 2005 grazie alla volontà e al sostegno di Kairos e del patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio, e che in 9 anni ha sviluppato oltre 40 progetti per un totale di 10 milioni di euro.
