Tra polli spennati e grassi maialini della finanza italiana

Pubblicato il 9 luglio 2014 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Ci sono alcuni spot relativi ai prodotti bancari e finanziari abbastanza divertenti e che sfruttano in modo maestrale il cronico lassismo informativo degli italiani sulla materia.
In uno che circolava assiduamente sino a qualche mese fa, una suadente voce femminile poneva al telespettatore un paio di domande esistenziali, per poi affermare che la vera domanda vitale era “perché devo pagare quando prelevo col bancomat?”. Era la Ing Direct che sponsorizzava uno dei servizi associati al Conto Arancio. Nulla di male, né di errato, se non fosse che Conto Arancio è un conto di una banca online, non un servizio bancario tradizionale, e che siamo nel 2014, non nel 2000. Dico 2000 perché è circa da allora che quasi tutti i maggiori fornitori di servizi bancari non tradizionali hanno iniziato a offrire bancomat che non prevedono l’applicazione di costi quando si preleva anche al di fuori del circuito della propria banca. E’ un peccato veniale, uno spot furbo che fa leva sull’ignoranza generale, e che fa sembrare particolarmente innovativo chi ti sta proponendo della cara e vecchia acqua calda.
Più interessante è il caso di Mediobanca che ha da poco lanciato un’insolita una campagna pubblicitaria per promuovere i fondi comuni venduti dalla controllata Che Banca (la consulente finanziaria Roberta Rossi di Lerici ha scritto uno spassoso pamphlet su Che Banca e su questo spot fatto di maialini; lo trovate nel sito www.moneyreport.it.).
Già di per sé Mediobanca che sponsorizza dei fondi comuni è un fatto che fa sorridere, dato che è sempre stata la più acerrima fustigatrice di questi strumenti (vi avevo dedicato un articolo anni fa). Mediobanca infatti è una banca d’affari, cioè una banca che raccoglie denaro e lo investe in partecipazione varie. Le sue azioni in pratica sono una specie di quote di un fondo comune, perché lo scopo delle due istituzioni è stato per molto tempo lo stesso. I fondi quindi sono sempre stati dei temibili concorrenti, non tanto per le interferenze sul sistema di controllo delle imprese italiane (se non di recente), quanto su quello della canalizzazione del risparmio degli italiani. Mediobanca, cioè, esattamente come fanno tante società di gestione dei fondi, ha stipulato accordi commerciali con vari istituti bancari per collocare sul mercato le sue obbligazioni, spesso costruite con strutture complesse, ma accattivanti. Ora, se un risparmiatore acquista dei fondi poi magari non ha più risorse da destinare ai bond Mediobanca, devono aver pensato in via Filodrammatici. Così l’appuntamento annuale con i report di Mediobanca sui fondi è sempre stata l’occasione per dire esattamente il contrario di quel che si narra oggi nello spot “bestiale” di Che Banca, e cioè che il risparmio gestito è in realtà un’ottima scelta. Hanno cambiato idea sui fondi? Probabilmente la loro idea è stata sempre quella di oggi. Hanno solo esteso il loro business, e dato che il risparmio gestito non è più gestito solo da altri, hanno messo in moto il loro ufficio di marketing. Nel caso del “Risparmio Gestito Che Banca”, poi, una “grande promozione” è stata quella di offrire i fondi in prova sino al 30 giugno (manco fossero detersivi) facendo pagare ai clienti “solo” le commissioni di gestione. Dopodiché si pagheranno anche le commissioni di ingresso. Cioè un balzello anacronistico, derogabile da anni sia dalle banche che dai promotori (magari poi sono in pochi quelli eticamente sensibili che lo fanno, ma questo è un altro discorso), tanto che il cliente che se li piglia senza fiatare (e ce ne sono molti) sa un po’ di cliente con l’anello al naso, come quel giocatore di poker che seduto al tavolo verde non sa chi è il pollo di turno da spennare, il che vuol sempre dire che il pollo è lui. Ma nello spot di Che Banca sono stati più furbi e invece dei polli i clienti li hanno raffigurati come maialini.
Battute a parte, l’aspetto forse più negativo di questo tipo di comunicazione l’ha colto Roberta Rossi a proposito di un altro spot di Che Banca, quello sul conto corrente in cui è raffigurato «un brutto stereotipo dell’italiano medio che preso dall’entusiasmo del contesto “fanfarone” fa un passo importante come scegliere la banca su cui depositare i propri soldi senza forse metterci nemmeno un briciolo di ragionamento attratto dal refrain, dai colori e dall’imponente impiego di mezzi».







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