Pubblicato il 2 giugno 2014 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
Alcune sono obbligatorie altre, per malattie che sembrano più gravi, solo facoltative. La varicella è trattata come la pertosse, la meningite, in crescita, meno della polio oramai rarissima. Sono le discusse vaccinazioni pediatriche e ne parliamo oggi con il dott. Maurizio Bigi, direttore della U.O. Tutela Salute Famiglia Donna ed Età Evolutiva della Ausl di Rimini.
Non c’è un po’ di caos in tutto ciò?
Pienamente d’accordo. La suddivisione tra facoltative e raccomandate è anacronistica, va superata. Le vaccinazioni dovrebbero essere proposte tutte allo stesso modo. E’ vero che ci sono malattie più o meno rischiose, le cui vaccinazione hanno diversi livelli di priorità. Certo, consiglio più la raccomandata contro la meningite, piuttosto difterite o tetano a due mesi di vita, che vanno comunque fatte. Ma la strada intrapresa è quella di renderle tutte raccomandate. Il concetto che però deve passare è quello di prevenzione.
Molti temono troppi vaccini tutti assieme…
Medici e ricercatori studiano per combinare il maggior numero di vaccini; è più pratico, aumenta la risposta immunitaria e non crea alcun rischio.
Quanti casi reazioni avverse ci sono stati nell’ultimo anno a Rimini?
6 lievi, di cui 1 più grave, ma risolti tutti senza complicazioni nel giro di pochi giorni.
Molti si chiedono se non sia troppo presto iniziare a vaccinare a due mesi…
Si sente dire spesso che il neonato non ha un sistema immunitario sufficientemente evoluto e che la barriera emato-encefalica non è ancora sviluppata. L’immunologia però dice ben altro. Quando noi vacciniamo diamo 6 antigeni tutti assieme, ma per il sistema immunitario del bambino un banalissimo raffreddore vuol dire far fronte a qualcosa come 450/500 antigeni, che lui gestisce tranquillamente. Idem per le varie infezioni neonatali da cui guariscono. Vuole che il sistema immunitario del neonato abbia dei problemi ad affrontare 6 antigeni? Questa storia è una bufala, altrimenti vorrebbe dire che gli immunologi di tutto il mondo sono coalizzati in un grande complotto.
Nella scelta vaccino/non-vaccino devo paragonare probabilità di malattia e complicanze con quella di danno vaccinale. Nel caso dell’Epatite B, se guardo i dati ufficiali sembra che i potenziali danni del vaccino superino in % quelli da malattia…
Così però si perde il senso della prevenzione e il ragionamento viene falsato. Nel momento in cui decido di vaccinare una popolazione devo fare un calcolo costi benefici e il costo della malattia è molto elevato e se la elimino, elimino anche un grande costo. L’altro aspetto da considerare è che i dati si riferiscono a una situazione di normalità. In caso di epidemia il rischio di complicanze è ben maggiore e i numeri cambiano molto. Guardi l’influenza, è una della malattie infettive che ha prodotto il maggior numero di morti, e le complicanze gravi ci sono state soprattutto durante le epidemie.
Però a tre mesi l’anti epatiteB a che serve?
Se uno mi chiede “dimmi solo i vaccini indispensabili da subito altrimenti non faccio nulla”, io rispondo che se proprio dobbiamo sacrificare una vaccinazione scegliamo l’ epatite B, e si faccia però la raccomandata contro la meningite. Il problema è che in un programma di prevenzione io devo tener conto di tantissime variabili e una importante è poter intercettare la popolazione nel momento più utile affinché la vaccinazione sia di massa, e quindi sia efficace, e questo momento è alla nascita. E visto che dispongo di un vaccino che non dà danni, devo procedere. Altrimenti provi lei a correre dietro ogni ragazzino di 10 anni…
Dal punto di vista del Sistema Sanitario Nazionale non fa una piega, ma un genitore può ragionare in modo diverso. E questo discorso non vale per il tetano, che non è contagioso. Statisticamente se non fossimo vaccinati in Italia ucciderebbe circa 10 persone l’anno, più o meno le stesse che muoiono per puntura d’ape: è negligente un genitore che non vaccina contro il tetano rispetto a chi lascia giocare i figli nei campi?
È vero, posso pensare per me, e diversamente. Però nei paesi nordici dove non c’è nessun obbligo si hanno dei tassi di copertura vaccinale più alti dei nostri, perché maggiore è il senso civico. Ma voglio anche dire che genitori che hanno dubbi e decidono di non vaccinare non devono essere considerati degli incoscienti. Dobbiamo essere noi bravi dare i messaggi giusti, i toni urlati non li sopporto. Spesso mi chiamano quelli del Comilva, che rispetto, ma non accetto i loro inviti perché non è ancora il momento di confrontarsi, perché io voglio un confronto scientifico, non gli slogan. Per tornare a noi, i programmi di prevenzione sono strutturati in un certo modo affinché possano dare i maggiori risultati nel lungo periodo. Ma questo avviene se si ha il senso civico di seguirli in massa. E se il 95% della popolazione è vaccinata il 5% che non si vaccina, grazie agli altri, è salvo lo stesso. E’ il concetto della “herd immunity”.
Che non vale per il tetano…
Per il tetano no, è vero, e i numeri della malattia sono sicuramente bassi. Però io ho fatto 15 anni di pronto soccorso in pediatria e tutte le volte che arrivava un bambino con una ferita chiedevamo se era stata fatta l’antitetanica. Ai genitori dei bimbi non vaccinati proponevano le immunoglobuline contro il tetano, il 95% accettava. Ora, le immunoglobuline sono un tipo di approccio per il quale la risposta è molto meno efficace rispetto alla vaccinazione, e con un rischio maggiore. Quindi, se la malattia, per quanto rara, c’è e ho un vaccino sicuro, perché non devo usarlo?
Alcuni medici sostengono che le malattie esantematiche sono modi per allenare il sistema immunitario, e se le prendi e le superi alla fine avrai un fisico più sano. Cosa risponde?
L’immunità naturale è sempre un’immunità più certa, piuttosto di quella indotta col vaccino. Ma noi non abbiamo l’obiettivo di dire: “creiamo la popolazione più forte possibile che se poi ne perdiamo qualcuno per strada, pazienza”. Non dobbiamo creare un soldato puro come a Sparta, dobbiamo prevenire. La varicella per esempio, ha un costo sociale molto alto. Inoltre lei non guardi le complicanze letali della malattia, che sono rarissime, ma quelle classiche che sorgono quando c’è un’epidemia, come l’impennata di polmonite. Di queste una parte si aggrava; i bambini guariscono, certo, ma non avranno mai più la funzione respiratoria di prima, avranno magari un 20% in meno. Non diventeranno atleti; potranno diventare premio nobel, ma dovrà dire a suo figlio che non avrà un polmone come gli altri. Idem con il morbillo, che ha complicanze che possono essere molto più gravi.
La prevenzione prima di ogni altra considerazione quindi…
Guardi, sa qual è il rischio maggiore che correrà il suo bambino quando andrà all’asilo? Quello dell’HIV. Noi abbiamo molti bambini portatori di HIV, abbiano gli elenchi, e sono molti di più di quel che crede. Ma non lo sa il bambino di averlo, non lo sa l’insegnante, né l’insegnante di ginnastica, non lo sa nessuno perché c’è un sacrosanto diritto alla privacy. E lei mi dirà: “Siete dei disgraziati, mio figlio è in classe con un bimbo con l’HIV e rischia di prenderla?” No, un sistema di prevenzione c’è, ed è quello di dire agli insegnanti che in caso di ferita bisogna comportarsi sempre in un certo modo e considerarla sempre potenzialmente infetta. Questo è il top della prevenzione in questo caso. Capisce quante falle sono? Ma se avessi un vaccino per HIV avrei un sistema formidabile, e risparmierei i costi enormi della gestione della malattia, costi che vanno a pesare su tutti. Usiamo i vaccini che abbiamo, sono una risorsa preziosa per tutta la comunità.
Anche con incentivi economici ai medici che vaccinano?
Al momento non ve ne sono, ma non sono contrario a usare questo strumento se serve ad aumentare la copertura vaccinale.
