Pubblicato l’11 gennaio 2014 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
Un amico mi telefona ieri sera e mi dice: “Il consulente di mio fratello gli ha detto di uscire dagli investimenti nei BRIC (acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina), vedendo un particolare pericolo sul Brasile, che ne pensi? Oltretutto ho una conoscente che sta in Brasile e che sostiene che la situazione sta per collassare e che lei se ne andrebbe se potesse”.
Ricomincio a scrivere di finanza dopo una breve pausa natalizia affrontando, attraverso un caso concreto, un vero classico: le previsioni di inizio anno. E nulla di più dibattuto è il destino dei paesi emergenti. Che fare dunque?
La prima cosa che mi viene in mente è cosa ne pensavano gran parte dei guru e degli esperti non solo all’inizio del 2013, ma ancora ad aprile scorso. BRIC o non BRIC, gli emergenti erano i più quotati, specialmente sul fronte obbligazionario, mentre ad oggi, oro a parte, si sono rivelati il più grosso flop dell’anno appena chiuso. Oggi guarda un po’, tutti sono molto più morigerati e timorosi ed è facile trovare su quasi ogni report avvisi di grande cautela, quelli che deve aver letto un po’ ovunque anche il consulente di cui sopra. Certo, se gli avvisi di cautela fossero stati diffusi prima di un calo come quello del Brasile dell’ultimo anno (-28%, indice MSCI Brazil in euro, -40% in 4 anni), sarebbe magari stato meglio.
Alla domanda “Che faranno nel 2014 gli emergenti”, un qualsiasi analista o consulente serio credo dovrebbe rispondere semplicemente: “non lo so”. Il che non vuol dire ignorare questa area di investimento, che resta tra le più interessanti (oltre che tra le meno care in assoluto se guardiamo ai rapporti prezzo/utili delle azioni o ai rendimenti offerti dalle obbligazioni), e con delle valute sotto pressione che nel 2013 si sono parecchio svalutate sull’euro.
Vuol dire avere consapevolezza che durante i periodi di difficoltà si fanno spesso buoni affari per il lungo periodo, e il 2014 forse sarà un buon anno per accumulare del denaro, magari distribuendo l’ingresso nel corso del tempo, su aree che stanno ancora sbollendo l’euforia passata e che, appunto, sono ben lontane dai loro massimi. Sul Brasile poi, e sulla signora preoccupata, mi viene in mente un aneddoto.
A fine agosto 2008 conobbi a un corso in Thailandia una sudafricana responsabile editoriale di un’azienda di Pretoria. Parlavamo dei rispettivi lavori e di investimenti e rimase molto stupita quando le dissi che il Sud Africa era considerato come terra di grandi opportunità. Lei vedeva una realtà molto diversa, piena di disuguaglianze e soprattutto di grande corruzione e incapacità politica che avrebbero portato al collasso del paese. Dal 1 settembre 2008 a oggi la borsa sudafricana, contando in euro, è salita di oltre il 40% (MSCI South Africa in €), mentre in valuta locale, quella usata dalla signora, superiamo l‘80%.
In generale le grandi crisi e i grandi shock sono spesso arrivati a interrompere periodi di festa, non di magra. Il 1928, alla vigilia del grande crollo, era il massimo dell’euforia e da mezzo mondo accorrevano a New York. L’Italia degli yuppies e del craxismo del 1986 era tutt’altro che un mondo pessimista, ma il crollo di quell’anno costrinse la nostra borsa a 10 anni di sofferenza prima di rivedere e superare quei massimi. La Cina del 2007, con l’indice di Shanghai quasi a 6000 era, e lo è ancora, un mondo comunque in forte crescita che stava sbaragliando tutti in ogni campo, ma oggi il listino cinese è poco sopra i 2000 punti! E iper euforia c’era nel Giappone di fine anni ottanta, ma il suo crollo fu il più rovinoso di tutti.
Ma anche se la percezione della signora che abbiamo preso ad esempio fosse vera, quando in un paese si respira aria di crisi tanto che chi vi abita pensa davvero di andarsene, è probabile vi sia una situazione in cui sui mercati di quel paese i grandi capitali hanno già levato le tende da tempo, spesso comunque in ritardo, come in tutti i casi sopra citati.
Per fare un esempio, la borsa Egiziana, quella di un paese che negli ultimi due anni non è stato proprio un polo di attrazione, da gennaio 2012 è in crescita del 50%, e il danno più grosso lo ha avuto chi era investito prima della rivoluzione.
Non ci sono pasti gratis, mai. Ma ogni anno si fa finta di dimenticarselo chiedendosi a gennaio dove investire al meglio, chissà perché poi proprio a gennaio, come se i singoli cittadini fossero delle aziende che devono chiudere i conti della propria vita personale a fine anno.