Lawrence d'Arabia non abita più qui
Pubblicato l'8 dicembre 2004 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

"Se su di un confine non passano le merci, vi passeranno i cannoni"
Frédéric Bastiat

Lo aveva detto un anno e mezzo fa, alla vigilia della guerra: "In caso di prolungarsi del conflitto il petrolio arriverà 50 dollari". A parlare era uno dei grandi guru mondiali, lo sceicco Yamani, che negli anni settanta fu l'artefice della violenta politica commerciale dell'OPEC e che oggi, da Londra, monitorizza il mercato mondiale dell'oro nero. In questi giorni si è rifatto vivo invitando i paesi arabi a riaprire le porte alle multinazionali occidentali (quelle che una volta erano le mitiche "sette sorelle") pena il ritorcersi contro se stessi di prezzi troppo elevati e troppo a lungo.
Perché è importante quello che dice Yamani? Perché rappresenta la prova vivente del legame siamese che unisce America ed Europa al Medio Oriente, e se va in crisi una regione, soffre pure l'altra.
Ho sempre avuto dubbi sulle teorie che vedono nelle vicende attuali i presupposti per uno scontro di civiltà; che vedono l'Eurabia invece della UE, sottomessa per ignavia ai "mori" feroci e cattivi.
Anche negli anni settanta le violenze che scoppiarono nell'area del golfo, dalla Guerra del Kippur in avanti, scatenarono il panico della incontenibile aggressione araba nell'opinione pubblica mondiale, soprattutto per l'aggravarsi della crisi energetica (a proposito dei catastrofismi di oggi, se rapportiamo i prezzi attuali con quelli di allora, si scopre che il petrolio del 1974 costava circa 80 dollari al barile!).
Miliardi di dollari in effetti iniziarono ad arrivare nelle tasche degli arabi; e cosa ne fecero questi nemici giurati dell'occidente? Li riportarono subito, dollaro più dollaro meno, là dove erano venuti, nei forzieri delle grandi banche commerciali dei paesi "civilizzati".
Le banche a loro volta riversarono tutto questo ben di Dio in operazioni un po' allegrotte, prestando denaro a mani basse ai governi dei paesi emergenti, che dopo pochi anni (il primo fu il Messico nel 1982) iniziarono ad andare in default uno dopo l'altro.
Le cose si stanno ripetendo anche oggi. Non si sa bene quanti dollari torneranno nelle banche occidentali, anche perché una parte sta finendo in alcuni hedge funds localizzati in territorio off shore, e creati ad hoc con la funzione del salvadanaio per alcuni stati arabi; ma è solo un passaggio in più per delle attività che torneranno sui mercati finanziari occidentali.
Quegli stessi mercati finanziari in cui stanno cercando pesantemente di entrare molti paesi dell'area del golfo. Vent'anni fa' nell'indice azionario della Morgan Stanley che identifica i mercati emergenti, l'area Medio Oriente e Africa era rappresentata da un solo stato, la Giordania. Oggi ve ne sono una decina, ma il numero è destinato a crescere.
Altro dato: negli ultimi 12 mesi sono aumentate moltissimo le emissioni di bond dei paesi arabi, anche nella forma di obbligazioni islamiche (dette "Sukuk"), che hanno un meccanismo di remunerazione che mette a posto la coscienza ai seguaci di Maometto (ai quali è vietato richiedere interessi): come si dice fatta le legge (divina) trovato l'inganno, e l'interesse si trasforma in una sorta di "affitto".
Signori, sono secoli che gli arabi arrivano dalla nostre parti con gesti clamorosi da parte dei più scalmanati di loro, ma non è mai cambiato nulla nella sostanza. E' vero sono morte 200 persone su un treno in Spagna e 2000 sotto le macerie di due grattaceli; scusate il cinismo, e allora?
Negli anni settanta, quando l'unico terrorismo che conoscevamo era quello made in italy, il mondo vero offriva spettacoli d'arte varia ben più drammatica, dalla guerra del Vietnam a Duvalier figlio (degno erede) terrore degli haitiani. Anche Amin Dada, in Uganda, faceva la sua parte, mentre Pol Pot, che voleva a tutti i costi salire sul podio del più stronzo, centrò l'obiettivo con qualche milione di cambogiani massacrati. E ancora Pinochet, i dittatori Argentini, ed altri galantuomini latini. Poi l'invasione russa dell'Afghanistan. Dimenticavo: eravamo in piena guerra fredda. Era forse un mondo migliore? Un mondo in cui l'Europa contava qualcosa? Qual era il suo ruolo?
Era semplicemente schiacciata dagli shock petroliferi con il mondo diviso tra russi e americani, e i soliti arabi che rompevano un po' i coglioni, ma che alla fine sono sempre tornati a bussare alle porte dell'occidente, vuoi per comperare armi, per depositare dollari, per fare affari. Un esempio? Negli anni '90 Bin Laden acquistò la Gum Arabic Company del Sudan, che produce l'80% della gomma arabica mondiale, necessaria tra l'altro per fissare l'inchiostro nella stampa dei giornali. Clinton fu costretto a togliere questa compagnia sudanese dall'embargo sotto pressione sapete di chi? Degli arabi? No!!! Della Newspaper Association of America che altrimenti avrebbe dovuto acquistare la gomma dai francesi, più cari.
Per sciagurata che sia, l'Europa di oggi conta certo di più di allora e l'euro, se resisterà, sarà una potente arma da usare nel sistema economico finanziario globale, perché è li che si giocherà la partita più importante anche per la sicurezza internazionale.
Noi possiamo anche continuare a distrarci con termini come Eurabia e a ragionare su come risolvere ipotetici scontri di civiltà. Intanto il resto del mondo andrà avanti e con ben altri obiettivi.
La riorganizzazione del grosso ed emergente mercato sudamericano, per esempio, sta avvenendo alle condizioni chieste non dagli americani, gabbati in casa loro, ne tanto meno dagli "eurabici", bensì da un pool formato da 5 stati veramente aggressivi (loro), e cioè Cina, India, Russia e Sud Africa, che insieme al Brasile stanno riorganizzando le sorti del commercio globale.
Il primo segnale lo si è avuto pochi giorni fa dalla capitale del Laos dove i paesi dell'Asean (una specie di UE del sud est asiatico), con un accordo storico con Cina, Giappone, Corea, India, Australia e Nuova Zelanda hanno gettato le basi per quella che in pochi anni (da 5 a 10) diventerà la più vasta area di libero scambio del pianeta. Ciò che accade nel mediterraneo rischia insomma di diventare sempre più trascurabile, senza che gli arabi ne abbiano alcuna colpa (merito).
Come ricordato in altre occasioni, hanno solo da perdere a creare seri casini dalle nostre parti, visto che siamo sempre stati i loro migliori clienti, e che lo saremo ancora per molto. Giustificare il nostro declino economico usando lo scontro di civiltà e i ridicoli costi del terrorismo (hanno pesato di gran lunga di più gli scandali societari) è un raccontare storie da governo populista. Il vero è che non possiamo più continuare a lungo con il nostro livello consumistico, volendo per giunta lavorare sempre meno e guadagnare sempre di più. E' un'illusione che non pagherà.
Nel frattempo, ci vorrebbe una specie di Lawrence d'Arabia moderno, che aiuti gli arabi a liberarsi da loro stessi (oggi come allora, sempre con l'aiuto-interferenza occidentale). In mancanza di ciò, proviamo, come voleva Bastiat nella prima metà dell'ottocento, ad incentivare gli scambi commerciali tra tutti gli stati del mondo, togliendo sussidi, vincoli e protezionismi vari: questo provocherà si uno scontro di civiltà, ma sarà, temo, uno scontro tutto interno al nostro vecchio mondo di protetti privilegiati.








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