Intervista a Paolo Sassetti – I rischi sistemici

Pubblicato il 4 ottobre 2013 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Paolo Sassetti è un consulente finanziario indipendente, analista di grande esperienza, con diverse pubblicazioni all’attivo, nonché esperto di venture capital. Con lui discuteremo dei rischi sistemici che incombono sugli investitori.

Un grosso gestore obbligazionario americano ha detto recentemente che pur ritenendo improbabile che Italia o Spagna vadano in default, non investe in questi paesi perché in caso di un loro collasso sarebbe colpito tutto il sistema, e che quindi chiunque detenga anche solo un’obbligazione sta indirettamente investendo in Italia, che gli piaccia o no. Motivo per cui non è opportuno aggiungere rischio al rischio. Che ne pensa?
E’ ovvio che tutto il sistema economico italiano sarebbe in qualche modo colpito da una crisi del Tesoro nazionale, basta pensare agli investimenti in titoli di Stato detenuti da banche ed assicurazioni. Devo anche aggiungere che – come ho dimostrato in maniera analitica in alcuni miei articoli – è assai probabile che in realtà l’Italia vada incontro ad un default, ma in stile greco (ristrutturazione del debito ed iniezione di liquidità) e non argentino (dichiarazione aperta di insolvenza), cioè “pilotato” dagli organismi internazionali onde evitare effetti a cascata troppo catastrofici. Questo evento – a mio avviso - è incerto solo nel tempi, cioè non “se”, ma “quando” si verificherà. Difficile, inoltre, stimarne gli effetti ora. Io penso che si cercherà di salvare le imprese – bancarie e non - a scapito dei patrimoni delle famiglie. Credo che le famiglie saranno chiamate a farsi carico del problema con una qualche forma di tassazione patrimoniale straordinaria.

A un convegno sull’oro tenutosi all’IT Forum di Rimini qualche mese fa si diceva che un italiano per il solo fatto di essere italiano (lavoro, servizi, previdenza, tutele, ecc..) è “lungo” sui BTP (cioè è come se avesse già una parte del suo patrimonio investito in BTP,), e per tale ragione chi vuole veramente diversificare deve andare “lungo” su beni reali slegati dal contesto nazionale come le materie prime, ma soprattutto l’oro. La convince questa soluzione?
L’oro non mi convince per nulla, è un attività che può entrare al massimo per il 5% in un portafoglio, è soggetta a fluttuazioni esagerate e non garantisce neanche il potere di acquisto nel lunghissimo termine. Vero è che un investitore italiano dovrebbe diversificare ampiamente fuori dai confini nazionali. Germania, Regno Unito, Svizzera, USA ed alcuni paesi emergenti sono i paesi candidati alla diversificazione di portafoglio. Forse lo stesso Giappone tornerà in auge, dipende se la cura monetaria cui è soggetto darà i suoi effetti sulla crescita, ma io credo di si.

Negli ultimi 12 mesi ci sono state tantissime emissioni di titoli ad alto rischio e alto rendimento (i cosiddetti high yield). Da tempo si lancia l’allarme su questi volumi, ma ancora il mercato tiene, c’è una bolla in questo settore?
Non parlerei propriamente di bolla nell’ high yield, sarebbe corretto parlare di bolla se i loro rendimenti fossero scesi a livello analogo o poco superiore ai titoli investment grade. Semmai direi che la bolla è stata sui Bund tedeschi e su talune altre obbligazioni statali e corporate di qualità che, però, sono persino giunte a produrre rendimenti negativi a scadenza. Ho visto investitori con questa roba in portafoglio che non si rendevano conto che tenere i soldi sotto il materasso sarebbe stato preferibile.

Attualmente il Fondo Italiano a Tutela dei Deposti ha una dotazione, oltretutto virtuale, di 1,9 mld€, circa lo 0.4% dei fondi rimborsabili in deposito presso le banche. Se ci fosse un crack stile Lehman Brothers anche solo in una banca di medie dimensioni il fondo faticherebbe a coprire le somme. E’ quindi, di fatto, una tutela utile solo per i clienti delle banche minori?
La metterei così: un grande crack bancario avrebbe un costo economico molto superiore al salvataggio della banca, a causa dei fallimenti collaterali che innescherebbe e della conseguente perdita di gettito fiscale e dell’aumento del costo degli ammortizzatori sociali. Pertanto, sarebbe controproducente consentirlo da parte di un qualsiasi Governo. Lo stesso fallimento Lehman è stato un errore, riconosciuto, però, solo a posteriori, ma degli errori si deve far tesoro. Più che sul fondo in questione, mi fiderei del buon senso delle autorità europee e nazionali. Ovviamente questo ragionamento sul buon senso della politica economica vale per il limite di 100 mila euro per deposito, per importi superiori potrebbe dipendere dalle contingenze.

Il Financial Times di qualche settimana fa notava come correntisti e obbligazionisti delle banche greche non avessero ancora perso nulla rispetto ai detentori di titoli di stato. Se una ristrutturazione dovesse colpire anche il debito italiano, gli obbligazionisti delle banche nostrane dormirebbero sonni tranquilli?
In Grecia ha prevalso il realismo, innescare una crisi di fiducia nelle banche avrebbe avuto un ulteriore effetto moltiplicativo della crisi. Anche in questo caso, farei le seguenti osservazioni: (1) esiste un diritto fallimentare che richiede l’azzeramento del capitale proprio prima che obbligazionisti e correntisti siano toccati, il che vorrebbe dire – tra l’altro – una piena tosatura del patrimonio delle fondazioni bancarie e la fuga dei correntisti dalle banche; (2) le banche non sono la Parmalat, il loro fallimento ha delle implicazioni sistemiche. La nazionalizzazione di alcune di esse – qualora necessaria – sarebbe la soluzione di gran lunga meno costosa.







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