Sconsolante silenzio sul film Luther

Pubblicato il 26 maggio 2004 La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Dal 30 aprile sugli schermi italiani, abbastanza in sordina, è in programmazione Luther, un film anglo-tedesco diretto da Eric Till sulla controversa esperienza mistica di Martin Lutero, il monaco che agli inizi del '500 diede inizio alla grande Riforma Protestante all'interno della cristianità.
Sin dalla sua lavorazione (finanziata dai luterani americani), il paragone col contemporaneo The Passion di Mel Gibson, benché sbagliato per la totale diversità ed impostazione delle due pellicole, è stato quasi inevitabile. Tuttavia, non voglio qui porre l'attenzione sugli aspetti propriamente stilistici delle due opere, entrambe poco entusiasmanti (ma quella di Gibson direi che si distingue per una maggiore "vocazione" trash/splatter), quanto sul differente dibattito che ha accompagnato le proiezioni.
Se sui colpi inferti al povero Cristo si sono espressi non certo con parsimonia radio e tv, preti e studiosi, giornalisti e vecchiette al mercato, il tutto per commentare la brutalità con la quale si svolge una scena propinata all'italiano medio in tutte le salse nel corso della sua vita, dall'asilo nido in avanti, solo poche parole sono state spese sul tentativo nordico di far riscoprire la storia del monaco che provò a riformare al Chiesa dopo aver fatto veramente quello che millanta Gibson, e cioè leggere la Bibbia (e non un suo bignami ad effetti speciali), ed aver scoperto che ai versi del sacri non corrispondeva un ugual comportamento del mondo ecclesiastico romano.
Martin Lutero fu uno dei tanti tra coloro che semplicemente proposero un'interpretazione diversa degli scritti. Il suo merito fu probabilmente quello di averlo fatto con la dedizione dello studioso, più che dell'invasato, e la sua fortuna fu senz'altro dovuta anche alla protezione del principe Federico di Sassonia (interpretazione di commiato di sir. Peter Ustinov).
Nel suo caso, come in altri, il problema per la chiesa cattolica fu sempre e solo una questione di potere e di soldi, entrambi in diminuzione ogni qual volta un intruso si fosse messo a spulciare fra la "dottrina ufficiale". Per questo le opportunità di discussione che ci arrivano dalla vicenda di Lutero, spessissimo trascurata o trattata superficialmente dal nostro sistema educativo (la storia, così come la geografia, non va più di moda), potrebbero essere estremamente più dirompenti del dibattito che si è sviluppato attorno alla frustate chiodate inflitte a Gesù nel film di Gibson.
Luther, riporta agli occhi del comune cittadino, seppur superficialmente e in modo parziale, quello che a mio avviso è uno dei problemi della credibilità della chiesa cattolica: le canonizzazioni, fatte più che altro nel medioevo, che nel corso dei secoli hanno trasformato usi, tradizioni e "invenzioni varie" (come le reliquie) in verità divine inviolabili.
Ma al di là del tema in se, è un'occasione sia per aprire un dibattito storico interessante, che per educare al confronto ieri-oggi, cosa che non capita molto spesso neanche nella scuola, che sta lentamente abbandonando la storia ad un triste destino di non apparenza.
E' uno dei peggiori frutti della trasformazione delle aule scolastiche in laboratori di economia aziendale (con tutto il peggio dello stress prodotto dalla società competitiva del mondo adulto), in cui l'importanza della partecipazione supera in modo eccessivo quella dello studio.
La bocciatura di un somaro diventa quasi un crimine ed il professore che si azzarda a tanto rischia di vedersi recapitare con la busta paga, anche un avviso di garanzia, nonché un rimprovero del preside-imprenditore, intimorito da qualsiasi forma di severità che farebbe defluire gli studenti-operai dalla sua scuola-azienda. Ripetere un anno diventa oggi una perdita di tempo inaccettabile, frutto della sempre più diffusa malsana idea che tanto l'istruzione di base non serve a nulla: quello che conta sono i soldi. E allora, o subito a lavorare, o dedicarsi ad una super-ultra-mega-specializzazione, che anche se ignori chi era Mozart o che l'Arabia Saudita non è un continente, ma uno Stato, poco conta (e poi ci si meraviglia che tanti giovani pensino al suicidio, e siano senza motivazioni o interessi). Figuriamoci con quale entusiasmo viene vista della roba vecchia come la storia; figuriamoci ancor di più la storia delle idee, della religione. Perché mettere in discussione qualcosa che è già comodamente impacchettato, come un'impostazione religiosa? E perché toglierci il gusto della sorpresa, imparando che al mondo torture cento volte più spietate sono state la regola per millenni fino a pochi anni fa, ben prima di vedere la foto di una misera ragazzina americana?
Dall'altra parte c'è poi una preoccupante corsa all'auto-flagellazione nei fedeli si recano a vedere The Passion, ed un segno di ciò è che molti hanno deciso in questa occasione di tornare al cinema dopo molti anni (e forse questo è il miglior pregio del film: aver trascinato di nuovo nel mondo della comunicazione cinematografica chi se ne era timorosamente escluso). Sono tornati per assaporare qualcosa di violento dentro di loro, per rinvigorire quel senso di colpa (comune a quasi tutte le religioni) che annichilisce atrofizzando e uccidendo gli stimoli più spontanei, a volte dolorosi, a volte ribelli, che intimoriscono, che rendono la vita complessa, ma al tempo stesso pulsante.
Chi invece nel cinema cerca riflessioni, passioni, interrogativi veri che abbraccino il mistico mondo della spiritualità, indagando il complesso rapporto tra fede e vita comune deve rivolgersi altrove, a Kieslowski e al suo straordinario Decalogo prima di tutto. Un titano al cui cospetto Luther e The Passion paiono due poveri pulcini spennacchiati.






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