Investire si può, anche senza guru. Intervista a Marco Liera

Pubblicato su La Voce di Romagna il 18 maggio 2013

di Simone Mariotti

Si avvicina l’IT Forum manifestazione dedicata alla finanza, al trading e agli investimenti personali che ogni anno a maggio riunisce esperti da tutto il mondo al Palacongresssi di Rimini.
Tra le varie tavole rotonde in programma, una sarà da seguire con particolare attenzione. Il titolo dell’incontro (previsto per la mattina del 23 alle 11.30 – Sala del Castello 2 Morningstar) è: “Investimenti e uscita dalla crisi: a colloquio con i responsabili degli investimenti delle principali SGR che operano in Italia. Dopo la sbornia obbligazionaria, gli investitori si riaffacciano in Borsa, in attesa della ripresa economica. Come cambiano le previsioni e le strategie nei portafogli degli asset manager”.
A moderare l’incontro ci sarà un ospite fisso della manifestazione, Marco Liera, storica firma del Sole24Ore, responsabile di Plus24 sino al 2010, nonché ideatore della prima scuola per imparare a investire: You Invest (www.youinvest.org), che a IT Forum presenterà il seminario “Rischi e rendimenti finanziari negli ultimi 100 anni. Cosa insegna la storia a investitori e consulenti” (23/5 ore 13.15, Sala del Ponte). Lo abbiamo incontrato per una chiacchierata.

Le “strategie” e soprattutto le “previsioni” degli asset manager, devono interessare i risparmiatori? JK Galbraith diceva che le previsioni economiche servono solo a rendere l’astrologia una disciplina un po’ più rispettabile…
Si può investire molto bene senza mai leggere le previsioni dei “guru” (veri o sedicenti), perché i mercati finanziari sono letteralmente imprevedibili. Anzi, direi che prestare attenzione alle previsioni è dannoso. I risparmiatori – da soli o con un bravo consulente – dovrebbero concentrarsi sulle proprie caratteristiche personali, quali la propria tolleranza alle perdite, e privilegiare sempre la protezione del benessere personale all’eventuale aumento dello stesso. Tanta inutile attenzione alle previsioni si spiega con l’asimmetria di cui soffre una moltitudine di risparmiatori, che guardano ai rendimenti e quasi mai ai rischi.
Luigi Guiso e Guido Tabellini sul Sole hanno indicato lo sviluppo dei fondi pensione (e comuni) come una strada utile per superare il problema della contrazione del credito bancario, ma slegando le SGR dalla proprietà bancaria. Che ne pensa?
Non credo che la proprietà delle SGR sia il problema numero uno dei fondi comuni. Credo invece che sia molto più importante che i fondi comuni, che sono prodotti con costi informativi e psicologici medio-alti, siano collocati solamente da reti di consulenti ben formati e preparati, siano esse di proprietà bancaria o no. Quanto al ruolo dei fondi comuni e dei fondi pensione nel supporto al finanziamento delle imprese, sono del parere che occorrerebbe evitare di caricare questi investitori di obiettivi di politica economica che spettano ad altri soggetti. I fondi comuni devono dare ai propri sottoscrittori il profilo rischio rendimento concordato. I fondi pensione devono essere in grado di pagare le prestazioni contrattuali agli iscritti. Il resto è noia, come cantava Franco Califano.
Lei intervisterà gestori italiani i quali stanno subendo l’aggressione sempre più pesante da parte dei grandi player esteri. E’ una buona cosa per il paese e per i cittadini-investitori? In questo caso interessi del paese e degli investitori sono coincidenti?
Non è illegittimo preoccuparsi del fatto che i “cervelli” che gestiscono i risparmi degli italiani siano all’estero. Alcune banche italiane avevano l’opportunità di creare delle grandi case di gestione, ma l’hanno persa. Non perché fossero banche, ma perché sono state gestite con scarsa lungimiranza. Dagli anni 90 i fondi comuni sono stati interpretati come uno degli “n” modi di incassare commissioni dai clienti, non dei prodotti sulla cui qualità occorre investire in un’ottica di medio-lungo termine. Il risultato è stato che gli asset manager stranieri, questi sì costruiti negli anni con coerenza e abbondanza di risorse, hanno conquistato quote sempre più importanti del risparmio degli italiani. A questo punto c’è solamente da sperare che questi gestori esteri facciano bene il loro mestiere, senza comportamenti distorsivi a favore delle economie dei Paesi di origine. Al di fuori delle banche poi, è mancata l’imprenditorialità nel settore del risparmio gestito italiano. A parte Mediolanum e Azimut, non esistono grandi asset manager non bancari e non assicurativi. Agli inizi, negli anni 80 non era così.
Nella storia i debiti colossali o non sono stati pagati o sono stati erosi dall’inflazione. E’ per questo che a You Invest date un grosso peso ai bond a interesse reale?
Non solo. E’ soprattutto perché storicamente (nell’ultimo secolo) è stata l’inflazione il principale nemico dei risparmi. La novità vera è che da qualche anno anche in Italia i risparmiatori dispongono di prodotti a rendimento reale certo, come i titoli di Stato o i buoni postali indicizzati all’inflazione. In passato era difficile difendersi dall’inflazione, ora molto meno.
Lei ha contestato i dati della BCE che assegnavano agli italiani una maggiore ricchezza pro capite rispetto ai tedeschi. Ma allora non cade la difesa della sostenibilità del nostro debito, dato che si scomoda sempre la ricchezza privata degli italiani?
Diciamo che ho invitato a utilizzare i dati BCE per quello che sono, e cioè, per quanto riguarda la ricchezza immobiliare, delle autovalutazioni fatte dagli stessi proprietari, per di più riferite a tre anni fa. Da una parte i prezzi del mattone sono oggettivamente scesi da allora (del 14% in termini reali secondo l’Istat), dall’altra è evidente che questi dati soffrono di una notevole distorsione, che è ancora più importante per i Paesi i cui cittadini tendono a essere proprietari della casa di abitazione (come l’Italia). Può darsi che il debito pubblico, che ha da tempo superato i 2mila miliardi, sia ugualmente sostenibile. In fin dei conti, anche ipotizzando che i prezzi immobiliari siano sopravvalutati del 50%, la ricchezza privata degli italiani sarebbe pari a circa 7mila miliardi di euro.
Su 100 proprietari di quanti stimano in modo distorto il proprio patrimonio immobiliare?
Difficile dirlo. Resta il fatto che gli immobili, per la mancanza di prezzi trasparenti e attendibili, sono il regno delle distorsioni cognitive.
Da anni c’è una specie di divinità che si aggira per il mercato e che accompagna la gran parte dei report che banche e promotori consegnano ai clienti: il VAR (value at risk). In un’epoca di continui cigni neri è un parametro affidabile?
Il VAR è una delle possibili misure del rischio finanziario, con i suoi pregi e i suoi limiti. Il principale è che non dice nulla dei possibili eventi estremi a grande impatto, i cigni neri appunto, che invece dovrebbero essere tenuti ben presenti nelle proprie decisioni finanziarie.
Dopo la tavola rotonda all’IT forum lei terrà anche una conferenza con Nicola Zanella. Di che parlerete?
Con Nicola, che è responsabile dell’area studi di YouInvest, esporremo in modo semplice e sintetico quali sono i principali insegnamenti che si possono trarre dall’osservazione dei mercati finanziari nell’ultimo secolo, non negli ultimi mesi o anni. Allargando lo spettro di osservazioni, è possibile fare valutazioni del rischio assai più significative, perché il campione statistico diventa più ricco di eventi estremi come quelli citati.







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