E se il problema fosse ciò che mangiamo?
Pubblicato l'8 aprile 2004 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

"Non vi è fetore, al quale l'olfatto non finisca per abituarsi, non vi è rumore, al quale l'udito non possa assuefarsi, né mostruosità che l'uomo non abbia imparato a considerare con indifferenza."
(Lev N. Tolstoj, da "Il primo gradino", 1891)

Alla ricerca di illuminazioni che mi aiutino a comprendere il delirio di un'attualità internazionale drammaticamente poco noiosa, pongo alla vostra attenzione tre punti di partenza per un dialogo futuro.

UN'OSSERVAZIONE STORICA
Mi è capitato di leggere e sentire nei giorni passati, paragoni un po' strampalati tra l'evoluzione economica Europea dei secoli scorsi, come coincidente con la fine della minaccia islamica verso il nostro continente. Vediamo cosa non va nel ragionamento. Occidente e Medio Oriente sono molto più vicini di quanto si possa immaginare, e sto parlando di cultura. Sono due mondi che hanno sempre convissuto, combattuto, e condiviso anche la stessa origine religiosa (la Bibbia è un testo sacro anche per i musulmani). Siamo un unico grande calderone che ha mischiato ed insaporito, nel corso dei secoli, le qualità umanistiche e filosofiche dei Greci e dei Romani con quelle tecnologico/commerciali degli arabi, che ci hanno regalato i numeri (furono i matematici arabi a istruire dal XII secolo quelli occidentali, a partire dal Fibonacci), la straordinaria idea del concetto di "zero", l'arte del commercio, senza i quali non sarebbe stato possibile tanto dello sviluppo successivo. Per questi motivi, quello che avviene in (o dal) Medio Oriente viene sempre esageratamente amplificato, come fosse un dramma familiare, che lascia indifferenti gli estranei, ma che turba profondamente chi ne è colpito direttamente. Non attribuiamo però all'Islam colpe che non ha. Per esempio. Se lo sviluppo economico inglese nel '700 ha preceduto di un secolo quello continentale non è stato per la sua lontananza dalla minaccia islamica. Ne l'islam avrebbe potuto fermare una crescita europea che riuscì a superare una sfida costante e ben più pericolosa: la folle rivalità tra le ambizioni espansionistiche dei grandi stati continentali. La storia economica del settecento fu invece influenzata drasticamente dagli effetti di due pesanti bolle speculative scoppiate nel 1720: la bolla del Mississippi in Francia e lo scandalo inglese della Compagnia dei Mari del Sud segarono i destini economici delle due nazioni. Entrambe le popolazioni furono paralizzate dalla sfiducia verso tutto quello che sapeva di "finanza", un po' come sta accadendo oggi. Gli inglesi però si ripresero molto più in fretta riuscendo ad utilizzare e rivalutare al meglio quel grande istituto che era ed è la società per azioni, soprattutto grazie alla loro efficiente democrazia parlamentare (ed alla presenza oltre manica di un grande pensatore come Adam Smith e di altri filosofi liberali come Hume) che impedì all'economia di chiudersi su se stessa nella sfiducia. Cosa che accadde invece in Francia, rimasta al palo ingessata nello sfarzo di una monarchia scialacquona ed inetta.

UNA GRANDE IPOCRISIA
Un movimento terroristico "feroce" come Al Qaeda ha ucciso qualche migliaio di persone negli ultimi 10 anni. Se ho scritto la parola feroce tra virgolette non è stato per mancare di rispetto alle vittime. Ma quanti, a parte i radicali, hanno speso qualche parola per i milioni di morti, morti politici, caduti nella violenza dell'Africa centrale negli ultimi anni? Per loro non ci sono titoli sui giornali, ma per ogni israeliano, palestinese, europeo o americano che soffre, ce ne sono cento, mille caduti in Africa solo per colpa nostra. Solo per aver massacrato un continente per secoli, averlo saccheggiato con la complicità di dittatori armati e foraggiati da tutto il nord del mondo, global o no global, comunista o capitalista, musulmano o cattolico che fosse. Per aver incentivato continuamente quella strage di legalità che ha permesso ai duellanti che si sono alternati nei secoli di continuare a riempirsi la dispensa, e che inevitabilmente, come ricorda sempre Pannella, ha prodotto strage di popoli, ovunque. L'esaltazione collettiva e la mania di persecuzione di una civiltà frustrata come la nostra fa il resto. Si vedono sciagure che servono a giustificare un malessere palpabile. Se ci fossero altri 100 attentati come quello di Madrid, morirebbero poche migliaia di persone, molte meno di quelle che restano vittime innocenti di incidenti stradali ogni anno nel nostro continente: 6000 nella sola Italia. Altre 8000 (il triplo rispetto ai devastanti attentati dell'11 settembre) sempre solo in Italia, muoiono annualmente a causa di incidenti domestici, più di 1000 sul lavoro. Oltre al terrorismo, l'altra recente grande paura è stata la Sars, che ha ucciso quattro gatti in Asia, mentre la malaria continua imperterrita da decenni, nell'indifferenza, a sterminare un milione di persone l'anno. Ma sono questi gli elementi destabilizzanti, le sciagure per la nostra economia, per il nostro benessere? O sono solo delle giustificazioni per materializzare altre paure presenti da tempo? Chi aveva bisogno di altri drammi ha trovato nel "saggio" Zapatero un benefattore che moltiplicherà la potenza di fuoco dei terroristi, sicuri di ottenere un lecca lecca d'oro ad ogni buon colpo. No, non sono questi i drammi della nostra epoca, non sono gli scontri tra due religioni ossessive (libera chiesa in Libero Stato, ovunque, comunque), tra due bambini viziati, tra i residui bellici di due superpotenze che si lanciano petardi.

UN PRIMO, SCOMODO GRADINO
La fame è il peggior nemico di ogni democrazia. La fame crea violenza. E' un bisogno primario che deve essere soddisfatto, e sotto la sua spinta si perde la ragione. C'è una grande, forse finta miopia, che ha condotto sino ad oggi non solo le campagne per combattere lo sterminio per fame nel mondo, ma anche quelle per creare i presupposti per la democrazia la dove manca. La miopia è nell'aver trascurato la via che passa attraverso la pesante riduzione del consumo di carne nei paesi industrializzati. Benché difficile da mettere in pratica velocemente, senza disintegrare in modo destabilizzante interi sistemi economici (l'Argentina ad esempio potrebbe riprendersi con più rapidità se si togliesse il protezionismo europeo sulle sue carni), l'infamia di sprecare 14.000 chilocalorie di cereali produrne solo 800 sotto forma di carne (circa 450g di maiale), deve essere in qualche modo contenuta. Senza contare che la produzione di un chilo di carne bovina richiede circa 3200 litri d'acqua, che il metano prodotto dalla ruminazione del bestiame è la seconda causa dell'effetto serra, ecc. Il nostro modo di nutrirci poggia per la gran parte sui sacrifici che deve sopportare il terzo mondo. Sul pianeta ci sono oltre due miliardi di capi di bestiame (senza contare i polli) che occupano il 30% del suolo agricolo e che consumano una quantità di cereali sufficiente a sfamare ogni anno l'intera popolazione mondiale, ma che "lavorano" solo per un quinto di essa. La principale difficoltà nel mettere in pratica una forte riduzione nel consumo di carne è unicamente di ordine culturale, ed anche io ancora non riesco ad essere totalmente vegetariano. Se si osserva la storia dell'evoluzione delle abitudini alimentari dei popoli, non è difficile notare che quello che avviene con la religione si ripete in ugual modo se lo rivolgiamo al tipo di cibo con cui ci nutriamo: la scelta con la quale siamo stati educati è quella che ci sembra migliore ed è difficilissimo accettare di cambiarla. Non basteranno centinaia di esempi, di studi, di dati storici, di medici saggi e stimatissimi come il Prof. Veronesi, vegetariano (e con lui tutti quelli che potete trovare nel sito www.vegetariani.it), a convincere la gran parte delle persone che nutrirsi di carne è superfluo, quando non dannoso, per il nostro organismo. Ma se non si farà un po' di luce in questo medioevo culturale, se non faremo quel primo gradino narrato da Tolstoj (vegetariano, come Einstein, Leonardo, Giordano Bruno, Newton, Darwin, Show, Mazzini, Freud e tantissimi altri), non riusciremo mai a comprendere e a combattere la sofferenza, a portare la democrazia a chi al mondo è infinitamente contento solo per avere un pugno di riso in più ogni giorno. Chiudo con la stessa fonte che ho citato all'inizio: "non si può far finta di ignorare tutto questo. Non siamo struzzi, né possiamo pensare che se noi non guardiamo quello, che ci rifiutiamo di vedere, non c'è. Soprattutto quando la cosa che non vogliamo vedere è ciò che stiamo mangiando" (Lev N. Tolstoj).







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