Pubblicato su La Voce di Romagna il 7 novembre 2012
di Simone Mariotti
E’ stato un grande affare sottoscrivere così copiosamente il BTP Italia da parte degli italiani? Forse sì, forse no, dipende che valutazioni sono state fatte al riguardo. Tuttavia, pure in presenza di un mercato iper globalizzato e di una emissione da parte di uno dei più grandi protagonisti del mercato dei bond governativi (l’Italia, appunto), il fatto che la domanda sia stata per la grande parte di tipo locale indica che l’obiettivo del Governo era attirare soprattutto investitori “affitti” da quella tipica distorsione dovuta alla geografia che porta a pensare che: “è il mio paese, quindi lo posso controllare meglio, quindi (per me) è più sicuro, quindi comunque sia mi fido, quindi… gira che ti rigira prendo quel che mi arriva a seconda della buona pubblicità che sento”. Semplifico, ma il succo è questo, e grazie a questa spremuta di pensieri dovuta alle distorsioni i tassi possono essere più contenuti. Poi ovviamente c’è il grande senso patriottico degli italiani, che ogni giorno sentono così belle notizie su come il pubblico spende i suoi soldi, e che spinge tutti con entusiasmo ad aderire alle campagne governative… o forse no.
Tuttavia, il BTP Italia in realtà non è affatto male come titolo, se paragonato ad altre emissioni pubbliche, ma a patto che si sia consapevoli delle sue caratteristiche, e delle alternative. Bisogna allora che si dia per scontato che quei soldi è bene dimenticarseli sino a scadenza, perche è un titolo indicizzato all’inflazione (inflation linkeed) e per sua natura volatile, anche perche l’inflazione non è così semplice stimarla o anticiparla. E se arrivano situazioni, per esempio, come lo stallo dei prezzi o la deflazione, tanto che si parla spesso di rischio Giappone per Italia, per i sottoscrittori di un qualunque inflation linked saranno dolori amari. Saranno grandi gioie invece se l’inflazione sorprende con valori superiori a quella già attesa. Se invece le stime che si fanno oggi sull’inflazione futura saranno confermate, allora il carovita è già implicito nei tassi dei titoli non indicizzati (quelli a tasso fisso) come i BTP tradizionali o i corporate, che hanno un mercato, tra l’altro, spesso più liquido e più ricco di varianti e di opportunità.
Se qualcuno si è perso nel frattempo, ma ha sottoscritto il BTP Italia, fa parte della stragrande maggioranza degli italiani che si fida punto e basta, e che sperano che il titolo acquistato sia quello che fa per loro.
E per cercare le alternative o provare a fare delle valutazioni tra i diversi titoli o prodotti sostitutivi bisogna avere delle conoscenze specifiche, o perlomeno un’infarinatura di finanza. E a essere sinceri di farina ne basta anche poca.
Ma non è questa la strada seguita dalle istituzioni di sorveglianza e dai mega enti europei che continuano ad insistere (doverosamente, ma dando eccessiva importanza alla cosa) sulle modalità con cui sono scritti i prospetti informativi.
Gli ultimi arrivati sono quelli che possiamo chiamare i “monelli”, i KIID (Key Investor Information Document – “kid” in inglese significa appunto ragazzino, o monello) che devono essere inseriti nei prospetti di fondi comuni e che devono contenere le indicazioni di base in modo semplificato. Hanno la stessa funzione dei “bugiardini” dei farmaci, e mai soprannome sarebbe più appropriato anche per i KIID.
A che serve infatti tutto ciò ai fini della tutela del risparmio se la terminologia resta comunque complessa e soprattutto se i sottoscrittori nella migliore delle ipotesi tali prospetti non vogliono neanche aprirli, e nella peggiore ne ignorano pure l’esistenza?
In un KIID di una serissima società americana a proposito del rischio si legge:
La summenzionata categoria di rischio non è una misura delle perdite o dei profitti di capitale, ma dell'entità dei rialzi e delle flessioni del prezzo della Classe di Azioni in passato. Ad esempio, una classe di azioni il cui prezzo abbia registrato considerevoli rialzi e flessioni rientrerà in una categoria di rischio più elevata, mentre una classe di azioni il cui prezzo abbia registrato rialzi e flessioni meno significativi rientrerà in una categoria di rischio più bassa.La categoria di rischio più bassa non garantisce un investimento esente da rischi. La categoria di rischio della Classe di Azioni è stata calcolata utilizzando i dati storici e pertanto non costituisce un’indicazione affidabile circa il futuro profilo di rischio della Classe di Azioni. La Classe di Azioni rientra nella categoria di rischio 3 perché in passato il suo prezzo ha registrato rialzi e flessioni molto contenuti. Si rammenta che in futuro la categoria di rischio della Classe di Azioni potrebbe cambiare.
Cioè, tutto e il contrario di tutto. E infatti l’unico metodo serio per un investitore per avere davvero l’idea di come investe quel comparto cui quel KIID si riferiva, e dei rischi in esso implicito, è conoscere il suo mercato di riferimento, non tanto come il prodotto si relaziona a quel mercato.
Se nelle due pagine di cui sono composti questi documenti semplificati ci fosse scritto che l’investitore deve fare dieci flessioni ogni volta che entra in banca pena una decurtazione del 30% del suo capitale, tutti i prodotti si venderebbero ugualmente senza problemi. Ma su questo non si riflette mai abbastanza da parte di chi ci governa. Le soluzioni non sono immediate, ma una strada è obbligatorio intraprenderla: educare, almeno un po’.