Quel giocherellone profondo di Lucio Dalla

Pubblicato su La Voce di Romagna il 7 marzo 2012

di Simone Mariotti

Domenica scorsa, mentre Lucio Dalla veniva portato in chiesa per ricevere il suo ultimo saluto, in suo onore, o meglio in suo ricordo mi sono collegato a eBay e ho comperato una cartuccia di Defender. “Chissà cos’è?”, si chiederanno in molti. E che c’entra questo con Dalla? Faccio allora un passo indietro.
Tra le peripezie e la cultura di quella che possiamo definire la “tecnologia informatica di mezzo”, quella arrivata dopo i calcolatori che occupavano intere stanze, ma prima dei personal computer, in un’epoca che se fosse il cinema sarebbe quella gloriosa del muto o dei primi sonori, negli anni settanta arrivarono ad arricchire il panorama del divertimento globale i primi videogiochi. E nel 2012 si “festeggiano”, i 40 anni di Pong, non il primo in assoluto, ma quasi, il primo però ad imporsi a livello globale, il mitico gioco con le due lineette laterali che andavano su e giù e con il quadratino che rappresentava la pallina che rimbalzava da un lato all’altro, simulando una partita a ping-pong. Pura preistoria!
Ma il suo programmatore, Nolan Bushnell, aveva inaugurato una vera, nuova era e di lì a poco avrebbe fondato la Atari, che nei dieci anni successivi sarebbe diventata la stella più brillante del luccicante firmamento dei videogames dell’era degli Arcade, come viene definita quella generazione di primi giochi classici che funzionavano a monetina.
Noi ragazzetti riminesi di Marina Centro e dintorni, ai tempi delle scuole medie in quei primi anni Ottanta, dopo le solite due ore canoniche di calcio in parrocchia, una capatina in sala giochi la si faceva spesso, e l’estate, la sera, prima e dopo cena si bazzicava sempre da quelle parti, alla Central Park luogo di aggregazione, o quasi di affiliazione, non una banda, ma si era poco lontano, dato che c’erano sempre i “rivali” storici, quelli della Venusian, dopo piazza Kennedy, roba da Ragazzi della via Pal.
Insomma, essendo nato nel 1970 ero nella generazione ideale per apprezzare al massimo quei primi videogiochi che nascevano uno dopo l’altro segnando volta per volta una svolta tecnica e uno standard che nei decenni a venire sarebbe stato ripreso e sviluppato, ma le cui radici erano là, in quella decina di titoli poco più che rappresentavano a loro modo delle vere opere d’arte. Da Space Invaders ad Asterioids, da Combat al leggendario Pitfall, fino al superclassico Pac Man.
Tutto nacque, e in un certo senso morì nel giro di una manciata di anni tra il 1979 e 1984 quando, per una serie di guerre fratricide tra produttori, ma soprattutto a causa dell’evoluzione della tecnologia che spinse verso la diffusione dei più sofisticati computer, le console casalinghe vennero mandate in soffitta per vari anni e i vecchi arcade delle sale giochi dovettero essere sostituiti.
Per una serie di circostanze che non sto a spiegare, proprio un paio di settimane prima della morte di Dalla dopo oltre 25 anni, ho recuperato dalla cantina la mia vecchia console Atari2600 per vedere sa ancora dava segni di vita, ma mancava un gioco (probabilmente prestato allora a qualche amico), che associai subito a Lucio Dalla.
Come dicevo, in quell’epoca d’oro degli arcade molti giochi presentavano delle innovazioni. Defender, in particolare, fu un fantastico game spaziale del 1980, progettato da un programmatore di flipper, che arrivò nelle sale giochi italiane l’anno dopo. Esisteva anche in cartuccia per le console casalinghe come la mia e fu il primo videogioco a presentare una dinamicissima grafica a scorrimento orizzontale in cui le navicelle si muovevano con grande velocità per contrastate i nemici.
Non ricordo se era l’estate del 1981 o dell’82, ma ricordo bene la posizione di quelle macchine nella sala giochi, tre uguali, affiancate, quasi all’esterno davanti alla passeggiata di viale Vespuccci, e Lucio Dalla, meno che quarantenne, che passava spesso dalle nostre parti, che si divertiva da matti a mettere monetine su monetine, facendo una sorta di piccolo show per tutti i ragazzetti, che lui non disdegnava (e qualche mamma diceva che lì “insidiava”).
Una componente unica di quei giochi era infatti quella sonora, e se la grafica era ancora spartana rispetto a oggi, l’audio, mutato e rielaborato da quello dei flipper, assieme a luci, colori ed esplosioni varie, rendeva lo schermo un piccolo fuoco d’artificio elettronico, e Dalla, come fanno i bambini, ma con l’abilità di un grande vocalist, canticchiava a tutto spiano per replicare ogni suono prodotto dal gioco e con quel suo modo di gesticolare buffo. Era uno spasso.
Non sono più stato un fan dei videogiochi, e non ho mai usato quelli per il pc. Ma in quelli di allora c’era qualcosa di più. Come in tutte le innovazioni degli esordi, c’era anche un elemento culturale che caratterizzava quei giochi, fatti non solo di tecnologia, ma in cui la componente umana e attiva del giocatore era ben più rilevante che nelle mega definizioni di oggi. E anche nelle versioni per le console casalinghe nelle confezioni delle cartucce gioco c’era un’attenzione ai disegni, ai colori e anche ai font che li rendevano degli oggetti il cui fascino è impossibile da replicare con i moderni cd, un po’ come accade con i vinili per la musica. Ed era una cultura che credo anche Dalla apprezzasse per queste caratteristiche di fantasia, comuni a tanti aspetti anche fumettistici della sua musica che, come quella di tutti i grandi, spaziava con leggerezza dal gioco alla grande indimenticabile profondità.



La Voce di Romagna, 7 marzo 2012





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