Pubblicato il 15 febbraio 2012 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
La più bella e inapplicata, o meglio dire violata, Costituzione del mondo, quella italiana, all’articolo 27, comma 3 riporta: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
A leggere questa frase ci si potrebbe chiedere, per esempio: che senso ha una pena come l’ergastolo? Se la funzione è “rieducare”, perché un assassino, se rieducato, deve restare in carcere tutta la vita?
E a che scopo provare a recuperare un malfattore se lo si lascia marcire in una galera dove peggiora? Perché non far uscire un po’ prima chi ha scontato a sufficienza e non è più pericoloso, risparmiando così molto denaro, e recuperando prezioso spazio in celle che dovrebbero essere destinate a chi alla rieducazione è ben lontano?
Certo, qualcuno può essere in disaccordo con quell’articolo della Costituzione, e c’è certamente chi lo cambierebbe con: “le pene devono essere spietate e dure, e il fine principale della detenzione deve essere la vendetta senza se e senza ma. Occhio per occhio dente per dente”.
Ma per chi ha voglia di tirare fuori la testa da sotto la sabbia e affrontare un problema che il Presidente della Repubblica la scorsa estate definì di “prepotente urgenza”, il dilemma è forte.
Si ha da una parte la consapevolezza della necessità che lo Stato non fallisca e resti ferreo nell’amministrare la giustizia assicurando una certezza della pena. Dall’altra, però, c’è l’esigenza di aprire gli occhi su quella serie di bombe sociali pericolosissime, le carceri, che stanno scoppiando in modo incontrollato. E far finta di nulla, rifugiandosi dietro ad affermazioni di principio anche giuste (costruire più carceri), ma assolutamente inutili nel breve periodo in cui l’emergenza dilaga, e forse anche non ottimali nel lungo rispetto ad altre strade, non serve, come non serve pretendere di insegnare a nuotare a chi sta affogando: prima lo slavi, lo rimetti in sesto, poi lo sgridi e lo punisci se si è avventurato in acqua in modo avventato non sapendo nuotare e poi glielo insegni.
Parlo spesso di economia e finanza nei miei contributi per questo giornale, e la giustizia non è la mai materia. Ma ci sono dei dati davanti ai quali anche l’osservatore più superficiale si rende conto che una situazione come quella italiana non può essere procrastinata.
Con oltre 600 suicidi in carcere in dieci anni, con il 40% dei detenuti in attesa di giudizio, con 170 mila prescrizioni all’anno, che costituiscono un’enorme amnistia per i ricchi, e con un mare di disumanità infernale da terzo mondo, le carceri e la giustizia rappresentano una delle maglie più nere dell’Italia, vergogna e scandalo incivile frutto anche, va detto, di un popolo masochista che troppe volte, compiaciuto una classe politica populista e meschina, si gira dall’altra parte, perché tanto i carcerati “se la sono cercata, e con tutti i problemi che ci sono non rappresentano certo una priorità”.
Un giudizio povero, non dissimile nell’idea, dal limitare l’istruzione per il popolo, perché tanto la cultura è inutile. Ma il carcere è una grande scuola per i somari della società, e se non gli insegni a studiare, a vivere, a crearsi una nuova pagella con un numero congruo di sufficienze, saranno loro il pericolo per il tuo domani. E non sarà il vedere qualche malfattore a fine pena a piede libero prima del tempo a peggiorare la situazione italiana, mentre provvedimenti politicamente timorosi come lo “svuota carceri” del Ministro Severino, che in realtà svuota ben poco, servono a prolungare un’agonia che renderà la situazione ancora peggiore domani.
Amnistia è una parola che certifica una sconfitta, ma con cui bisognerà prendere familiarità per non subirne altre, e iniziando a seguire anche strade nuove alcune delle quali devono passare attraverso la depenalizzazione di tanti reati. E nell’usare la parola amnistia dovranno dimostrare coraggio politico i maggiori partiti, e non solo i Radicali, gli unici che su questo tema sono coerenti da decenni, che non si indignano per i 20 mila indultati una tantum, ma per i 170 mila “amnistiati” ogni anno dalla prescrizione grazie solo al loro denaro.
Un’occasione per approfondire tutto ciò e conoscere meglio anche la realtà del carcere riminese sarà allora il convegno "Carcere e legalità. La situazione nazionale, regionale e riminese. Garante dei detenuti, Custodia Cautelare, Depenalizzazione, Amnistia”, che si terrà domenica prossima alle 15 presso la sala del Buonarrivo in Corso d’Augusto a Rimini, in cui interverranno l’On Rita Bernardini, deputata radicale membro della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, l’Avv. Desi Bruno (Garante detenuti Regione Emilia-Romagna), l’Avv. Vincenzo Gallo, consigliere comunale PD Rimini, Presidente commissione Cultura, formazione, istruzione, sport e turismo e l’Avv. Carlo Alberto Zaina, penalista del foro di Rimini, mentre chi scrive modererà l’incontro.