I “No Tav” e il masochismo per le opere pubbliche

Pubblicato il 26 ottobre 2011 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Per il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota il tunnel della Tav in Val Susa rappresenta anche una “apertura psicologica”. Davanti a tali affermazioni, lì per lì uno è pietrificato, ma ci si abitua a tutto, come anche a sentire uno dei paladini del referendum sull’acqua che nella trasmissione di Gad Lerner di lunedì, davanti a un Francesco Giavazzi allibito, proponeva come soluzione ai problemi italiani il default del paese e il rafforzamento della casta dei notai, sì, dei poveri notai.
Schieramenti opposti follie comuni, come comune è il sostegno politico trasversale alla TAV della Val Susa, un’opera che più ci si guarda dentro e più diventa il simbolo di tutto quello che l’Italia deve smettere di essere.
Non la faccio lunga oggi sui dati, sempre schiaccianti, sempre disarmanti sull’inutilità di un’opera dai costi pazzeschi, pensata per potenziare una linea ferroviaria in calo da 10 anni e che già oggi potrebbe sopportare un aumento del traffico di 5 volte e rimanere ancora lontana dalla saturazione.
Affronto invece il problema per controbattere alla schiera di coloro, e ne ho incontrati diversi sulla mia strada, che sostengono l’utilità del “Grande Buco” a livello di principio, con la motivazione “civica” del tipo: “non importa se è un’opera giusta o no; si è deciso che si fa e non bisogna per l’ennesima volta rimandare tutto e comportarci da italiani”. “W il masochismo”, potremmo aggiungere.
Questa linea di pensiero, però, fa totalmente a pugni con quella che è stata la storia italiana almeno dalla fine del miracolo economico a oggi. La solfa dei patiti delle grandi opere a tutti i costi, infatti, si basa sull’assunto, vero, che in Italia gli uffici studi lavorano molto, ma le esecuzioni tardano. Giustissimo e sottoscrivo. Ma c’è un problema in più, ed è che per come ha funzionato questo paese, troppo spesso è stato meglio così, perché la penisola in 50 anni è stata invasa da ogni sorta di cattedrali nel deserto, opere inutili, sperperi pazzeschi e scelte strategiche micidiali, delle quali la TAV rappresenta l’icona per eccellenza della cattiva pianificazione e di tutto quello che non si deve fare.
Dalla vicenda del famigerato V Centro Siderurgico di Gioia Tauro degli anni ’70 alle opere per il G8 mancato alla Maddalena, dalle autostrade che terminano nel nulla, agli scempi come il colossale “Centro per lo sviluppo integrato del turismo” di Baia dei Campi nel Gargano. E poi le dighe costruite in provincie cronicamente a secco come quelle di Blufi in Sicilia, roba che ricorda la frenesia dei produttori inglesi del primo Ottocento che, presi dalla smania di commerciare con i paesi del Sudamerica, si misero a caricare le navi con merci adatte ai climi polari come i pattini da ghiaccio, destinati a popolazioni come quelle del Brasile che il ghiaccio non lo avevamo manco mai visto.
E ancora il centro fieristico di Teramo, l’autostrada del Molise, gli sprechi delle stazioni Ostiense e Farneto per i mondiali di calcio del 90. Ma potremmo proseguire con il campionario offerto da anni di trasmissioni d’inchiesta, tra grandi ospedali abbandonati con tanto di macchinari, case popolari mai consegnate, carceri mai inaugurate, mentre quelle esistenti e sovraffollate decrepite cadono a pezzi.
E’ stato fatto tanto di buon in questo paese, e non bisogna essere ingenerosi. Ma il fatto è che davvero sono stati il modus operandi e la strategia di programmazione il grande limite, per non dir di peggio, di questo paese, dove tanto e troppo è stato caratterizzato dalla miopia di chi diceva: “Facciamo, facciamo, che tanto a qualcosa, a qualsiasi cosa, l’opera servirà”.
E accusare i No Tav della Val Susa di essere coloro che frenano il processo decisionale è un vero paradosso, dato che quella parte di TAV è una patata che da 20 anni viene girata e rigirata da progettisti, politici e industriali, tutti ansiosi di spartirsi e gestire il bel malloppo di soldi pubblici e commesse voluminose che girano attorno alle pezze giustificative che vengono continuamente attaccate alla TAV, e che ogni volta cadono alla prova dei dati, che da sempre smentiscono l’utilità del grande e costosissimo buco.
Fosse stato per i No Tav, si sarebbero sprecati meno soldi e rimodernato qualche stazione e qualche vecchia linea ferroviaria in più. Ma ai patiti delle grandi opere pubbliche questo non piace: “se non vedi la roba grossa, non vale”, dicono.







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