Le paradossali idee degli indignati

Pubblicato il 19 ottobre 2011 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Tra anarchismo, delirio e diverse grandi illusioni, ci sono delle idee interessanti tra quelle degli indignati e molte ragioni. Ma il movimento si muove sbandando, capire quale sia l’obiettivo generale non è molto chiaro e se si leggono i comunicati vari, da quelli sconclusionati dell’Unione Sindacale di Base all’appello, più “intrigante”, del movimento Occupy Wall Street di New York per il 15 ottobre, si nota solo il filo comune del cambiamento di sistema, senza vi sia neppure la volontà di proporne uno diverso. Non a caso uno dei leader di Occupy è un noto antropologo teorico dell’anarchia, un sogno romantico di falsa libertà, che coinvolge solo sino a che si dorme. Senza regole e autogovernati quindi? Però poi sono proprio delle “regole” che chiedono i ragazzi. Le regole che devono imbrigliare le banche e la finanza, per esempio. Accidenti, ma uno che le vorrebbe mettere, queste regole, e togliere varie storture dal sistema, è Draghi. “Nemo profeta in patria”, guarda un po’, da noi gli indignati sono diventati i “draghi” e un simbolo della protesta nostrana è proprio lui, una delle icone di ciò che ancora c’è di rispettabile in Italia.
Un’idea poi che lega tutti, e che è molto giusta, è quella di far pagare alle banche i loro errori e non aiutarle. Loro dico non aiutarle del tutto; io dico non aiutarle troppo. Ma chi è più duro di me, gli indignati, e chi afferma il rigore pieno, e tra questi molti simpatizzanti di estrema sinistra, molto ostili al liberismo, sapete che sta dicendo in pratica? Dice che le banche dovranno poter fallire, anche in Italia.
Ma chiedere che non si sprechino più soldi pubblici per salvare le banche, dal punto di vista ideologico vuol dire accettare l’idea di un sistema di mercato ferreo, veramente liberista, in cui persino le banche, le ultime incoccabili, quelle che si sono sempre difese dietro il “troppo grande per fallire”, possano di fatto fare bancarotta. Quello che le ha tenute in piedi e che ha stimolato molto del cosiddetto azzardo morale, è stato il fatto che, in un sistema non liberista, le banche sono diventate troppo importanti da ritenersi salvabili a prescindere con soldi pubblici. E questa è una convinzione radicatissima. Andate in giro per strada è chiedete a qualsiasi persona se secondo loro la propria banca può fallire!
La strada chiesta dagli indignati è quella che porta a un liberismo estremo (le banche falliscano come birilli) accompagnata da severi controlli (statali). Un paradiso, e lo dico senza ironia, che dovrà attendere un po’. Perché se sino a ora siamo vissuti in uno statalismo che ha gonfiato il debito e ingrassato le banche, il sistema quelle le banche ce le ha anche cucite addosso, e se collassano loro in modo indiscriminato finiamo tutti nel burrone.
Ma che succede se la mettiamo in pratica tutta in una volta la ricetta ultraliberista degli indignati? Succede quel che dicevo la settimana scorsa, che più che cambiare il sistema lo si disintegra.
Quando fallì la Lehman, unica tra le grandi banche globali (ma tra le medio piccole in America ne sono fallite a centinaia), si congelò la liquidità, i tassi di interesse schizzarono, il credito sparì. Sia chiaro, la colpa non fu di Lehman, ma di quel che portò al suo fallimento, tardivo. Se fosse saltata prima o fosse stata regolata meglio (mi perdonino gli indignati se non sono così liberista come loro), anche le conseguenze negative probabilmente sarebbero state minori. Ma non lo fu. Saltò e il sistema per mesi si congestionò, come il credito alle aziende, che rimasero a secco. L’unica roba liquida rimasta erano le azioni, perché scambiate in un mercato libero, ed essendo l’unico modo per far cassa le vendite dilagarono facendo crollare tutto. Per non parlare di chi aveva i suoi risparmi in obbligazione Lehman, come tante famiglie italiane hanno titoli delle proprie banche cuciti addosso. Se il caso Lehman si moltiplicasse per 10 (per essere molto prudenti), che accadrebbe?
Una possibile soluzione c’è, e va proprio nella direzione di punire un po’ le banche e stati che hanno azzardato troppo e penalizzare anche coloro che troppo credito gli hanno dato, come suggerito dall’articolata proposta di due “liberisti cattivi” come Luigi Zingales e Roberto Perotti (si veda il Sole24Ore di venerdì scorso).
Ma gli indignati non avranno letto il giornale, e sabato erano troppo occupati a prendere un bell’abbaglio, insultando, strattonando e persino sputando a Pannella per strada, proprio lui, uno che da 30 anni battaglia contro il debito pubblico creato dalla partitocrazia con votazioni di spesa da sempre bipartisan.







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