Pubblicato il 25 agosto 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Arrivati alla fine di questa serie di articoli, il lettore
si potrebbe chiedere: se è vero tutto quello che è stato detto,
chi è quel pazzo che imporrebbe ancora oggi la proibizione sulla marijuana?
Dopo tutto abbiamo visto nell'ordine che: è un grande medicinale, ha
importanti usi industriali, migliora i terreni su cui è coltivata, non
induce al consumo di altre sostanze, non crea dipendenza, non uccide. Abbiamo
anche visto come il proibizionismo in generale abbia sempre creato imperi del
male, foraggiato terroristi e mafiosi, senza però mai ottenere nessun
risultato. Cosa ha trasformato allora questa preziosa sostanza nel pericoloso
"primo passo verso il delirio" che molti credono che sia?
Arriva Harry Anslinger
La storia della proibizione della marijuana è abbastanza complessa ed
inizia proprio non appena terminò il drammatico proibizionismo sugli
alcolici di cui abbiamo parlato la scorsa settimana. In quell'istante per la
marijuana, che era vissuta per millenni senza particolari "attenzioni",
la vita divenne un terribile processo kafkiano senza logica, ma con molti responsabili,
il primo dei quali rispondeva al nome di Harry Anslinger.
La storia di questo losco figuro è arcinota alla maggior parte degli
addetti ai lavori e chi fosse interessato può rifarsi ad una delle fonti
bibliografiche poste in coda all'articolo. Era un uomo abilissimo, arrivato
in alto inizialmente grazie ad Andrew Mellon (uno degli uomini più ricchi
dell'America degli anni '20 e '30, banchiere e petroliere), potente ministro
del tesoro, di cui Anslinger aveva sposato la nipote.
Era entrato a far parte del corpo repressivo contro gli alcolici, ma aveva scampato
la figuraccia del fallimento spostandosi in tempo al Federal Bureau of Narcotics
(oggi è la DEA), l'ufficio che si occupava delle sostanze stupefacenti
(alcool escluso). Ma la fine del proibizionismo rischiò di far tagliate
pesantemente i fondi anche al suo ufficio, nonché al suo potere e alle
possibilità di carriera.
In realtà la marijuana si trovò ad essere suo malgrado vittima
di più carnefici che, per motivi diversi, stipularono una sorta di santa
alleanza. Se Anslinger rappresentava l'uomo d'azione, lo showman della situazione
bramoso di potere, un gruppo di industriali chimico-farmaceutici era più
interessato al lato economico della faccenda, ed aveva le armi giuste ($) per
far sentire la propria voce al Congresso.
Uno dei motivi che incentivò e rafforzò l'iniziale proibizione
voluta da Anslinger sulla marijuana (1937), fu che, portata agli onori della
cronaca come nuovo nemico pubblico numero uno, si iniziò a conoscerla
meglio e a studiarla più a fondo.
Ciò però si scontrava con gli interessi di diverse industrie nascenti:
quella cartaria dominata dai giornali della catena Hearst, quella chimica capeggiata
dai Du Pont che forniva i solventi alle cartiere per ricavare la carta dagli
alberi; quella petrolifera che voleva affermare i suoi prodotti plastici e i
combustibili minerali; quella farmaceutica che vedeva nella marijuana un pericolosissimo
concorrente del nascente e potenzialmente ricchissimo mercato degli psicofarmaci,
la maggior parte dei quali trovavano nella marijuana un valido sostituto, meno
costoso e molto meno pericoloso.
Bisognava però creare un mostro nuovo, che suonasse tale all'orecchio
degli americani. Se ci avete fatto caso, sino a questo momento, a differenza
che nei precedenti articoli ho evitato accuratamente di utilizzare il termine
"cannabis" o "canapa", preferendo, l'equivalente, ma più
sinistramente familiare "marijuana", Già, ma perché
allora proprio "marijuana"?
Un nome, un mito
La risposta alla domanda precedente è semplice: perché pochissimi
cittadini conoscevano lo spagnolo! "Marijuana", infatti, altro non
era che il termine messicano popolarmente usato per la cannabis, ma sconosciuto
negli USA, che tra l'altro non ne erano grandi consumatori (prima dell'inizio
della proibizione). Il nuovo termine dava l'idea di qualcosa di misterioso,
esotico, facilmente accusabile di avere poteri "oscuri". Fu l'uovo
di colombo, tanto che ancora oggi è il nome più utilizzato al
mondo.
Il gioco era fatto. Anslinger sapeva che la cannabis era usata relativamente
poco dagli americani, e che non sarebbe incorso velocemente nel disastro degli
alcolici. Bisognava mantenere inizialmente un basso regime, martellando a fuoco
lento sino a che non fosse stato inconsapevolmente noto a tutti che la marijuana
era un mostro. Vennero girati diversi filmati denigratori, il più celebre
dei quali si chiamava "Reefer Madness" in cui si mostravano scene
di follia, violenze di ogni genere e abusi sessuali da parte di persone che,
si diceva con insistenza, avevano fumato marijuana. Lo stesso Anslinger nel
1937 si rese protagonista di una dettagliatissima cronaca terroristica da romanzo
horror pubblicata sul popolarissimo "Selezione del Reader's Digest".
Entrambi questi documenti resteranno nella storia del giornalismo come straordinari
esempi di falsi "d'autore" degni dello Zelig di Woody Allen. La falsità
di questa propaganda venne denunciata addirittura da una commissione governativa,
voluta da Nixon nel '72. "Reefer Madness", che agli occhi di oggi
sembra una parodia, fu un caso da manuale di manipolazione dell'opinione pubblica,
enfatizzato di recente da uno speciale della TV canadese CBC "The Nature
of Things: Reefer Madness 2" (purtroppo nessuno lo ha fatto vedere all'onorevole
Fini).
Da un certo punto di vista però, il proibizionismo, riuscì perfettamente
nei suoi veri intenti: i semplici consumatori invece non dovettero far altro
che rivolgersi al mercato nero, da allora sempre più florido, mentre
la cannabis sparì velocemente dall'industria e dalle farmacie (con grande
gioia delle rispettive lobby). Approfondiamo allora il discorso sugli psicofarmaci,
e in particolare sull'ecstasy.
Ecstasy e psicofarmaci
Le droghe legali più pesanti sono gli psicofarmaci. In Italia il consumo
sta esplodendo, mentre in Inghilterra sono talmente diffusi che l'Observer,
ai primi di agosto, ha denunciato che gli inglesi "bevendo l'acqua dei
rubinetti assumono inconsapevolmente piccole quantità del noto psicofarmaco
Prozac", l'antidepressivo detto "la pillola della felicità".
Gli esperti sostengono che il larghissimo uso che ne viene fatto in UK (in dieci
anni, il numero di prescrizioni è salito da 9 a 24 milioni di pillole
all'anno) ha finito per contaminare, attraverso gli scarichi casalinghi, le
falde acquifere tornando, diluito, in circolazione in piccole dosi (non si sa
bene quanto tossiche).
Nel nostro paese non stiamo molto meglio. Ogni giorno 70.000 medici prescrivono,
con estrema tranquillità, e su ricettario personale, quintali di Tavor,
Minias, Roipnol, antidepressivi, ansiolitici, ipnotici ecc. Certo, nelle istruzioni
all'uso è scritto di fare attenzione alla guida, di assumerli sotto sorveglianza
medica, di non bere contemporaneamente alcolici, neanche quelli leggeri, visto
che spesso si trasformano in allucinogeni, pericolosissimi per chi guida, altro
che cannabis! Poi c'è la lunga storia dei barbiturici che hanno mietuto
decine di migliaia di vittime. Danno dipendenza fisica, spesso molto forte,
e i rischi di overdose non sono affatto trascurabili. Proibire gli psicofarmaci?
Assolutamente no! Resterebbero sul mercato, sarebbero di qualità molto
scadente e fuori controllo, sparirebbero i fogli informativi e arricchirebbero
nuovi criminali e se ne stimolerebbe ulteriormente il consumo grazie al fascino
del proibito. Da questo punto di vista, la storia dell'evoluzione dell'uso dell'Ecstasy
è esemplare.
Benché tutti pensino che sia un nuovo e pericoloso killer ammazzagiovani,
l'ecstasy è una sostanza nata ai primi del novecento, utilizzata per
anni come farmaco in psichiatria. Negli anni ottanta, sotto l'onda del proibizionismo
reaganiano, la DEA (Drug Enforce Administration) decise di inserire la sostanza
nella lista nera delle droghe pesanti imponendo lo stesso passo a tutti i paesi
che aderivano alla convenzione internazionale sulle droghe. Fu l'inizio della
tragedia. L'effetto segnalazione di questa vecchia sostanza da tutti trascurata
fu immediato. Se nel 1976 in tutti gli Stati Uniti se ne consumavano circa 10.000
dosi, alla fine del 1985, il primo anno di proibizione, secondo i dati della
stessa DEA, nella sola zona di Dallas, ed in un solo mese, se ne consumavano
30.000 dosi. Ma la cosa peggiore fu l'innescarsi di una rincorsa frenetica tra
i legislatori proibizionisti e i laboratori chimici, che iniziarono a sfornare
centinaia di varianti sempre più pericolose e incontrollate, che non
ricadessero nella classificazione precedente. Ad "Adam", il primo
nome in gergo dell'ecstasy, seguì presto "Eve", un composto
leggermente diverso. Proibita anche Eva si creò tutta una luna serie
di "prole", che in pochi anni superò quota 200, perdendo ogni
controllo sulla composizione e quindi sugli effetti dei vari composti chimici.
La mitologia sui danni dell'ecstasy non fu diversa da quella che avvolgeva la
cannabis negli anni '30. In realtà, alla fine degli anni '80 il rischio
morte per ecstasy era pari a circa 1 su 71.500, circa tre volte inferiore al
rischio di morte per incidente domestico.
C'era una volta la cannabis
Tutto quello che ho scritto in questo mese, in realtà, a parte gli aggiornamenti
di cronaca, era già stato svelato in tante occasioni sin dalla metà
dell'800. Nella storia degli ultimi 200 anni i rapporti sulla cannabis si sono
succeduti con continuità, sempre arricchendosi di nuovi particolari.
Pare incredibile, ma tutti i benefici di questa pianta così come li conosciamo
oggi, e la stessa dimostrazione della falsità di tutti i luoghi comuni
su di essa erano già stati osservati e confutati in modo esemplare sin
dal primo, e probabilmente più straordinario e imponente studio (7 volumi,
3281 pagine) fatto sulla canapa nell'India di metà ottocento. Era stato
commissionato dal Governo inglese che la voleva conoscere per verificare una
sua eventuale tassazione e l'introduzione in India del whisky scozzese. A distanza
di cento anni, un altro studio inglese confermò i risultati della prima
indagine. Nel 1969, infatti, il rapporto della commissione Wotton (composta
dalla Baronessa Wotton, magistrato, dal commissario capo della polizia metropolitana
di Londra, da un procuratore generale, 4 psichiatri, due farmacologi, una rappresentante
delle industrie farmaceutiche e un direttore si una rivista di scenze sociali)
metteva alla berlina molti dei miti circolanti tra cui quello della droga di
passaggio, ponendo invece molta attenzione sull'escalation derivante dall'uso
di tranquillanti verso i sempre più potenti barbiturici. Nel rapporto
Wotton troviamo scritto: "la maggior parte dei fumatori sono industriosi
e rispettosi della legge; e l'unico delitto a cui gli inglesi sono portati dalla
marijuana è il reato di usarla". Si deve anche registrare la ricerca
del governo Canadese del '70, quella americana del '72, quella olandese sempre
del '72, che portò poi alla semi-legalizazione, quella del '77 in Australia,
e quelle dell'85 e '95 ancora in Olanda.
Potrei continuare a lungo elencando dati e rapporti, soprattutto quelli dell'ONU,
regolarmente taroccati per far quadrare i conti (vedi i rapporti 2000 e 2004).
Preferisco però spendere due parole su alcuni aspetti psicologici che
entrano in gioco quando si tratta di proibizionismo.
Dissonanza cognitiva e proibizionismo
Solitamente, di fronte ad un comportamento che disapproviamo il primo istinto,
quello più comodo per la nostra mente, che deve cercare una soluzione
accettabile moralmente, è la proibizione.
E' anche un istinto quasi di conservazione, di fuga da ulteriori difficoltà
per la nostra vita sempre più stressata. Ed allora non ci si deve stupire
davanti a frasi del tipo: "con tutti i problemi che ci sono, mi devo occupare
pure di questo?" Proibire mette a posto la coscienza, un altro meccanismo
psicologico noto come "dissonanza cognitiva" fa il resto. Sarebbe
lungo spiegare approfonditamente di cosa si tratta, ma tutti ne siamo soggetti,
più o meno. In breve, è il negare alla nostra mente quelle informazioni
che arrivano dall'esterno e che non sono in sintonia con quanto già crediamo
e che ci costringerebbero, se accettate, ad una faticosa rielaborazione delle
nostre idee. In caso di droga, tipico è il rifiuto di considerare il
caso olandese come "reale"; o il pensare "tanto mio figlio non
andrebbe mai dagli spacciatori perché è così bravo";
e ancora, per chi ha provato a fumare cannabis senza aver avuto conseguenze
particolari, il ritener la sua un'eccezione, "per gli altri sarebbe diverso".
Infine, il continuare a ripetere meccanicamente "è diverso",
senza meravigliarsi di non avere in realtà nessuna argomentazione seria
per ritenerlo veramente tale, quando si confronta la proibizione sulla cannabis,
con la legalità di alcool, tabacco, psicofarmaci ecc.
Allontanare dai nostri occhi aiuta anche a pensare che la cosa non ci riguardi.
E' per questo che si creano continuamente miti sulla cannabis, per cercare di
compensare le informazioni dissonanti che il mondo attuale continuamente ci
offre a suo favore. Chiudiamo allora quest'avventura, con l'ultima chicca estratta
dal cilindro dei proibizionisti, un'altra manipolazione cognitiva che permette
loro di mantenere un insano disinteresse al problema.
L'ultimo pregiudizio, l'ultima scusa
L'ultimo e più recente (per modo di dire, perché oramai lo si
ripete a vuoto da dieci anni) mito in circolazione, che fa da specchio sul quale
si arrampicano i proibizionisti, afferma che tutti i dati passati, tutte le
esperienze precedenti, insomma secoli di storia non contano più nulla
perché "la cannabis di una volta era diversa e molto meno forte
di quella di oggi".
In primo luogo prova tecnica della totale infondatezza di questa teoria ci arriva
dal Centro Europeo di Monitoraggio su droghe e tossicodipendenze (EMCDDA) di
Lisbona secondo cui, sarebbero sovrastimati gli allarmi sulla cannabis ad alto
Thc (il principio attivo) che si stanno diffondendo nel mondo. Lo studio afferma
che la presenza di Thc sia nella marijuana che nell'hashish, è rimasta
stabile negli ultimi 30 anni attorno al 6%.
La questione è però un'altra. Anche se fosse (certamente si possono
trovare in giro varietà selezionate e molto più ricche di principio
attivo, ma sono una forte minoranza), che male ci sarebbe? Quale la differenza,
per esempio, con i diversi livelli di gradazione alcolica di molte bevande,
o la differenza di intensità dei vari psicofarmaci o anche dei comuni
antibiotici? Semplicemente se ne consumerebbe una quantità inferiore
per avere lo stesso risultato. Su questo punto è intervenuto un paio
d'anni fa anche il professor Lester Grinspoon, psichiatra di Harvard, e pioniere
della lotta contro la proibizione. E visto che ho iniziato con lui questa serie
di articoli ho deciso di concedergli anche l'ultima parola, sperando in queste
4 settimane di aver suscitato il vostro interesse su un argomento troppo spesso
carico di pregiudizi, ma estremamente affascinante ed importante (per l'intervista
completa: www.fuoriluogo.it).
La parola a Lester Grinspoon
Professore, Spesso si sostiene che la cannabis fumata oggi sarebbe molto più
forte in termini di Thc rispetto a quella che si fumava negli anni '60 e '70.
Lei che ne pensa?
"È un'assurdità per due ragioni. Prima di tutto, la marijuana
oggi è effettivamente un po' più forte rispetto al passato, perché
le persone hanno imparato a coltivarla, ma non è affatto da 20 a 30 volte
più forte, come sostiene il nostro governo. Vorrei che lo fosse, ma non
lo è! Diciamo che il Thc presente negli anni '60 poteva essere il 2-3%,
mentre oggi si aggira intorno al 4-5%. Il secondo punto, è che se la
cannabis è più potente, è più sicura dal punto di
vista dell'eventuale danno polmonare. Infatti alcune ricerche hanno dimostrato
che, se il livello di Thc è più alto, si tende a fumare meno spinelli.
Comunque non credo che chi fuma marijuana in quantità ragionevole si
esponga a un grosso rischio per la salute. Se fumo uno spinello, sto esponendo
i miei polmoni a un rischio inferiore che se passassi una giornata a Houston,
Texas, dove c'è molto inquinamento. La cannabis è semplicemente
una pianta. Gli esseri umani hanno sempre usato le piante sottoponendole a combustione,
lo fanno da 200.000 anni. Prendiamo invece il tabacco. Le sigarette contengono
tutte le sostanze chimiche che ci mettono le società produttrici. E poi,
quale consumatore di marijuana fuma venti spinelli al giorno?"
Per saperne di più
La bibliografia sull'argomento è molto vasta. Vi segnalo alcuni testi,
tutti straordinari per la loro semplicità, professionalità e reperibilità:
Lester Grinspoon "Marijuana, la medicina proibita" (Editori Riuniti,
2000); Guido Blumir "Marihuana, uno scandalo internazionale" (Einaudi,
2002); Bernardo Parrella "Cannabis, non solo fumo" (Stampa Alternativa,
1999); Paolo Randali-Bruno Canarini "Canapa: il ritorno di una coltura
prestigiosa" (Edizioni Avenue Media, 1998); Jack Herer "The emperor
wears no clothes" (è la bibbia degli usi industriali della camapa).
Per i patiti di internet tra i tanti vi segnalo: www.antiproibizionisti.it,
www.antiprohibitionist.org, www.medicalcannabis.it, www.cyberhemp.com, www.cannabis.com.
Per altre informazioni, oltre che alla mia e-mail riportata qui sotto, un sicuro
punto di riferimento è il negozio "Canafoia" di Rimini in via
Roma 104/b, specializzato in prodotti alla cannabis.