Pubblicato il 26 gennaio 2011 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
La settimana scorsa avevo parlato della crescente indicizzazione dei mercati finanziari e di come questo potesse rappresentare un problema per l’efficienza dei mercati stessi nella formazione dei prezzi dei titoli. Cioè, se la quota dei volumi di scambio che si muove secondo regole quantitative, quelle dovute ad automatismi regolati da determinati valori (la composizione degli indici o certi valori di bilancio) dovesse diventare prevalente sul totale, i prezzi delle azioni (soprattutto, ma non solo) potrebbero non rappresentare più la realtà, ma essere forzatamente sopra o sottovalutati. Ragionando all’estremo, in un mondo totalmente indicizzato, il titolo di un’azienda dai pessimi risultati continuerebbe ad essere comprato solo perché presente all’interno di un indice, mentre quello di una buona società in crescita, ma ancora non sufficientemente popolare da essere inserita in un indice di borsa, verrebbe snobbato. Tutto ciò creerebbe un distaccamento tra valore reale e valore finanziario.
C’è da ritenere comunque che in una situazione del genere le forze del mercato inizierebbero a reagire, e qualcuno si renderebbe conto dell’opportunità di tornare al vecchio stile di gestione basato sui bilanci e le analisi fatte da umani e si aprirebbero nuove opportunità proprio per sfruttare l’inefficienza dovuta all’eccessiva indicizzazione. E il sistema ripartirebbe da dove era iniziato.
In un certo senso questo processo già accadde 12 anni fa in Europa, quando i gestori attivi, dato l’incalzare della new economy, nelle loro gestioni si allontanarono pesantemente dagli indici che poco prendevano in considerazione i titoli delle troppo recenti aziende tecnologiche. Cavalcando il mercato delle nuove emissioni, invece, i gestori per un anno e mezzo ottennero risultati eccellenti rispetto ai classici indici come il vecchio Mib30. In America le cose furono un po’ diverse per la presenza di un listino ad hoc come il Nasdaq. Ma per avere un’idea della distanza tra indici tradizionali e quello che accadeva sul mercato, pensate che le stesse colossali Microsoft e Intel non furono inserite nel tradizionale indice Dow Jones sino al 2000, proprio quando iniziò la crisi tecnologica.
Le cose come sappiamo degenerarono e solo in pochi riuscirono a evitare il peggio. Ma fatto sta che così come prima grandi affari si fecero scommettendo su quel che avveniva fuori degli indici, lo stesso avvenne dopo, quando quei titoli negli indici vi erano entrati e ne rappresentavano una discreta fetta, e chi non li seguì, per esempio il solito Buffet, fece affari investendo, per citare un altro grande gestore come Peter Lynch, “non facendo zig mentre il mercato sta facendo zag”, ma investendo in quello che stava facendo sbadigliare Wall Street in quel momento. In questo momento credo che gran parte del mondo stia seguendo lo “zag” dell’indicizzazione.
Tornando quindi ai nostri ETF e ai prodotti indicizzati, il succo del discorso è che tanta parte della loro giusta fortuna è dovuta al fatto che, specialmente in Europa, le gestioni “attive” dei grandi gruppi bancari troppo attive non lo sono mai state, e sotto sotto, si sono sempre fatte pagare per seguire semplicemente la scia, sottoperformando spesso gli indici e lasciando campo libero da questo punto di vista ai prodotti indicizzati. Oltretutto le gestioni dei grandi gruppi (seppur il problema sia meno grave di quanto sbandierato da tanti commentatori), subiscono anche le pressioni della casa madre circa l’acquisto o meno di certi titoli, rendendo meno indipendente la gestione e quindi meno efficiente. Il problema, a livello di visibilità generale del settore, è che le società di gestione in mano alle grandi banche commerciali sono la maggioranza del mercato e di fatto quando si fa una statistica del mercato si parla prevalentemente di loro.
Ma non ci sono solo loro. L’uovo di colombo per evitare tanti problemi e avere un buon gestore che usa la testa e, pur non essendo ovviamente infallibile, evita conflitti di interesse con una gestione più efficiente, è rivolgersi chi fa appunto solo il gestore e non anche la banca. I gestori indipendenti sono presenti da anni nel nostro paese, anche se sono soprattutto esteri. Usiamoli, soprattutto per quel che riguarda le gestioni globali. Hanno costi accettabili, buoni risultati e non fanno le pecore in un mondo che, temo, le pecore inizierà a bastonarle. Poi tornerà anche il tempo delle pecore, comunque ottime e molto simpatiche.