Pena di morte: la ragione deve superare l'indignazione
Pubblicato il 13 ottobre 2010 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Una ventina d'anni fa, uno dei più grandi governatori dello stato di New York, Mario Cuomo, si rammaricava di quanto ancora fosse popolare la pena di morte tra gli americani, e quanto poco di buono questo potesse insegnare ai piccoli che crescevano nel suo paese.
Giorni fa, un mio amico ha condiviso su Facebook un commento in cui, dicendosi certo di urtare la sensibilità di molti, chiedeva di fatto la pena di morte per Michele Misseri.
Non mi sento urtato nella sensibilità per questa richiesta, che arriva da più parti, forse perché il fatto accaduto è tra i più ripugnanti, perché chiunque, d'istinto, trovandosi davanti al fatto appena compiuto, sarebbe colto dagli stessi pensieri.
Ma ancora una volta, in questo come in altri casi simili, l'emozione travisa i fatti come se per alcuni una punizione violenta potesse servire, sotto sotto anche da soddisfazione per altri crimini su cui invece istintivamente si tace, perché ci si sofferma sul carnefice più che sul macellato.
Se guardiamo la cosa dal lato di Sara, c'è che Sara non c'è più, e non c'è più a prescindere dal come se ne sia andata, purtroppo. Però è stata uccisa una ragazza adolescente, in modo barbaro, e molti di coloro che per Misseri vorrebbero la forca sono certo non siano dei convinti sostenitori della pena di morte, neanche il mio amico. Ma questa volta è troppo...
Già, troppo per un morto solo forse, ma sarebbero pronti ad invocare la pena di morte per un amministratore pubblico che non fa un controllo? E se la mancanza di quel controllo, magari per lucrarci sopra, di ragazze come Sara ne uccide 20 in un botto solo?
Non giudico gli arrabbiati, gli infuriati, come lo sono anche io. Ma la rabbia che guida l'istinto, lo guida in modo cieco. Lasciando riposare in pace la povera Sara, e Misseri al suo truce destino, c'è un principio cardine che se non è rispettato di stragi continuerà a produrne sempre, ed è che quando c'è strage di legalità, ci sarà sempre, prima o poi, strage di popoli. Ma stragi vere! E' una delle idee dei radicali a cui sono più debitore per l'insegnamento che porta con sé.
La legalità violata fa sì che un treno deragli, una scuola si frantumi, un'alluvione distrugga una città, un disastro annunciato venga taciuto. E le morti che seguono regolarmente sono solo apparentemente meno atroci della "classica" violenza privata.
Non mi indigno per le richieste forcaiole, ma un po' m'arrabbio con chi, umanamente, si sente colpito dalla tragedia, ma finisce per chiedere solo un'inutile vendetta, che sembra dover compensare altre mancanze, altre stragi silenziose, che però restano lì, giorno per giorno leggere, anno per anno pesantissime.
E questi fuochi rabbiosi dell'animo, che fortunatamente si spengono nel giro di poco, ricordano quel vecchio desiderio di esecuzioni pubbliche che ha caratterizzato la storia dell'uomo in quasi tutte le civiltà, un sollazzo per il popolo bue che in cambio di un po' dell'adrenalina indotta da una ghigliottina luccicante, accetta il resto, contento della sua dose di circo macabro che gli vien dato assieme al "panem". O, per dirla con i Borboni che governavano Napoli, dategli "feste, farina e forca", e il popolo se ne starà buono.
Non mi indigno se Misseri si fa "solo" 30 anni di carcere, mi indigno per i più di 50 suicidi avvenuti nelle nostre carceri dall'inizio dell'anno. Rubagalline condannati a morte dalla disperazione, nell'indifferenza di chi si indigna per i soliti due o tre casi che "bucano" in TV.
Sulla completa inutilità della pena di morte come deterrente è stato scritto tantissimo negli ultimi due secoli. Meno forse sugli effetti a lungo termine causati da uno Stato che educa usando una pena che non ammette un recupero. Capita anche però, si dirà, che un assassino esca di galera e uccida nuovamente. Meglio la morte allora? La rabbia guida male ancora, perché l'uomo è altamente imperfetto e così sono i suoi sistemi. Quante, infatti, sono state le vittime innocenti dei carnefici di Stato? Forse di più di quelle dei killer della "seconda occasione", ma ne basta una sola per rendere la pena di morte inaccettabile.
La maggior parte degli italiani è contraria alla pena capitale e questo va a loro onore. Fatti atroci come quello di Avetrana, comprensibilmente mettono in crisi anche me. Bisogna sforzarsi, però, di comprendere che se si chiede quel che suggerisce il primo istinto anche quando le reazioni d'istinto dovrebbero essere finite, si contribuisce solo a peggiorare le condizioni generali di civiltà di un paese, e inconsapevolmente si insegue un desiderio di giustizia mal posto. E prendendo quella strada facile, dopo tutto, finiti la rabbia e lo sdegno, si è pronti a subire passivamente le solite stragi di legalità quotidiana come se niente fosse, come se non contassero. Come quella cicala della favola, che da millenni si accorge sempre troppo in ritardo del suo comportamento leggero.







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