Pubblicato il 4 agosto 2010 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
They, said some day you'll find
All who love are blind
When your heart's on fire
You must realize
Smoke gets in your eyes
[...]
Now laughing friends deride
Tears I cannot hide
So I smile and say
When a lovely flame dies
Smoke gets in your eyes
Si amavano, e non si amavano. Ma era amore vero? Lui al principio
disse sì. A chi dubitava, l'altro rispondeva ridendo. Ora è lui
a piangere, e non può negarlo, e le lacrime (di rabbia) si vedono...
La storia di Fini e Berlusconi, grazie agli ultimi epiloghi, sembra una canzone
dei Platters. Ma dopotutto non è neanche per Fini quello che scrivo,
è solo un esempio. Forse solo un'idea o una speranza, o una rappresentazione
imperfetta di una speranza.
E' che la forza e la grinta sono sempre un bene, mentre l'aggressività
è sempre il segno che dentro la paura sta prendendo il sopravvento sulla
fermezza. E' umano essere aggressivi, e anche un potente come Berlusconi non
è immune da questo istinto bieco, e contro Fini, specialmente dal congresso
della scorsa primavera, non ha quasi mai usato argomenti, ma aggressività.
Aveva, e ha ancora paura.
Ha paura perché sa che vincere nel modo che gli è tipico, con
aggressività e sorridente arroganza, lo ha portato a vittorie il cui
segno svanirà appena lui uscirà di scena, appena il fumo negli
occhi dei suoi innamorati si sarà dissolto; svaniranno come vittorie
circensi, festeggiate da un pubblico pagato o appagato dalla rilassatezza del
non dover faticare troppo, a volte anche dal non dover pensare, ma non per stupidità,
per stanchezza. E Fini, che ora ha perso, apparentemente, la sua battaglia interna
venendo cacciato, dice da tempo tante e tali ovvietà (non tanto sui contenuti,
ma sulle regole della dialettica), che in un partito politico dovrebbero essere
solo banalità scontate.
E pure nella loro banalità, queste richieste rischiano di restare le
uniche cose vere, di politica vera, della fase finale del berlusconismo, e per
un vincente forte della sua prepotenza come il Cavaliere è un affronto
intollerabile, perché ne scopre l'intima debolezza, e l'intima invidia
a causa del proprio infantilismo politico, attorno al quel restano, e a lui
deve sembrare ben triste, poco più che cortigiani/e col disco rotto e
il naso mummificato, o leghisti pronti a giocare con il suo cadavere politico.
E che faranno gli ex colonnelli di AN, i personaggi più in miseri di
tutta questa storia, incapaci come bimbi di staccarsi alle sottane del loro
nuovo unico capo, traballante, ma ancora ricco, orfani di un futuro?
Spero che le ferie estive portino a riflettere sul fatto che si può sempre
ricominciare, anche se con meno comodità. Vale per tutti quelli che si
sono scontrati con una lobby potente e hanno dovuto fare un passo indietro,
in tutti i campi.
Chi non sa perdere, e chi non accetta di dover ricominciare, finisce per vendersi,
per perdere la sua personalità e la sua forza creativa. Perdendo inevitabilmente
se stesso, e rinunciando a una vita di lotta e di conquista.
Chi crede di aver perso per aver mancato un obiettivo contro un gruppo di lacché,
di raccomandati, di servi resi forti dal denaro altrui, subisce la tentazione
di seguire la via facile, che la nostra cultura sempre più raccomanda:
quella di darsi un prezzo, di qualunque tipo esso sia, e di adattarsi, altrimenti
sei un fesso.
Spero né Fini né chi si trova in uno stimolante momento di difficoltà,
circondato da squali e da nuovi futuri aspiranti padroni non lo faccia mai.
E se Pasolini incitò i radicali a dimenticare subito i grandi successi
e ad essere continuamente irriconoscibili, ciò vuol dire anche non dimenticare
le sconfitte, e imparare ad usare, ma in modo corretto, le stesse armi dei nostri
avversari, quelle che loro usano pugnalando alle spalle, l'unico modo in cui
i mediocri da sempre riescono a vincere.
Lo dico a Fini, ai radicali (che il mio amico Sergio Giordano sostiene si siano
ritirati sulla collina di Spoon River; forse a riflettere, aggiungo), a quei
pochissimi del PD che hanno ancora un qualche stimolo vitale per riuscire a
prendere una qualunque decisione non banale, a me stesso e a chi voglio bene:
non c'è vergogna nella sconfitta se frutto della propria personalità
integra, quando hai lottato secondo le regole. La dignità è un
bene raro, e quando credi di aver perso anche l'ultima speranza, grazie a lei
senti sempre una voce che dice "no, ce n'è un'altra"; è
così in politica, nel lavoro, in amore. Pazienza se umanamente, ogni
tanto, ci va un po' di fumo negli occhi.
