Pubblicato il 4 agosto 2004 su La Voce di Romagna in prima pagina
di Simone Mariotti
"Quando cominciai ad occuparmi della marijuana nel 1967,
non dubitavo che si trattasse di una droga molto nociva che, sfortunatamente,
veniva usata da un numero sempre maggiore di giovani incoscienti che non ascoltavano
o non potevano capire i moniti della sua pericolosità. La mia intenzione
era di descrivere scientificamente la natura e il grado di questa pericolosità.
Nei tre anni successivi, mentre passavo in rassegna la letteratura scientifica,
medica e profana, il mio giudizio cominciò a cambiare. Arrivai a capire
che anch'io come molte altre persone in questo paese, ero stato sottoposto ad
un lavaggio del cervello. Le mie credenze circa la pericolosità della
marijuana avevano scarso fondamento empirico. Quando completai la ricerca, che
ha rappresentato la base per un libro, mi ero ormai convinto che la cannabis
fosse considerevolmente meno nociva del tabacco e dell'alcool, le droghe legali
di uso più comune."
Le parole che avete appena letto non sono il frutto di uno stravagante figlio
dei fiori, bensì di un illustre, oggi 75enne, psichiatra della seriosissima
e prestigiosissima Harvard Medical School, il professor Lester Grinspoon, che
da oltre trent'anni si batte contro un paradosso: "non sempre chi fa uso
di droghe proibite si comporta irrazionalmente, mentre ciò accade sicuramente
a molti non consumatori".
Quello di oggi è il primo di una serie di quattro articoli che accompagneranno
i lettori per tutti i mercoledì di Agosto. Focalizzando l'attenzione
su vari aspetti dello "scandalo marijuana", da quelli medici e industriali
a quelli storico-politico-sociali, scopriremo che ci sono dei motivi più
che fondati che mi hanno spinto a dedicare il titolo di questo mio primo intervento
ad un pionieristico ed anticipatore testo di Guido Blumir, uscito 30 anni fa
("La marijuana fa bene", Tattilo, 1973, recentemente riedito da Stampa
Alternativa).
Tanti nomi, una sola anima
I termini marijuana, cannabis, canapa ed altri ancora, sono sinonimi. Descrivono
infatti una stessa pianta la cui unica variabile, indistinguibilie all'occhio
(di qui la proibizione generale) è il livello di principio attivo in
essa contenuto. Per la scienza è "cannabis"; "marijuana"
(o marihuana) per spagnoli e messicani, ed è il termine che ha avuto
più fortuna a livello internazionale, ne spiegheremo la ragione nell'ultima
di queste 4 puntate. E poi ancora "canapa" in Italia, "hemp"
in inglese, e così via. "Hashish" è invece il nome della
resina prodotta dalla pianta.
Ma fa male o fa bene?
Provate a pensare alle caratteristiche che secondo voi una sostanza deve avere
per essere considerata nociva. Un primo indizio è senz'altro il numero
di persone che ogni anno muore a causa del suo utilizzo. Poi è interessante
sapere se provoca disturbi all'organismo o malattie gravi, se genera dipendenza,
se la dose letale è elevata, se l'uso può essere distinto dall'abuso.
Bene. Alcool, tabacco, psicofarmaci ed anche la comunissima aspirina rientrano
pienamente in tutte le definizioni: migliaia di morti l'anno per quel che riguarda
l'aspirina e per moltissimi altri farmaci in commercio, milioni a causa del
consumo di alcool e tabacco. Dosi letali facilmente ingeribili, soprattutto
per alcool e psicofarmaci; forti dipendenze fisiche per tutti con la possibilità,
però, di distinguere uso da abuso.
"Sfortunatamente" la cannabis fatica a trovare spazio tra queste cattive
compagnie. Nella storia della medicina mondiale non esiste un solo caso registrato
di morte dovuta, anche per affetti collaterali o interazioni con altre sostanze,
dal suo utilizzo. La dose letale è irraggiungibile anche per chi volesse
provarci con tutte le sue forze: 30.000 volte quella abituale. Non provoca nessun
tipo di dipendenza fisica, non crea aggressività come l'alcool; non brucia
i polmoni come il tabacco (il consumatore abituale fuma poche sigarette alla
settimana); non da pesanti assuefazioni psichiche come accade con tanti psicofarmaci.
In compenso è un eccellente medicinale, ed ha anche infinite applicazioni
industriali ben conosciute dall'uomo da millenni, e che potrebbero ancora oggi
migliorare non di poco la vita su questo pianeta.
Se il dottore mi prescrive un po' d'erba
Se i riminesi conoscono bene il caso di Lino Vici, a livello globale fu l'americano
Robert Randall ad iniziare la lunga battaglia per ottenere la legalizzazione
della marijuana a scopo terapeutico. Malato di Glaucoma, una grave malattia
della vista, Randall era quasi ridotto alla cecità. Una sera con gli
amici prova per caso a fumare uno spinello; l'effetto è sorprendente:
a distanza di qualche ora nota un sensibile miglioramento della percezione visiva.
Il principio attivo della cannabis infatti provoca una riduzione della pressione
oculare, causa prima della malattia, con un'efficacia superiore a qualsiasi
farmaco a disposizione, e senza effetti collaterali. Era il 1973. Fu l'inizio
di una difficile, ma vittorosa guerra legale tra Randall ed il Governo degli
Stati Uniti. Il 12 novembre 1976 fu recapitata a casa di Robert una scatola
contenete 300 spinelli di marijuana purissima. Mittente: il Ministero della
Salute.
Di casi come quelli di Randal e Vici potremmo raccontarne a migliaia. In realtà
la storia della cannabis terapeutica affonda le sue radici nella notte dei tempi.
Anche in Italia, sin dall'800, la cannabis trovò in alcuni medici, come
Carlo Erba di Milano e Raffele Valieri del glorioso Ospedale degli Incurabili
di Napoli, validi anticipatori. Lo stesso Grinspoon, ricordato all'inizio, ebbe
illustri predecessori in America. In un articolo apparso nel 1942 sull'American
Journal of Psychiatry dal titolo "The Psychiatric Aspects of Marijuana
Intoxication" due medici, Samuel Allentuck e Karl Bowman, riportarono i
dati di un'inchiesta Governativa volta a testare la pericolosità di questa
sostanza a dieci anni dall'inizio della sua persecuzione. Il loro testo si concludeva
con affermando: "Non c'è nessuna prova che possa suggerire che l'uso
continuato di Marijuana sia un traghetto verso l'uso di oppiacei. L'uso prolungato
di questa droga non porta a degenerazioni fisiche, mentali o morali, né
abbiamo osservato alcun effetto deleterio permanente dal suo uso continuato.
Al contrario, la marijuana e i suoi derivati hanno notevoli potenzialità
terapeutiche che meritano future ricerche".
Benché notevoli lobby di potere, soprattutto da parte delle case farmaceutiche,
ma anche come vedremo petrolchimiche, repressero con violenza questo tipo di
risultati, le ricerche auspicate dai sue medici americani degli anni '40 sono
proseguite fino ad arrivare a costituire oggi una mole di oltre 15.000 studi.
Chemioterapia, glaucoma, epilessia, sclerosi multipla, paraplegia, aids, dolori
cronici, emicrania, prurigine, dolori mestruali, doglie, depressione, disturbi
emotivi, asma, insonnia, nausea acuta, ed altri ancora sono realtà dolorose
in cui la cannabis trova validissime applicazioni. Intanto il cammino della
scienza prosegue spedito. Uno degli ultimi studi è apparso pochi mesi
fa sulla Rivista Neurology (2004;62) a proposito di epilessia e sclerosi multipla.
Purtroppo nonostante tutto ciò l'Italia mantiene un deprimente oscurantismo
anche in campo terapeutico. Nonostante la cannabis non sia mai uscita dalla
farmacopea italiana ed è prescrivibile dai medici, le farmacie ne sono
totalmente sprovviste. All'estero però sono più rispettosi verso
i malati. In Inghilterra, Canada, Olanda, Svizzera, Australia, Israele, Germania
si procede in avanti a piccoli passi. L'Olanda (2003) è stato il primo
paese al mondo a porre in vendita dei veri e propri farmaci a base di cannabis
(Simm18 e Bedrocan), mentre in Canada dal 2001 è consentito fare uso,
possedere e coltivare marijuana per scopi medici. Sempre in Canada sono presenti
delle organizzazioni chiamate Compassion Clubs per dare assistenza ai pazienti
utilizzatori di cannabis. Privilegiati anche i malati di Arizona, Alaska, California,
Colorado, Maine, Nevada, Oregon, Washington, Hawaii e, dal maggio 2004, anche
Vermont (sono previsti per novembre due referendum in proposito in Arkansas
e Montana). In Inghilterra è in corso di approvazione il nuovo farmaco
Sativex, ma già da tempo, così come in Germania, è disponibile
anche il Marinol (il thc sintetico; il thc è il principio attivo della
cannabis). Informazioni mediche utili le potete trovare nel sito www.medicalcannabis.it.
Cannabis in fabbrica
La cannabis non richiede pesticidi o erbicidi; il vigore con il quale cresce
è talmente intenso (in poche settimane la pianta raggiunge diversi metri
di altezza) da sottrarre al terreno tutto il nutrimento in esso contenuto, lasciando
qualsiasi altra pianta a bocca asciutta. Vi sono delle varietà a basso
dosaggio di principio attivo e con notevoli potenzialità industriali,
che però continuano ad essere vietate nella maggior parte dei paesi.
In Italia le coltivazioni di canapa, nome da noi più familiare, rappresentavano
una larghissima parte del territorio. In particolare la canapa era diffusissima
proprio in Emilia-Romagna tanto che nella famosa serie filatelica Italia al
Lavoro del 1950, in cui ogni regione veniva rappresentata con un mestiere o
con una risorsa naturale, il francobollo da 65 centesimi, scelto per la nostra
regione, era dedicato alla oggi scandalosissima canapa. La più grossa
vergogna delle legislazioni proibizioniste degli ultimi 60 anni è di
aver privato il mondo di quella che senza dubbio è la più versatile
ed utile tra tutte le fibre vegetali disponibili.
Oltre alla nota capacità di produrre tessuti molto resistenti (un dato
su tutti: il 90% di tutte le vele usate nella storia sino all'avvento del vapore
e delle fibre sintetiche, erano di canapa), sulla quale non mi soffermo in questa
sede, per la canapa sono stati catalogati circa 50.000 usi industriali: corde,
vernici, materiale nautico, carta, filo interdentale, profumi, materiali edili,
collanti, bioconbustibili e perfino carrozzerie automobilistiche. La Ford già
nel '41 ne realizzò una ultraleggera costituita al 70% da fibra di canapa,
ma il nascente, terribile proibizionismo forzò il passaggio definitivo
al petrolio e ai suoi derivati. Ma l'idea delle auto in cannabis sta tornando
alla ribalta per motivi di sostenibilità ambientale. Sul Corriere della
Sera del 21 maggio 2001 si leggeva: "Troppe carcasse, l'industria alla
ricerca di un'alternativa al metallo. Gli scienziati: la scocca delle macchine
potrà essere fatta di cannabis, materiale ecologico e forte come la fibra
di vetro".
Ancora. La cannabis resta la pianta in grado di produrre la più elevata
quantità di cellulosa (necessaria alla produzione di materiale plastico)
rispetto al proprio peso, e un suo sviluppo renderebbe molto meno drammatica
la nostra dipendenza dal petrolio. E come non ricordare gli usi alimentari,
con il nutrientissimo olio di semi di canapa, il più insaturo tra tutti
gli olii vegetali conosciuti, e ricchissimo di proteine? Ma entriamo del dettaglio
di due preziose applicazioni.
Salviamo le foreste
Da sempre utilizzata nella produzione di carta (il più antico testo stampato
conosciuto, il cinese "Dharan" del 770 d.C., è fatto al 100%
con fibre di cannabis) il ritorno in massa della cannabis rappresenterebbe uno
dei più straordinari passi avanti nella difesa del pianeta. Bastano pochi
numeri per rendersene conto. Un ettaro coltivato a cannabis impiega una sola
stagione per arrivare a piena crescita contro i venti anni degli alberi, ottenendo
tra l'altro una quantità di polpa legnosa 8 volte superiore. Inoltre,
la robustezza della carta ricavata dalla cannabis è molto più
resistente e può essere riciclata fino a 7 volte, contro le 3 della carta
che utilizziamo tutti i giorni. Se si aggiunge il fatto già ricordato
che la sua rapida crescita non richiede aggiuntivi chimici e che la pianta è
un eccellente miglioratrice della fertilità dei terreni, lo scandalo
del suo scarso utilizzo è completo. Fortunatamente da un po' di anni,
da quando ci si è sempre più resi conto della demenziale follia
proibizionista, e con l'accrescersi dei problemi ambientali, una trentina di
paesi (soprattutto in Cina, Australia e Canada) hanno iniziato a sviluppare
coltivazioni di cannabis per la produzione di carta non legnosa. Secondo Bernardo
Parrella, autore del testo "Cannabis, non solo fumo", la politica
proibizionista internazionale degli ultimi 50 anni è responsabile di
circa il 70% della deforestazione globale. Ancora oggi oltre l'85% della produzione
di carta proviene dagli alberi. E poco più che il 10% è riciclata.
Una benzina molto particolare
Quando Rudolph Diesel progettò il suo famoso motore nel 1896, egli lo
immaginò alimentato da una ricca varietà di carburanti; in particolare
la sua idea era quella di utilizzare olii vegetali, molto più puliti
e a buon mercato del petrolio; l'olio di cannabis è senza dubbio quello
più efficiente e più economico da produrre. Ma oltre all'utilizzo
dell'olio come combustibile pulito, una fonte di salvezza per il pianeta è
costituita dalla preziosa biomassa prodotta in grande abbondanza dalla cannabis:
10 tonnellate per acro in circa 4 mesi. Biomassa è il termine usato per
descrivere tutti i materiali di origine biologica, e la produzione mondiale
è stimata in circa 150 miliardi di tonnellate metriche all'anno, principalmente
costituite da vegetazione selvatica. La biomassa può essere trasformata
attraverso il sistema della pirolisi (trasformazione in carbone in assenza di
ossigeno) in un carbone vegetale che brucia in modo pulito, senza emettere zolfo;
oppure la trasformazione biochimica della biomassa da cannabis produce anche
metano, metanolo e benzina con un costo notevolmente inferiore al petrolio,
carbone fossile o energia nucleare, specialmente se vengono inclusi i costi
ambientali. E' stato calcolato che se il 6% del territorio americano fosse coltivato
a cannabis, la biomassa prodotta ridurrebbe la dipendenza degli Stati Uniti
da combustibili fossili dell'80%. Il governo americano ne era ben conscio e,
in una storica situazione di necessità, ricorse alla cannabis in modo
plateale, fornendoci la prova più schiacciante della sua straordinaria
utilità.
"Hemp for Victory!"
Siamo nel 1942, la guerra pare volgere al meglio per tedeschi e giapponesi.
Il governo americano è alle strette. Sono necessarie materie prime economiche
e rapide, soprattutto perché l'invasione nipponica della filippine ha
privato la flotta americana di un'importante fonte di cannnabis per la realizzazione
di cordame. In quegli anni la potente lobby farmaceutico-chimico-petrolifera,
guidata dalle industrie Du Pont aveva agito in combutta con un losco figuro
sopravvissuto al fiasco del proibizionismo sugli alcolici, Harry Anslinger,
per far fuori la cannabis dal mercato, pericolosa concorrente delle nuove plastiche
e del petrolio; fu negli anni trenta che iniziarono infatti a circolare un'infinità
di frottole sulla sua pericolosità, la maggior parte delle quali ce le
portiamo dietro ancora oggi.
Ma la guerra aveva fatto aprire gli occhi a qualcuno del ministero dell'agricoltura;
soprattutto aveva fatto tornare alla mente il glorioso passato della cannabis,
che aveva mosso l'intero sviluppo della nuova nazione americana, tanto che in
certi periodi di difficoltà del '700, data la sua importanza, si rischiava
di essere incarcerati se non la si coltivava. Spinto dal bisogno, si diceva,
il governo, realizza un leggendario filmato di 16 minuti, destinato agli agricoltori
del Kentucky e del Wisconsin per rieducarli alla coltivazione della canapa (hemp)
dal titolo propagandistico "HEMP FOR VICTORY" (Canapa per la Vittoria).
Agli agricoltori furono rilasciati dei permessi speciali che li identificavano
come "produttori di marijuana".
Sullo sfondo di immagini con fiorenti campi coltivati a cannabis, il narratore
declamava le antiche virtù della pianta che così tanto aveva migliorato
la vita dei popoli. Il film terminava con un'esortazione quasi epica; erano
in pericolo le riserve asiatiche, ed allora: "toccherà alla canapa
americana tornare a fare il suo dovere: canapa per gli ormeggi, canapa per il
traino dei battelli, canapa per innumerevoli usi a terra e in mare come ai tempi
in cui la Old Ironside solcava vittoriosa i mari grazie alla canapa. HEMP FOR
VICTORY!"
Washington negò a lungo di aver prodotto il filmato, scoperto nel 1974;
ma nel 1989 dopo una lunga ricerca nei meandri degli archivi governativi venne
scovato un documento che non lasciava dubbi sulla sua origine statale.
Il prossimo mercoledì continueremo questo viaggio nella
cannabis scardinando una delle più durature, ma al tempo stesso più
smentite e fasulle fonti di preoccupazione legate a questa sostanza: il falso
mito della "droga di passaggio".