Pubblicato il 26 maggio 2010 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
In questo periodo di crisi, con le borse in calo da un decennio,
voglio parlare oggi dell'estrema frontiera degli investimenti, di quell'orizzonte
lontano attualmente ultima terra di conquista dei mercati finanziari.
Una volta c'erano i mercati emergenti, erano loro a rappresentare, e lo sono
rimasti sino a pochissima anni fa, la sfida più spericolata (a dire il
vero anche la più redditizia) per un investitore smaliziato e pronto
alle montagne russe delle borse. Era il 1987 e la Morgan Stanley lanciò
il primo indice borsistico per quei paesi che ancora erano solo all'inizio dello
sviluppo economico/finanziario. Attraverso la storia di quell'indice si vede
anche la storia dello sviluppo di un'enorme parte del mondo e dei cambiamenti
sociali avvenuti. Per esempio la transazione dall'economia comunista a quella
capitalista dei paesi dell'Est.
Un dato che ci dà il polso di ciò è che quando fu creato
l'indice dei mercati emergenti, esso comprendeva solo 10 paesi (contro i 22
di oggi) e che tutta l'area definita oggi EMEA (Europa dell'est - Medio Oriente
- Africa) era rappresentata da un solo paese, la Giordania (tra l'altro oggi
non più nell'indice), contro gli 8 di oggi. Alcuni paesi, seppur molto
sviluppati come Corea del Sud e Taiwan, sono ancora considerati "emergenti"
per la vulnerabilità di quelle economie agli shock esterni, mentre altri
come Brasile, India, Russia e Cina seppur ancora "emergenti", si sono
ritagliati grazie all'acronimo BRIC, coniato dalla Goldman Sachs, una menzione
speciale per via del loro repentino sviluppo recente e del loro peso crescente
sui mercati, e anche il rating delle emissioni governative di questi stati è
oramai quasi del tutto fuori dalla famiglia dei titoli speculativi (o spazzatura,
come si dice in gergo).
Gli altri mercati emergenti, oltre ai 6 già citati, sono al momento (l'indice
viene aggiornato periodicamente): Cile, Colombia, Repubblica Ceca, Egitto, Ungheria,
Indonesia, Israele, Malesia, Messico, Marocco, Perù, Filippine, Polonia,
Sud Africa, Tailandia, Turchia.
La crescita di questi paesi è stata poderosa (il doppio di quella dei
paesi sviluppati) e se vent'anni fa la loro capitalizzazione pesava meno del
2% sul totale dei mercati globali, oggi supera il 10%.
Questo però è il "passato". Qual è allora la
nuova frontiera? Dove si stanno spostando i capitali di coloro che più
vogliono azzardare e che più credono nello sviluppo dei paesi più
arretrati?
Uno dei massimi esperti mondiali dei mercati emergenti, probabilmente quello
con la maggior esperienza e vero pioniere del settore, è Mark Mobius,
il "guru" della Templeton Asset Management, che da più di 40
anni gestisce patrimoni globali investendo nei paesi emergenti, e fu la Templeton
stessa a lanciare il primo fondo specializzato sui paesi emergenti nel 1987.
In un suo intervento pubblicato lo scorso febbraio sul sito della società
di rating Morningstar, Mobius disse:
Il nuovo orizzonte per gli investitori internazionali sono
i mercati di frontiera, che comprendono alcune regioni dell'Africa (ad eccezione
del Sud Africa), il Medio Oriente, l'area balcanica e baltica. E' un universo
tipicamente più piccolo e meno liquido di quello dei mercati emergenti,
ma comunque è abbastanza ampio e ha generato un interesse significativo
da parte degli investitori.
Uno degli aspetti più interessanti è la creazione di nuovi mercati
azionari, in particolare in quei Paesi che sono passati da un'economia socialista
e comunista a quella di mercato. In Vietnam, ad esempio, le richieste di privatizzazione
delle società statali hanno generato un interesse del governo nella creazione
di un mercato dei capitali. Il Vietnam ha lanciato la sua prima Borsa del dopo
guerra nel luglio del 2000, con solo due azioni quotate ora ce ne sono circa
500 su due listini.
Anche la Morgan Stanley ha creato un nuovo indice, e i nuovi
25 mercati ritenuti "di frontiera" (su cui si può investire
grazie a una manciata di fondi presenti sul mercato internazionale) sono: Argentina,
Bahrain, Bulgaria, Croazia, Estonia, Giordania, Kenya, Kuwait, Libano, Lituania,
Kazakhstan, Mauritius, Nigeria, Oman, Pakistan, Qatar, Romania, Serbia, Slovenia,
Sri Lanka, Tunisia, Trinidad & Tobago, Ucraina, Emirati Arabi Uniti e Vietnam.
Questi paesi sono la nuova frontiera, ma non l'ultima. Alcune borse sono sotto
osservazione da Morgan Stanley e già sono presenti degli indici dedicati
per i listini di 4 paesi che però ancora non sono ritenuti sufficientemente
capitalizzati per entrare nel gruppetto di quelli di frontiera; sono Botswana,
Giamaica, Bangladesh e Ghana.
Poi ci sono quasi tutti i paesi africani, i caraibici, gli altri mediorientali
e i centro-asiatici, quelli ancora sotto dittature come Laos e Brimania, o chi
ancora traumatizzati dal passato come la Cambogia o semplicemente all'estremo
del mondo, come la Papua Nuova Guinea, di cui però le prime azioni, come
quelle della New Britain Palm Oil, iniziano a essere presenti nei portafogli
di qualche fondo. Ma qui siamo ancora in un territorio finanziario dove (quasi)
nessun uomo è mai giunto prima.