Pubblicato il 12 maggio 2010 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
Dopo aver fatto nelle ultime settimane un piccolo excursus
su alcuni investimenti alternativi come i fondi immobiliari, i diamanti e i
vini, torno a parlare di preziosi, ma questa volta non di diamanti intesi come
pietre sfuse da acquistare e mettere in cassaforte, come si fa con un lingotto
d'oro e come suggeriscono alcune società che propongono pietre "da
investimento", ma di gioielli veri e propri. E lo faccio sollecitato da
due importanti esperti della materia come Paolo Cesari, presidente di Assogemme,
l'Associazione italiana pietre preziose e affini (www.assogemme.it), che ha
sede proprio a Rimini e il gemmologo Renzo Morri titolare della Diamonds&Co
di Rimini (www.diamonds-co.com) nonché socio della Borsa Diamanti di
Anversa.
Paolo Cesari mi telefona la settimana scorsa proponendomi un incontro per chiare
alcuni aspetti legati al mio precedete articolo, in cui confrontavo diamanti
(ribadisco che si parlava di pietre sfuse, non di gioielli), borsa e inflazione.
Mi aspettavo un piccolo "duello" tra il commentatore che ha toccato
un punto delicato e l'addetto ai lavori che deve difendere il suo business.
Invece, la cosa molto interessante (anche perché riguarda soprattutto
aspetti legati alla cultura e alla conoscenza) è stata l'essersi trovati
a combattere la stessa battaglia, e cioè quella mirata a riposizionare
il diamante, e il gioiello in generale, in quella che è la sua collocazione
naturale e soprattutto culturale, e cioè quella dei beni di lusso, con
tutte le loro valenze, anche di conservazione del valore, e non tanto quella
di meri beni da investimento, un plus che resta, ma che è marginale e
che è utilizzato da un ristrettissimo numero di operatori, che non rappresentano
la categoria dei diamantati e che, in realtà, snaturano il reale valore
di questo tipo di beni. Dice Cesari:
"Se il 99.9% delle operazioni sui diamanti è fatta per un mercato
che vende il prodotto, è naturale che non sia la caratteristica di investimento
a essere predominante. Non è la borsa che giornalmente produce quotazioni;
cioè, i diamanti sono trattati anche in questo modo, ma solo in determinati
contesti, e ogni 15 giorni, per esempio, Rapaport fornisce le sue quotazioni
per avere un'indicazione sul rapporto di investimento o disinvestimento, ma
sono cose per addetti ai lavori..."
E questo, oltretutto, riguarda la pietra in sé. Ma quando essa viene
incastonata in un gioiello ecco che si esaspera al massimo quella distinzione,
tipica di tanti settori, tra il valore patrimoniale del bene e quello commerciale
dovuto, nel caso dei gioielli, a una grande quantità di fattori non determinabili
in modo oggettivo e che infine si manifestano con la classica legge della domanda
e offerta.
"Specialmente", aggiunge Renzo Morri, "se si tratta
di pietre diverse dai diamanti, che sono le uniche per le quali esiste una codificazione
precisa degli standard qualitativi, che rendono quindi oggettiva la quotazione
della materia prima. Ma se vado su altre pietre, chi mi dice qual è il
verde migliore per uno smeraldo? Questo è un altro motivo per cui se
si approccia il gioiello dal lato investimento, che è una delle sue caratteristiche,
ma non la più importante, si finisce in un ginepraio in balia di approfittatori
che pongono in vendita pietre a prezzi che non hanno nulla a che vedere col
loro reale valore patrimoniale. E se poi si va alla borsa diamanti di Anversa,
quella pietra che ti è stata venduta a caro prezzo da chi te la spaccia
solo come un investimento, la rivenderai solo a un prezzo che ovviamente dovrà
essere conveniente per chi compra, e non per far fare un guadagno a te, che
ti sei fidato di chi ti ha messo la gemma in una bustina e invitato a tenerla
in cassaforte. E oltretutto ci sarà un ricarico ogni volta che la pietra
o il gioiello passerà di mano, come è naturale che accada per
ogni bene destinato alla vendita e al commercio. Non si può vendere un
diamante solo come bene da investimento".
Cesari specifica ulteriori aspetti che influenzano il valore di alcune pietre,
legate spesso alla moda:
"Le pietre colorate, ancor più dei diamanti, sono proprio fashion,
e prevedono anche una scelta personale nei colori. Cioè, non è
che lo zaffiro ha un costo oggettivo uguale per tutti; sì c'è
l'ha, ma che tipo di zaffiro… poi uno lo può adoperare in un ceto
modo, ed è anche un "tuo" tipo di scelta. Ma ci sono anche
altre dinamiche. Per esempio, recentemente i rubini birmani sono stati trattati
male da un certo tipo di commercio, ma è perché, di fondo, c'è
la solita guerra sotterranea tra i marchi importanti. Esempio: un Bulgari non
tratterà mai la tanzanite perché la tanzanite è legata
a Tiffany, e Bulgari non gli farà mai pubblicità; se pensi a Bulgari
pensi, invece, agli zaffiri, blu e tutta la gamma che c'è dietro; se
pensi a Cartier pensi ai rubini…"
Il concetto dei gioiellieri, che io sposo in pieno, è chiaro. Facendo
una forzatura, comprare diamanti o altre pietre sfuse così come sono,
per fare investimenti, è come pensare di investire in un motore della
Ferrari, che è il cuore tecnico, puro dell'auto, senza acquistare anche
la carrozzeria, che lo trasforma però in un grande bene di lusso, che
può anche mantenere nel tempo il suo valore (nelle auto vale solo per
quelle di standard elevatissimo), o anche accrescerlo. Ma le caratteristiche
che rendono questi beni altamente desiderabili sono altre. Morri rincara la
dose sulle banche.
"Le banche che propongono diamanti come investimenti lo fanno solo
con l'unica logica del commerciante che ricarica al massimo i prezzi per i clienti,
non facendo certamente condizioni migliori del gioielliere né informando
sulle vere quotazioni".
Infatti mi mostra l'ultima quotazione vera di Rapaport in cui i valori sono
persino inferiori a quelli della IDB che io avevo utilizzato per i miei confronti.
"Il fatto è che queste pratiche rovinano il settore e si prestano
a confronti come il tuo, che dal punto di vista sostanziale sono corretti, ma
che non riguardano il mondo dei gioielli, ma solo la volontà speculativa
di qualche furbastro che opera gestendo una parte infinitesimale del mercato.
Tutto il resto fa altro, fortunatamente. Un gioiello e un'azione (o un'obbligazione)
sono due cose diverse, che vanno entrambi valutati e acquistati per motivi diversi".
Ma l'aspetto più importante di tutta la faccenda alla fine dei conti
lo sottolinea Paolo Cesari: "il gioiello deve essere considerato, valutato
e commerciato per quello che è, cioè un bene di lusso, che ha
anche un grande potenziale di conservazione e del valore".
Un punto focale questo che deve aiutare a capire la mia, ma anche la loro posizione,
per evitare disillusioni e fregature. Bisogna, cioè, pensare alle pietre
preziose come a un qualcosa appartenente alla stessa categoria delle auto di
lusso, dei grandi vini d'annata (le cui casse, come abbiamo visto la settimana
scorsa, possono arrivare a costare decine di migliaia di euro), delle opere
d'arte, delle porcellane e dei libri antichi, dei francobolli rari. Tutti beni
che hanno un grande appeal sotto molti punti di vista, da quello storico a quello
culturale, o legati all'esaltazione della bellezza o alla vanità, che
da sempre muove tanta parte del mondo e del commercio.
Ed è proprio la rivalutazione e la diffusione dell'aspetto culturale
della pietra e del gioiello, della sua capacità di trasferire valore
e valori nel tempo e tra persone, un punto che sta molto a cuore a Paolo Cesari
e che può essere capito e apprezzato solo se si osserva il gioiello come
un bene da godere, da usare, da sfoggiare e non da acquistare per essere tenuto
in cassaforte come un investimento.
Certamente poi i preziosi, i diamanti soprattutto, rispetto a quasi tutti gli
altri beni appartenenti al mondo del lusso, sono dei leader dal punto di vista
della conservazione del valore, sia per la non deperibilità (un'auto
fiammante da 50.000 euro, ahimè, già dopo pochi anni vede dimezzato
il suo valore; i migliori vini del mondo, se non conservati in maniera impeccabile,
si rovinano; le porcellane si possono rompere e gli artisti passare di moda…),
sia per la loro storica funzione, assieme all'oro, di bene rifugio.
E alla fine dei conti per i gioielli credo che possano valere le parole che
Pierre Poupon, uno dei grandi della Borgogna, usava per i vini: "Il denaro
non profuma. I vini che fanno soldi sono lo stesso: non hanno il bouquet, il
profumo. Sono rotondi, ma piatti come una moneta, accessibili e morbidi, ma,
come una banconota, non sanno di nulla. Versatelo come elemosina a chi è
cieco, ma non nel bicchiere di un amico".
Si torna allora sempre all'aspetto della cultura, fondamentale in ogni campo
e che si tende sempre più a perdere per via delle mode, della superficialità
e della fretta, che cancellano gli altri valori.
Cercate allora di capire il bene che acquistate in tutti i suoi aspetti, senza
pensare di rivolgervi ai gioielli con la stessa logica di quando entrate in
banca per un investimento. E allora sì che il vostro diamante (o smeraldo,
rubino, zaffiro...) sarà per sempre, e sarà il vostro.