Pubblicato il 10 marzo 2010 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
Se non fosse un dramma della democrazia la cosa sarebbe pure
divertente.
Riepiloghiamo. La prima cosa da fare è stabilire, solo per dovere di
cronaca, il numero di ore che ha impiegato la settimana scorsa il ministro Maroni
per rimangiarsi la parola. A casino elettorale scoppiato, prima di sapere che
qualche problemino ci sarebbe stato anche in Lombardia, e quindi anche alla
Lega, Robertino bello baldanzoso faceva il saputello della legalità:
"Escludo l'intervento del governo", e già si fregava le mani
a vedere il Pdl lì a scannarsi, mentre nell'empireo nord leghista tutto
splendeva. Sul calare del sole si scopre ahimè che compare Formigoni,
formichin formicando, qualche pasticcino l'aveva fatto pure lui. Non solo, ma
oltre a parlare in politiches-geroglifico attaccando pure lui i radicali, questa
volta di "vandalismo" (dopo le accuse poveriniane di squadrismo, dal
ridicolo passiamo al grottesco), non si lascia sfuggire un'accusa ai leghisti
inetti, rei di avergli fatto avere solo 300 firme, che poi si son trovati nelle
pesche perché se ne aspettavano almeno 500. Timbro qua, timbro là,
scatta in quel di Roma il più classico dei "Contrordine compagni".
Roby è crucciato: "Accidenti, peccato, potevamo far quelli tosti
e puri e invece ci tocca a fare una figura da cioccolatai alla romana, pazienza".
Squallegia qua, squalleggia là, ecco che il decreto è bello che
sfornato per un vero bel week end da leoni.
Tuttavia il Formigoni la spunta da solo senza il decreto.
"Accidenti!", pensa Roby, "ci siamo fregati con le nostre mani".
Ma il nostro ministro ne sa una più del diavolo e si ricorda che lui
è della Lega, quella del federalismo, e che il Lazio ha, proprio grazie
al federalismo, una legge propria, inattaccabile da un decreto del governo.
Scatta allora il piano B. Nel pomeriggio di lunedì prima che il tribunale
si esprimesse, Maroni mette già le mani avanti per ristabilire l'ordine
originale: "in caso di bocciatura del ricorso nulla si potrà fare,
neanche con decreto". E bocciatura fu.
Tutto torna.
Resta lo squallore profondo di questo paese, di un povero presidente della Repubblica
che, e non lo biasimo, deve firmare frettolosamente un decreto inutile e oltretutto
mal scritto per paura addirittura di problemi di ordine pubblico. E la cosa
a mio avviso più deprimente è stata la minaccia di quel campione
democratico di La Russa: "siamo pronti a tutto".
E adesso al governo che faranno? Con il loro tatto e la loro capacità
politica certamente la cosa peggiore. E dire che la cosa migliore sarebbe stata
la più semplice, onesta, democratica, e dannosa solo per il loro orgoglio.
Bastava ammettere una semplice verità: "Questo sistema di regole
elettorali è antidemocratico e anche noi "grandi" ci siamo
cascati. Ammettiamo i nostri errori e perdoniamo quelli degli altri. Tutti coloro
che hanno tentato di partecipare a queste elezioni saranno ammessi, e subito
snelliremo le procedure per far sì che in futuro non sia la burocrazia
o la mancanza di autenticatori a bloccare il processo democratico. Chiediamo
scusa, ricominciamo tutto, slittando di un mese la competizione per ristabilire
un po' di democrazia (anche televisiva) e la prossima volta i partiti già
rappresentati nei consigli regionali o in parlamento non dovranno raccogliere
le firme, e per gli altri né servirà un numero adeguato, ma non
assurdo come quello di oggi, e i cittadini potranno autocertificare la propria
firma, come accade per tanti atti pubblici senza la pratica feudale degli autenticatori".
Lo so, sarebbe comunque una immonda violazione delle regole, e quella che stiamo
vivendo è una pagina oscura della democrazia italiana, ma se non altro
da un provvedimento così avremmo ottenuto qualcosa di buono per il futuro.
C'è solo un problema: se così fosse, perlomeno la fase della presentazione
delle liste diventerebbe democratica. E da troppo tempo quest'ultima è
una parola fastidiosa, tanto che se cerchi di diffonderla, c'è pure qualche
infelice che ti dà del questurino.