La vecchia storia dei prepotenti che quando tocca a loro piangono

Pubblicato il 3 marzo 2010 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Sentir dare dello squadrista al radicale Diego Sabatinelli, oltretutto dalla candidata di Alemanno, ancora mi mancava. Mi ricordo che 14 anni fa, assieme Diego e a due fiorentini passammo una mezza nottata tra i pub di Bruxelles, al tempo di un congresso che si teneva alla Commissione Europea. Era talmente "gigante" e squadrista che dopo qualche birra era già brillo, e la mattina dopo ben più stordito di me, che pure non sono un colosso. Va bene, la Polverini era arrabbiata e sragionava, e forse si è resa conto per la prima volta cosa voglia dire essersi buttata nel giogo delle faide politiche romane, specialmente quelle interne alla sua coalizione. Anche Feltri ieri ci ha messo del suo descrivendola come una che si aggirava "sconvolta per Roma mormorando frasi sconnesse in un linguaggio oscuro probabilmente di ceppo non indoeuropeo".
Ma forse la Polverini ha anche preso coscienza della propria debolezza politica, e l'essersi sentita definire, assieme ai suoi, "una banda di incapaci" da un noto "rivoluzionario" come Rotondi non deve averla aiutata a chiudere bene il week end.
Per me invece è la conferma definitiva che la candidata del centro destra è un bluff totale, costruito a tavolino tra una trasmissione televisiva e una mezza manifestazione sindacale (in tv), creata dal nulla pure quella, e che molti dei "suoi" non aspettavano che di usarla per portare a termine regolamenti di conti interni.
Il pasticcio clamoroso combinato dal PDL a Roma porta finalmente a galla quello stato di illegalità sommersa e diffusa che da sempre gira attorno alle procedure elettorali.
Magistrale è al riguardo l'intervento di Stefano Folli di ieri, che sul Sole 24 Ore, parlando della vicenda laziale e degli analoghi problemi di Formigoni, pur di diversa natura, scrive:

Tuttavia le due vicende hanno un punto in comune. Sono il prodotto di una battaglia politica che i radicali hanno avviato, facendo come al solito molto rumore, per affermare il rispetto delle regole. Ed è stato come infilare un bastone dentro un alveare. Si è visto subito che il sistema elettorale si regge quasi ovunque su di una legislazione tanto barocca quanto disattesa. Una lunga catena fatta di piccole e grandi violazioni, o se si vuole di piccoli e grandi soprusi rispetto ai quali chi dovrebbe controllare tende a chiudere un occhio. Finché qualcuno - per pignoleria o piuttosto perché ha deciso di creare il caso politico - decide di mettersi di traverso. E il sistema rischia di collassare proprio perché non è abituato a tale, chiamiamolo così, controllo di legalità.
[…]
E questo riguarda la Lombardia come tutte le altre regioni: comprese quelle governate dalla sinistra, dove pure le regole elettorali vengono spesso osservate con una certa approssimazione. E con quel pizzico di arroganza con cui i partiti maggiori, a cominciare dal Pd, guardano alle forze minori.
[…]
Resta il fatto che la politica a tutti i livelli, al centro come nelle regioni e negli enti locali, ha bisogno di un bagno di legalità. Senza strillare ai "complotti". E fa bene Maroni a dire che il governo non interverrà.

Su questo vedremo se Maroni manterrà. Il resto è drammatico folclore antidemocratico.
L'intervista che, sul Corriere della sera di lunedì scorso, Fabrizio Roncone ha fatto all'incaricato alla consegna del PDL, Alfredo Milioni "il recidivo" (che pare infatti di marachelle del genere né avesse già fatte, il che rende tutto ancora più esaltante), è un pezzo di letteratura dell'assurdo che andrebbe incorniciato. Roba che Ionesco non avrebbe fatto di meglio, la realtà che supera la fantasia. Il seguito è un uno-due ancora più godurioso.
Atto primo: arriva Capezzone.
Sempre più crucciato, poveretto (chissà quanto è che non gli cambiano le pile), invoca lo scandalo di interpretazioni iper-burocratiche della legge. Cioè: "abbiamo fatto la figura dei fessi, ma la colpa è della burocrazia".
Atto secondo: arriva il coccodrillo.
E' quel gran simpaticone di Alemanno, che quando parla ha sempre quella smorfia di senso fatale e drammatico che pare abbia appena finito di scuoiare vivi dieci caproni mentre qualcuno gli prendeva i testicoli a martellate. "E' in pericolo la democrazia, intervenga il Capo dello Stato".
Sipario
Peccato che sino al giorno prima la Bonino aveva fatto lo sciopero della fame e della sete proprio contro le sistematiche violazioni delle norme elettorali che i radicali denunciano inascoltati a ogni tornata, e che Alemanno fosse in quei giorni troppo impegnato a dileggiarli dandogli dei pezzenti della politica.
Ma ora che qualche violazione finalmente emerge, e che tocca a loro, ecco che immediatamente le regole, che paradossalmente Alemanno invoca, non sono più regole valide per tutti, e bisogna sbandierare ai quattro venti la nuova verità: se le regole ci creano dei problemi allora non sono più regole, ma burocrazia inutile. Per loro ovviamente, perché se un altro piccolo partito qualunque si fosse presentato con dieci secondi di ritardo, le ramanzine sul rispetto di quelle stesse regole si sarebbero sprecate.
Tutto già visto, già cantato. E' la vecchia storia dei prepotenti che quando tocca a loro piangono come coccodrilli. Vi ricordate Il gorilla, l'allegra a canzoncina di George Brassens, portata in Italia da De André in un'irresistibile traduzione? Si parla di un gorilla tenuto in gabbia troppo a lungo (che sia la nostra legalità?) che poi riesce a fuggire e, tra un balzo e l'altro, prima crea il caos, poi acchiappa un giudice portandoselo dietro una siepe, non per fare conversazione. De André la chiuse così:

Dirò soltanto che sul più bello
dello spiacevole e cupo dramma
piangeva il giudice come un vitello
negli intervalli gridava mamma

gridava mamma come quel tale
cui il giorno prima come ad un pollo
con una sentenza un po' originale
aveva fatto tagliare il collo.







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