Una presa di coscienza per limitare i rischi
Pubblicato il 13 gennaio 2009 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Bisogna essere realisti. Gli italiani di finanza non sanno un gran che, e cadere in trappole più o meno pericolose non è così difficile: A dire il vero non sarebbe così difficile neanche capire l'abc per evitarle. Ma persino chi se ne intende un po', o avrebbe più facilità a capire certe cose, o chi per cultura personale, per lavoro o per semplice passione mastica qualcosa in più della media, non sempre ha voglia di star dietro ai capricci delle banche, ai loro depliant, di seguire il mercato, di dedicare alla cura personale delle proprie finanze ore preziose che andrebbero necessariamente sottratte al resto, che spesso è poco. E allora si delega, si ascolta, si accetta, si firma.
Anni fa, non ricordo se già ve lo ho raccontato, sentii per radio un famoso avvocato milanese, esperto di diritto societario, presidente di una associazione di economisti ispirati dal libero mercato e collaboratore del Sole 24 Ore, dichiarare con onestà e modestia, che un giorno si era recato presso la sua banca, gli presentarono un investimento in obbligazioni e siccome gliele proponevano loro, il nome sembrava affidabile, la banca seria, il tempo era quello che era, insomma... perché no? Firmò quel che doveva firmare, e con la stessa semplicità di un qualsiasi altro cliente se ne tornò a casa e ai suoi affari con il suo bel nuovo pacchetto di… obbligazioni Cirio.
Capita, e capiterà. Ci vuole solo una presa di coscienza, osservando a volo d'uccello il decennio che si è appena concluso, prezioso perché è stato un concentrato di scenari travolgenti e colpi di scena continui che, vi assicuro per esperienza personale, hanno messo a dura prova le coronarie e i nervi di chi si è trovato a gestire i risparmi di tante di persone. Eppure il peggio è stato altrove.
Chi tra qualche hanno scriverà libri di storia sui disastri dei risparmiatori, racconterà l'odissea dei possessori di bond Argentina, Parmalat, Lehman e di tante altre società. Se sarà un bravo storico non dimenticherà di spendere le dovute parole sulla piaga silenziosa dei fallimenti immobiliari, non meno pesante quando ad ammontare di denaro finito in fumo. Ci sarà spazio per chi si indebitò per comprare le azioni di Seat Pagine Gialle ai tempi d'oro e di tutta la sfilza di matricole di borsa (IPO) iper pubblicizzate e rifilate a prezzi gonfiati e finite nel baratto. E poi le truffe, i raggiri con i derivati, i bidoni colossali alla Madoff, e la Cina, così di moda, che era esplosa, poi crollata, poi rimbalzata del 200%, poi sprofondata di due terzi, poi di nuovo raddoppiata, e ancora le bizze del petrolio, le materie prime, le energie rinnovabili, fino ai miraggi di Dubai. Insomma, il menu è ricco.
Un'altra costante del decennio che lo storico registrerà con facilità sarà il puntuale attacco ai fondi comuni di investimento: costosi, inutili, incapaci di battere i mercati, noiosi. Tutto vero, lo dico seriamente. Ma da 50 anni (almeno in America) sono l'unica costante che non è tramontata mai. E c'è una cosa che si dimentica di dire e che dai resoconti non appare.
Quelle accuse sono vere perché, come per qualsiasi altra merce, anche la finanza ha un costo di distribuzione, e nella società di oggi i costi di distribuzione pesano spesso per oltre due terzi del costo totale di un bene. Vale per la frutta (a meno che tu non scelga di dedicare del tempo per andare direttamente dal produttore) e per ogni prodotto cha ha una rete distributiva, dai libri, alle auto, ai vestiti. La finanza non fa eccezione: chi vuole spendere poco può andare direttamente dal produttore e comprare da sé sul mercato (si chiama "mercato" apposta anche quello finanziario) tutto quel di cui ha bisogno (se lo sa fare): singoli titoli se avrà le idee chiare, cloni dei mercati come gli ETF o ETC se vorrà diversificare di più.
Ma per ognuno dei settori disastrati sopra ricordati in cui si è avventurato il risparmiatore medio dell'ultimo decennio ci sarebbe sempre stato a disposizione per lui un fondo comune che avrebbe permesso di investire con modestia in modo più pacato, diversificato, anche se più costoso. E se (per tua fortuna) non sai far da solo, un po' devi pagare, quel giusto che basta per non rischiare di incappare in un fallimento in modo diretto e seguire la scia in caso di buona sorte. Non è il paradiso, ma permette di dormire sogni più tranquilli, e chiedete a un cliente di un qualsiasi promotore (serio) se è vero o no che un anno fa il suo commento più spontaneo dopo essere entrato nei nostri uffici terrorizzato dalle notizie dei media e di chi aveva perso tutto perché incappato in un fallimento era: "meno male, pensavo peggio". Nei resoconti dei giornali ci sono sempre i morti, ma non i sopravvissuti.
Negli ultimi 15 mesi i fondi sono stati riscoperti anche per questo motivo, direi terapeutico e socialmente utile. Basta scremare un po' e pescare, tra tutti, i gestori indipendenti, e troppi danni non se ne faranno anche nei periodi più bui, se qualcuno vi assiste cum grano salis. E il nuovo decennio potrà riservare nuove sorprese e forse le prime arriveranno dal mercato di Titoli di Stato emessi da paesi sempre più indebitati che sarà ancora più necessario possedere tramite un paniere ben diversificato.







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