Pubblicato il 2 agosto 2006 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
La rinascita del vino degli ultimi 15 anni, che si è
progressivamente trasformata in una piccola mania, non ha ovviamente lasciato
indenne il mondo della finanza. Accanto all'esplosione di sommelier, guide,
siti web, programmi televisivi e dell'inconfessato amore dei produttori per
il truciolato, aspetti su cui mi soffermerò la settimana prossima, hanno
fatto la loro comparsa opzioni, future o warrant legati al vino, fondi comuni
"enologici", come il Redgold Wine Investment, indici di borsa, come
quello lanciato un anno e mezzo fa da Mediobanca, il primo a livello mondiale
per il settore vinicolo.
Un mondo, quello dell'investimento borsistico in vino, che vede l'Italia, e
l'Europa in generale, un po' indietro rispetto al nuovo mondo. Anche se i francesi
esportano ai prezzi più elevati e se l'Italia è il primo paese
per ettolitri distribuiti nei 5 continenti, la nostra produzione è polverizzata
in migliaia di piccoli produttori, alcuni dei quali veramente di nicchia. Ecco
allora che i pionieri dei listini azionari risiedono nelle nuove aree del vino,
dalla Napa Valley californiana, all'Australia, al Cile.
Il fascino del vero investimento in vino però, almeno per ora, non passa
dalla borsa, ma dalle bottiglie vere e proprie e da luoghi esclusivi come Sotheby's,
Christie's, Pandolfini e pochi altri.
Queste case d'asta sono per il vino di elevatissima qualità, l'unico
"da investimento", quello che Wall Street è per il mercato
azionario globale. E per come le azioni, anche tra i vignaioli ci sono i cavalli
di razza, quelli con le spalle più robuste per gareggiare nelle aste
internazionali.
Se nella borsa italiana le prime trenta aziende quotate costituiscono la quasi
totalità della capitalizzazione del mercato, nel mondo del vino una cinquantina
di etichette tengono banco nelle aste e sono quasi tutte francesi: dallo Château
Latour allo Château d'Yquem, dal mitico Petrus, al Lafite, ai Borgogna
della Romanee-Conti.
La pattuglia italiana adatta ad entrare nelle grazie degli investitori si limita
ai cosiddetti "supertuscans" come Sassicaia, Solaia, Masseto, ai vini
di Angelo Gaja, e a pochi altri, spesso della zona di Barolo.
Ma quanto ha reso in passato questo tipo di investimento? Scendiamo in cantina.
Una delle grandissime annate del bordolese è quella dell'82 (specialmente
per il Pomerol). Oggi dopo quasi 25 anni, molti di quei vini si sono rivalutati
anche di venti volte. Il campione assoluto dei rendimenti, che negli ultimi
anni ha raggiunto cifre folli, è senz'altro lo Château Petrus,
prodotto nel Pomerol. L'annata '82 nell'83 valeva circa 600$ la cassa (12 bottiglie),
ma venti anni dopo il prezzo era salito a circa 17.000$. E ancora, una cassa
di Château Cheval Blanc '82 è passata da 450$ agli 8.000 di inizio
millennio.
Se facciamo un passo di qualche anno indietro si è stimato che chi avesse
investito 10.000$ nei Bordeaux del '75 all'uscita sul mercato, nel 1997 ne avrebbe
ricavati circa 250.000.
Per tutto il bordolese (Petrus in parte escluso), ma anche per i grandi vini
italiani, la crisi è arrivata nel 2003. Si era venuta infatti a creare
una notevole bolla speculativa, inversa rispetto al mercato azionario. Il picco
massimo per molte etichette (per quel che riguarda le grandi annate) è
stato toccato nel 2002, proprio mentre i mercati azionari sprofondavano negli
abissi, mentre ai forti rialzi dei listini finanziari nel 2003 e 2004 ha fatto
eco un deciso ridimensionamento nel prezzo dei vini. Ma i rendimenti paiono
comunque eccellenti. Tuttavia…
Ipotizzando che il nostro investitore vinicolo provetto negli ultimi 30 anni
abbia diversificato comprando una decina delle migliori etichette (e che le
abbia conservate a dovere!!!), a conti fatti il rendimento annuo potrebbe essere
stimato intorno al 12%. Non male, specialmente per coloro che si sono avventurati
nel mercato azionario negli anni della bolla. Più sobriamente, vediamo
ora cosa è successo agli indici borsistici nello stesso periodo.
Il Dow Jones dal 1975 ad oggi ha reso mediamente il 8,8% annuo, e dall'83 il
12,3%. Non molto diversamente è andata al Comit Performance che in 16
anni si è rivalutato del 8% annuo (giugno '90 - giugno '06), mentre su
periodi più lunghi, partendo dal '75 o dall'83, si attesta intorno al
12% annuo. Idem per il Nasdaq (che era cresciuto molto di più, ma ha
visto i suoi valori totalmente ridimensionati negli ultimi 6 anni).
Attenzione, io ho confrontato i 5 o 6 vini più redditizi (e non tutti
i vini), con panieri di azioni (gli indici). Non è equo. Tuttavia già
il rendimento dell'indice non sarebbe stato male. Ma ci sarebbe stato qualche
titolo in grado di competere con il miglior Petrus? La risposta è quasi
scontata e la cosa interessante è che non saremmo dovuti andare a scovare
le future Microsoft o a selezionare ignote aziende biotecnologiche, ma semplicemente
comprare Coca Cola, General Electric, American Express, Johnson&Johnson,
Gillette, McDonald's, e tenerle in portafoglio tutti questi anni, cali post
bolla compresi. Inoltre il confronto vale se siete stati in grado di comperare
casse di Château Lafite o di La Tache a prezzi equi, cosa di cui dubito
fortemente
E come per le azioni, vincenti nel confronto dei rendimenti, non mancano le
bolle speculative vinicole. Quanti si sono avvicinati all'investimento in bottiglie
d'annata proprio nel picco 2002 (o in quello dell'85, quando i giapponesi rastrellavano
il bordeaux come dei forsennati)?
Le mode, finanziarie e non, ci saranno sempre ed il mercato farà i suoi
prezzi su tutto ciò che viene scambiato. Per i grandi vini, il 2002 fu
caratterizzato da una vaga follia che in seguito si è un po' ridimensionata,
ma tra 2004 e 2006 i prezzi sono iniziati a risalire un po' a macchia di leopardo,
e c'è ancora una specie di ubriacatura generale che nel complesso ha
spinto i prezzi ben oltre il normale buon senso, sia in Italia che all'estero.