Radio Radicale. Un esempio di come migliorare l'efficienza pubblica

Pubblicato il 9 dicembre 2009 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Una delle principali obiezioni tra quelle sollevate da chi è contrario ad alcuni aspetti del Decreto Ronchi sui servizi locali, è che non si può privatizzare un bene pubblico, soprattutto se si parla di acqua. Il provvedimento, in realtà, parla di servizi e non di beni, della gestione e non tanto della proprietà, e anche nel caso dell'acqua questo non è un aspetto secondario.
Tuttavia, l'immanente necessità della collettivizzazione di un bene pubblico è un concetto a prima vista affascinate e seducente, in nome del quale si è pronti a combattere nobili battaglie. E un bene così prezioso come l'acqua non può essere privatizzato e neanche lasciato in gestione ai privati, che si preoccuperebbero solo di fare utili più che di migliorare i sevizi, si dice.
Forse è vero, anzi probabilmente lo è. Ma c'è anche qualcosa di trascendente in tutto ciò. E anche se fosse giusto così, dobbiamo allora stabilire una regola assoluta?
Il fatto è che là dove le cose affidate al privato non hanno funzionato non hanno creato mostri peggiori delle situazioni, altrettanto numerose, in cui il pubblico non ha funzionato. E in entrambi i casi la colpa spesso è stata della cattiva struttura del sistema di controllo.
Se restiamo in campo idrico, potremmo trovare in Italia e nel mondo diversi esempi positivi o negativi per ogni ambito, dalla buona gestione di Milano, totalmente pubblica, a quella di Arezzo, con una forte componente privata (francese), che dopo gli inizi burrascosi tra le vive proteste dei cittadini, oggi sembra invece aver migliorato la situazione preesistente, e fugato molti degli spettri iniziali. Un cammino positivo intrapreso, tra l'altro, anche da Hera.
Come dovrebbe essere strutturato il sistema dei controlli non è argomento che sono in grado di trattare. Ma in questo dualismo "bene pubblico - gestione privata" c'è un limite che voglio varcare, portando il discorso all'estremo, dimostrando con un caso non trascendentale come anche il più pubblico dei servizi, anzi il più pubblico per definizione, possa essere gestito meglio da un privato ben controllato che da un pubblico che controlla se stesso. E' il caso di Radio Radicale.
Nata più di trent'anni fa, dal 1994 Radio Radicale ha in gestione, grazie a una convenzione soggetta a rinnovi, vinta con regolare gara d'appalto, la trasmissione delle sedute del Parlamento, un servizio che l'emittente aveva già fornito sin dal 1976. Un puro servizio pubblico, che manda in onda giorno e notte tutta la vita politico-giudiziaria del paese. E nel far questo, Radio Radicale deve presentare regolarmente al ministero un report con i tabulati su ciò che è stato trasmesso, il come, il quando e il perché per dimostrare di aver rispettato i termini della convenzione con lo Stato.
Il servizio pubblico della diffusione della democrazia a tutela dell'uguaglianza e della parità di diritti è stato svolto sino a ora da una radio privata e per giunta ufficialmente organo di partito. Sembra il frutto di una mostruosa contraddizione. Invece, semplicemente, quel servizio pubblico è svolto in modo molto più efficiente e completo (con attestati di pubblica riconoscenza dei più trasversali), rispetto a quello della sua omologa di proprietà pubblica, ingessata dalla costosa burocrazia statale, ma soprattutto orfana di un ingrediente chiave: la passione dei radicali per la politica e per la legalità, quella dell'informazione in primis. Una radio che è diventata una vera università pubblica del paese, che ha arricchito e informato tutti e nei cui archivi, unici, è custodita la storia politica italiana degli ultimi decenni, da Moro, a Berlinguer, a Berlusconi, e che regolarmente qualcuno vorrebbe spegnere, considerandola, con un trionfo del non senso, "uno spreco", in nome di quella statalizzazione/privatizzazione cieca e ideologica, che vorrebbe privatizzare sempre qualcosa di "privato" anche se gestito egregiamente dal pubblico e statalizzare sempre qualcosa di "pubblico" anche se egregiamente gestito da un privato.







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