Pubblicato il 26 agosto 2009 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
La tendenza delle persone a percepire in modo errato il reale
livello di probabilità di un evento venne dimostrata da alcuni test. In un loro
scritto del 1973, Kahneman e Tversky raccontarono come a un gruppo di individui
fosse stato chiesto di indicare quale era secondo loro la probabilità che l'occupazione
di cinque soggetti estratti a caso da un campione di 100, formato da 70 ingegneri
e 30 avvocati, fosse quella di ingegnere. Se non veniva data alcuna informazione
sui 5 estratti, gli intervistati si mostravano coerenti con la probabilità reale,
dichiarando che l'estratto di turno aveva un 70% di probabilità di essere un
ingegnere. Se però si associava alla domanda una breve descrizione, totalmente
non identificativa, come la seguente: "Dick è un uomo di trent'anni. E'
sposato e non ha figli. E' un uomo di grande abilità e motivazione ed è molto
promettente nel suo settore. E' molto simpatico ai suoi colleghi", allora
la reale probabilità di base (conosciuta a priori) veniva ignorata, assegnando
un 50% a ciascuna delle alternative, dato che la descrizione si adattava a entrambe
le tipologie di lavoratori.
Più in generale, in un altro test bisognava stabilire quale occupazione fosse
stata svolta da alcuni individui di cui si forniva una dettagliata descrizione
della personalità. Risultò che la tendenza comune a tutti gli intervistati era
quella di associare a ogni profilo un tipo di occupazione che calzasse a pennello
con quella personalità, senza però curarsi del fatto che spesso si trattava
di mestieri, come il bibliotecario, molto inusuali a scapito di impieghi più
ordinari e molto più probabili.
Rappresentatività
Le distorsioni sopra elencate hanno origine da un comportamento cosiddetto euristico
(che cerca cioè di arrivare alla verità in modo intuitivo, ma non rigoroso)
basato sulla "rappresentatività", che porta a trasformare una realtà complessa
in una più semplice (e quindi più accettabile ipoteticamente) attraverso la
creazione di una propria distribuzione di probabilità degli eventi che meglio
rappresenti la realtà osservata.
Un altro esperimento rendeva invece più evidente l'ancoraggio psicologico a
determinati valori e le difficoltà a porre in essere aggiustamenti. A un gruppo
di persone venne chiesto su quale tra le tre scommesse presentate avrebbero
preferito puntare:
1. evento semplice - estrarre una pallina rossa da un sacchetto
che contiene il 50% di palline rosse ed il 50% di palline bianche;
2. eventi congiunti - estrarre una pallina rossa per sette volte consecutive
rimettendo ogni volta la palla estratta nel sacchetto, che però ora conteneva
il 90% di palline rosse e solo il 10% di bianche;
3. eventi disgiunti - estrarre almeno una volta su sette tentativi, reinserendo
le estratte, una pallina rossa da un sacchetto contenete questa volta il 90%
di palline bianche e il 10% di palline rosse.
Il risultato mostrò che una significativa maggioranza degli
intervistati si sentiva più sicura con la seconda scommessa, mentre tra la prima
e la terza prevaleva la prima, che aveva una possibilità di successo, agevolmente
determinabile, del 50%. Ma qual è la reale percentuale di vincita negli altri
casi? La seconda scommessa ha una probabilità di riuscire del 48%, ma la terza,
la più trascurata, batte entrambe con una probabilità del 52%. Perché l'evento
disgiunto era stato scartato pur essendo il più favorevole?
Tversky e Kahneman ritengono che la probabilità dell'evento base (la singola
estrazione) rappresenti nella mente degli individui, un punto di partenza unico
per la valutazione di tutte le situazioni, sia che la prova consista in una
successione di estrazioni tra loro collegate (devono riuscire tutte), che indipendenti
(basta che ne riesca una). Così facendo è evidente che l'estrazione della seconda
scommessa, singolarmente presa, abbia più possibilità di vincita rispetto alle
altre (9 contro 1). Gli intervistati, ancorandosi al valore iniziale, il più
evidente, furono portati a sovrastimare la possibilità di riuscita della seconda
scommessa, e a scartare la terza, in quanto l'adattamento al reale livello di
probabilità era complesso.
Illusione di validità
Questo modo di agire ha conseguenze più gravi quando si tratta di giudicare
la riuscita di un progetto molto articolato. Infatti, all'aumentare del numero
degli elementi semplici necessari alla sua riuscita, cresce la probabilità che
nel progetto sorgano dei problemi; ma se ogni elemento, singolarmente preso,
ha ottime possibilità di riuscita, allora si tenderà a sovrastimare la possibilità
di un successo finale. Quando si tratta di fare previsioni sull'andamento delle
quotazioni azionarie accade la stessa cosa, con l'aggravante che spesso si fa
finta che gli elementi determinanti siano pochi (guarda caso proprio quelli
che ci interessano e che meglio conosciamo). La complessità è, il più delle
volte, ignorata.
E' quella che Kahneman e Tversky definiscono come illusione di validità
e, oltre alle persone comuni, gli stessi psicologi non ne sono immuni tanto
che, citando i due autori:
"Come altri errori della percezione e del giudizio, l'illusione di validità
spesso persiste anche quando il suo carattere illusorio è riconosciuto. Nelle
interviste di selezione, per esempio, molti di noi hanno sperimentato una grande
fiducia nelle previsioni ottenute sulla futura performance del candidato, nonostante
noi tutti sappiamo che le interviste sono notoriamente fallaci".
E che dire delle espressioni come "soglia psicologica" di un indice?
Quando nel marzo del 1999 il Dow Jones superò quota 10.000 per la prima volta
nella storia, sembrava si fosse arrivati a una svolta. La cifra tonda dava un
senso di sicurezza, una base in più su cui poggiarsi, ma dal punto di vista
economico ovviamente non voleva dire assolutamente nulla di più dell'indice
S&P500 che valeva "semplicemente" 1350 (e che tra l'altro rappresenta molto
meglio il mercato azionario americano). Eppure molti si sentirono rassicurati
dallo sfondamento di tale soglia e ancora oggi subiscono continuamente questo
tipo di fascino.
Per concludere il nostro discorso sull'ancoraggio non possiamo dimenticare il
progresso scientifico, che ha sempre fornito all'uomo di ogni epoca ancore fantastiche
per le speculazioni di borsa. In quest'ottica si possono leggere anche alcune
delle bolle che contornarono la vicenda inglese della storica "Bolla dei Mari
del Sud" del 1720 (ne ho parlato la scorsa estate - nel mio sito trovate il
vecchio testo). Si brevettarono scommesse sul futuro (come il commercio con
terre ancora da scoprire) o macchinari che sarebbero stati re-inventati in futuro
quando la tecnologia lo avrebbe reso veramente possibile, mentre allora vi erano
solo dei simpatici prototipi. Uno dei più interessanti era il progetto per le
"piscine per pesci" brevettato (e venduto) da Sir. Richard Steel, che si prefiggeva
di trasportare pesce fresco ovunque. Si utilizzavano delle navi speciali al
cui interno erano poste vasche riempite con acqua marina in modo che i pesci
vi potessero nuotare, una volta pescati, fino a destinazione. Tuttavia, per
motivi di sicurezza, le dimensioni delle piscine non potevano essere
troppo grandi e i pesci morivano sbattendo l'uno contro l'altro durante le traversate
a causa del mare mosso.
Le nuove scoperte e le nuove tecnologie hanno stimolato la fantasia dell'uomo
finanziario come poche altre cose nella storia e già Shumpeter, economista austriaco
e grande storico dell'economia, riconosceva come la sopravvalutazione dei possibili
proventi futuri che ha accompagnato costantemente ogni nuova scoperta, abbia
portato a inondare di volta in volta il mercato con una massa eccessiva di capitale.
Il novecento non fa eccezione. Qualche anno fa, infatti, l'economista americano
Paul Krugman, Nobel nel 2008, notava come "secondo ogni criterio ragionevole,
i cambiamenti intercorsi nel tenore di vita negli Stati Uniti tra il 1917 e
il 1957, sono stati immensamente maggiori dei cambiamenti avvenuti tra il 1957
ed oggi (1996, nda)". Se però andiamo a vedere cosa accadde in borsa
nei quarant'anni di "boom" ('17-'57) si scopre che l'indice Dow Jones quintuplicò
"solamente", passando dai circa 90 punti del 1917 ai 450 del '57, attraversando
inoltre la crisi del '29, mentre nei successivi 40 anni, secondo l'analisi di
Krugman molto più tranquilli circa l'impatto che la tecnologia ebbe sulla vita
media, l'indice aumentò di oltre 15 volte. La tecnologia, quindi, non è tutto
per la salute della borsa.
Fine della seconda puntata
Continua...