Pubblicato il 19 agosto 2009 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Nel marzo del 2002 la rivista americana Book ha incoronato
Jay Gatsby quale personaggio letterario del '900 meglio riuscito. Forse
la giuria era un po' troppo anglofila, ma la voglia di sognare e il fascino
dell'eroe dissoluto che si arricchisce nell'America delle mille opportunità
non morirà mai. Che il sogno e, forse, l'illusione vincano sempre (o quasi)
lo indica anche il fatto che al secondo posto si è piazzato l'esatto contrario
del mito creato da Fitzgerald nel '25, e cioè quel Giovane Holden che
scaturì dalla penna di Salinger e che divenne l'emblema della generazione nata
dopo quegli anni ruggenti, più riflessiva, problematica, "perdente", sballottata
tra la guerra del Vietnam e Woodstock.
Perché tendiamo a comportarci sempre nello stesso modo, e perché risulta così
difficile cambiare direzione nei processi cognitivi che utilizziamo per giungere
a delle conclusioni, specialmente in materia di investimenti, o cambiare la
nostra impostazione mentale all'inizio di un nuovo ragionamento. Bisognerebbe
un po' più spesso muoversi lateralmente come suggeriva Edward De Bono in uno
dei saggi storici più celebri sul pensiero creativo, il celebre Il pensiero
laterale, del 1967, in cui attraverso semplici esempi, illustrava come,
uscendo dalla sequenza logica del processo mentale, definita "verticale", si
riescano a vedere angolazioni diverse della stessa realtà, aggirando gli schemi
predefiniti, identificando e isolando le idee dominanti (quelle evidenziate
dalla logica) che impediscono di guardare "lateralmente" ciò che ci sta di fronte.
E' uno dei processi migliori per sviluppare la creatività.
E' anche interessante notare la frequenza con cui ignoriamo il reale livello
di probabilità in una situazione che ci vede protagonisti indirizzandoci spesso
verso soluzioni non ottimali. Facciamo un esempio.
La maggior parte delle persone probabilmente sarebbe stata molto preoccupata
nel dover fare un viaggio in Messico nella scorsa primavera, a causa della febbre
suina. Una tranquilla vacanza in auto in giro per il nostro continente non avrebbe
invece creato ansie eccessive. Facendo due conti, però, si scopre che morire
di quella febbre nei paesi colpiti dal virus, anche ipotizzando una diffusione
della malattia dieci volte superiore rispetto a quella di aprile/giugno 2009,
sarebbe stato decine di volte meno probabile che restare vittima di un incidente
automobilistico nella vecchia e sterilizzata Europa.
Come la psiche umana "interferisca" nelle scelte in situazioni di incertezza
è un mistero che gli economisti indagano da tanti anni, da quando il paradigma
neoclassico della razionalità è stato messo in discussione dagli psicologi.
Nel 2002 il Nobel per l'Economia è stato dato a uno di questi, il più celebre
tra i viventi, Daniel Kahneman, e quest'anno ricorrono i 30 anni dal suo contributo
più rivoluzionario, Prospect Theory, scritto con il defunto Amos Twersky, suo
collega di una vita, che morì prima del Nobel.
Ancoraggio
Iniziamo oggi un viaggio in sei puntate, che ci porterà a confrontarci con la
nostra razionalità e le nostre psicosi, legate in particolare al mondo del rischio
e della finanza, ma non solo, e su quei processi di psicologia collettiva e
sociale che strettamente si legano al caso delle bolle speculative e che influiscono
non poco sulle nostre scelte di investimento. Partiamo con un concetto curioso:
l'ancoraggio.
L'insufficienza delle informazioni che tutti i giorni passivamente riceviamo
dal mondo esterno, unita alla pigrizia nell'andare a colmare tale carenza, ci
spingono a cercare dei punti di appoggio su cui fare affidamento per la creazione
dei nostri giudizi, delle "ancore" a cui aggrapparci. In un saggio del 1999
che introduce a una disciplina chiamata Programmazione Neuro Linguistica, il
professor Giulio Granata, a proposito delle ancore scrive:
"E' molto importante scoprire che dobbiamo crearci delle ancore per entrare
rapidamente in stati piacevoli, positivi, e possiamo renderci conto di quali
sono al contrario le ancore che ci inducono in stati spiacevoli, negativi, annullarle
e sovrapporne delle altre. Possiamo in un certo senso attraverso gli ancoraggi
avere la gestione dei nostri stati interni."
Nella mia esperienza di promotore finanziario, ai tempi, oramai remoti, del
boom di borsa a cavallo tra il 1999 e il 2000, mi sono imbattuto varie volte
in persone che si ricordavano unicamente dei titoli che avevano in quel momento
in portafoglio, gli unici sopravvissuti dopo anni di compravendita al borsino
della banca, sui quali stavano "ovviamente" guadagnando molto. La cosa curiosa
era che le perdite passate, che statisticamente erano capitate a tutti gli investitori
da borsino con anni di esperienza, erano state rimosse e nel calcolo del
bilancio personale contavano solo le azioni rimaste (è un po' lo stesso errore
che subisce un indice di borsa e che contribuisce a limitarne la reale descrittività
storica. E' il cosiddetto survivorship bias e storicamente comporta
una distorsione del 5-6% dal reale valore dell'indice).
Queste persone si creavano quindi aspettative sulle proprie capacità future
sulla base di pochi dati, a loro volta aggiustati. Tanti insomma si sentivano
maghi del trading.
La cosa non è cambiata molto anche negli anni successivi caratterizzati da grosse
perdite. A parlare con la grande maggioranza degli investitori sembra che tutti
abbiano perso assai meno della media.
Ugualmente irrazionale è l'innamoramento per un titolo particolare che, per
un qualche motivo, ci si autoconvince sia un affare o, ancora peggio, per un
fondo comune o per una società di gestione che hanno avuto un brillante passato
e che vengono perciò visti come delle navi inaffondabili; il tutto però avviene,
anche in questo caso, sulla base di serie storiche di dati molto brevi, magari
solo due o tre anni. E tutti, ma proprio tutti, hanno sempre trovato immobili
da acquistare che erano delle "occasioni". Mai una volta che mi sia stato detto:
"ho pagato semplicemente quello che chiede il mercato a migliaia di altri acquirenti,
se sarà un affare lo stabiliremo in futuro". Ma nella mente di ognuno il prezzo
a cui ci siamo ancorati, il nostro, diventa lo spartiacque per la bontà o meno
di un affare.
La subdola legge dei piccoli numeri
Amos Tversky e Daniel Kahneman, come abbiamo visto, pubblicarono una serie di
articoli dal 1971 al 1979 che introducevano un nuovo modo di analizzare la formazione
del giudizio da parte delle persone quando si trattava di inserire nell'analisi
elementi probabilistici. In particolare rilevarono che molte delle distorsioni
del giudizio erano dovute alla osservata fede in una specie di legge dei
piccoli numeri che estendeva i risultati della nota legge dei grandi
numeri (che afferma la convergenza della media del campione verso la media
reale all'aumentare del numero di osservazioni) anche ai piccoli campioni. Credere
in una legge dei piccoli numeri significa in pratica ritenere che la determinazione
di un preciso trend, che esca dalla casualità, sia possibile anche con un numero
ristretto di osservazioni in quanto si suppone che la distribuzione di probabilità
dei risultati sia la stessa di quella presente in un grande campione. Applicare
la legge dei piccoli numeri alla roulette porta a ritenere che su dieci giocate
5 debbano essere necessariamente rosse e 5 nere, quando ciò è palesemente falso.
L'assunto che ne deriva, per esempio, è che se il comportamento del mercato
azionario deve essere casuale nel lungo (grande campione di dati), deve esserlo
anche nel breve periodo (breve serie di dati). Ma se io individuo una serie
di dati che indicano un movimento di breve periodo, che si sta sviluppando
in modo continuo nella stessa direzione (due anni di buone performance di un
gestore; parecchi mesi di rialzo per un titolo o di ribasso per un indice),
allora concludo per la legge dei piccoli numeri che la casualità non
vale più e che il trend è invece ben delineato. Questo porta a sottostimare
sia la probabilità che un bravo gestore compia una serie di errori, che quella
che un operatore mediocre possa realizzare per un certo periodo buoni risultati.
Per fare un esempio in un altro settore, se un test medico risulta sempre positivo
tra le persone affette da una malattia rara, e solo occasionalmente tra coloro
che non soffrono di tale malattia, le persone tenderanno a esagerare la probabilità
di aver contratto la malattia in presenza di risultati positivi del test. Però,
data la rarità della malattia, il numero totale di falsi positivi potrebbe essere
molto più grande del numero di veri positivi
Fine della prima puntata
Continua...