Pubblicato il
1 luglio 2009 su La Voce di Romagna in prima pagina
di Simone Mariotti
"Equalizzatore addio, gestori in festa" era il titolo
di un articolo di cronaca apparso sul Sole 24 Ore il 22 dicembre 2001.
Si parlava della fine di un mostro legale partorito dalla follia italica
che "serviva" a equiparare i fondi comuni di diritto estero a quelli italiani
in fatto di normativa sul capital gain. I proventi ottenuti con i fondi
esteri sono infatti tassati al momento dell'effettivo realizzo, quindi
alla vendita, mentre i fondi di diritto italiano erano (e lo sono ancora
oggi) tassati giorno per giorno sul "maturato", sistema più penalizzante.
L'equalizzatore era stato pensato per ridurre il vantaggio degli estero-vestiti
riequilibrando la partita. Ma era un modo contorto e difficilmente applicabile,
e a un certo punto il Tar del Lazio nell'agosto di quell'anno, lo cassò.
I gestori in festa però erano quelli italiani. Che fossero impazziti?
No,
erano solo un po' ingenui. Festeggiavano un disegno di legge nato dopo
la sentenza del Tar che prevedeva di equiparare la legislazione italiana
a quella europea. Il provvedimento era dato per scontato, tanto che l'articolista
del Sole ricordava che per i gestori si concludeva "un lungo inseguimento".
Ed eravamo nel 2001.
Inutile dire che 8 anni dopo, (anzi 11, perché è almeno dal 1998 che si
parla di riforma) nulla è cambiato, e ogni anno pare quello buono.
Il mercato nel frattempo si è adeguato e i gestori esteri sono scesi in
massa nella penisola (per fortuna) e le banche italiane hanno tutte aperto
filiali gemelle in Lussemburgo e in Irlanda per creare cloni dei prodotti
italiani in modo da aggirare alla base l'anomalia e al tempo stesso per
avere l'opportunità di traghettare i denari degli italiani su un'altra
pletora di prodotti con la scusa dell'inefficienza fiscale di fondi. Questo
è un caso in cui una normativa utile non è stata varata, ma il mercato
ha trovato degli escamotage. Altre volte invece si dà grande enfasi ad
altri provvedimenti apparentemente popolari che però servono nel concreto
a poco.
E' di pochi giorni fa la notizia secondo la quale le banche americane
dal prossimo 26 luglio smetteranno di fornire ai loro clienti analisi
indipendenti sui titoli da loro venduti. Si limiteranno, come ai vecchi
tempi, solo alle loro valutazioni. L'obbligo era stato loro imposto nel
2003 dal procuratore di New York Eliot Spitzer: "siete troppo in conflitto
di interessi, dovete dare anche analisi indipendenti". Indipendenza! Ancora
una volta questa magica parola sembra la panacea per tutti i mali della
finanza. Le banche americane si sono adeguate, hanno speso centinaia di
milioni di dollari e per 6 anni hanno pagato gli indipendenti per fornire
report ai loro clienti, o meglio, per fornire report a neanche il 2% dei
loro clienti, tanto, infatti, è il numero di quelli che ne hanno fatto
richiesta.
Ricordando questi dati Marco Liera ha intitolato un suo articolo sul Sole
"Il rebus dell'inutilità dell'indipendenza".
Forse un gran rebus non lo è. I clienti parlano malissimo delle banche,
ma continuano a bersi tutto quello che viene detto loro e rimuovono sistematicamente
ogni forma di rischio connesso alla propria banca, prova ne è che nel
2008, l'anno tragico per il rischio bancario a livello globale, gli italiani
hanno riempito come mai prima (come mai prima!) i forzieri degli istituti
sottoscrivendo a mani basse le loro obbligazioni. E le banche sono state
ben felici di farlo dato che al pubblico retail, che si diverte a ignorare
il rischio, possono offrire rendimenti minori di quelli che sono costrette
a garantire quando devo rivolgersi al mercato evoluto degli investitori
istituzionali sui mercati internazionali, che invece non hanno stretto
legami di sangue con alcuna banca.
Siamo alle solite; l'indipendenza è una gran bella cosa, ma se chi la
riceve non sa che vuol dire, o meglio, da quale aspetto di essa trarre
maggiori vantaggi, non cambierà nulla, e sarà solo terreno fertile per
i furbetti che si spacciano per indipendenti.
La settimana scorsa Gherardo Colombo è stato ospite di un'affollatissima
serata organizzata dall'associazione "La Cosa Giusta". Da due anni gira
per le scuole gratuitamente (oltre 300 incontri l'anno) per insegnare
ai ragazzi il valore della legalità, perché se ognuno si aspetta dagli
altri il rispetto della legge, ma non per se stesso, non cambierà mai
nulla.
In finanza è uguale, e tra 20 anni scriverò ancora articoli come questo,
perché anche se si inizierà a educare almeno un po' gli italiani sin da
ora (l'Anasf, l'associazione dei promotori finanziari, ha appena lanciato
un progetto educativo per le scuole) ci vorrà almeno una generazione per
avere i primi seri risultati.
Nel frattempo la grandissima parte di voi continuerà a sproloquiare contro
le sempre più adorate banche.