Pubblicato
il 27 maggio 2009 su La Voce di Romagna in prima pagina
di Simone Mariotti
All'inizio del 1969 i Beatles erano in un coma che sembrava
irreversibile. A dire il vero lo erano già dal '68, dal White Album,
finito di registrare il quale, tra mille problemi, si erano visti raramente.
Avevano anche provato a incidere un album che si sarebbe dovuto chiamare
Get Back (il cui promo doveva essere il celebre concerto improvvisato
sul tetto), ma le cui registrazioni furono poi accantonate, per essere
riciclate in seguito, a gruppo oramai sciolto, per un album un po' tirato
via e senza molta anima cui fu dato il titolo di Let It Be, che
solo ufficialmente chiude l'era dei Beatles.
Già, perché l'ultimo vero album del gruppo fu anche l'ultimo miracolo
provato e certificato che la storia degli ultimi 40 anni ricordi: Abbey
Road.
Fu un grande capolavoro, in cui le difficoltà di comunicazione
e le diversità nell'intendere il modo di far musica (e di stare al mondo)
in cui si erano trovati a vivere i quattro ragazzi di Liverpool si trasformarono
per un'estate in un'occasione per dimostrare a tutti che dall'impossibile
può nascere l'eternità.
Persino il sonnolento Ringo scrisse e cantò un ottimo brano, mente George
Harrison compose i due pezzi migliori del disco, Here Comes The Sun
e la stupenda Something, che fu "adottata" sin da subito da Frank
Sinatra che la ricantò per vent'anni, considerandola la più bella canzone
d'amore di sempre.
Ma fu un capolavoro soprattutto di Paul McCartney, e della sua tenacia,
del suo credere ancora in quello che tutti ritenevano finito, e cioè che
il suo genio potesse ancora dialogare con quello dei suoi amici.
Da Rubber Soul, del 1965, in appena due anni erano passati da
gruppo di grande successo a leggenda, creando uno dopo l'altro, a distanza
di pochi mesi, prima Revolver, per culminare nel '67 in quello
che è quasi universalmente riconosciuto come l'apice di una certa parte
della storia della musica moderna, perlomeno di quella in lingua inglese:
l'album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.
Ma Abbey Road fu altro. Se mi dilungassi a parlare della sua
genesi complessa, forse aiuterei a comprenderne significati e costruzione
musicale, ma non riusciremmo ad arrivare al cuore di quello che dopo tutto
fu più di ogni altra cosa un dialogo raffinato, anche struggente, profondo
e unico tra Paul e gli altri, alla fine di un sodalizio che forse sarebbe
potuto continuare. E lui ci credeva più di ogni altro. Al di là dei virtuosismi
individuali, Carry That Weight è probabilmente il brano chiave
del disco, assieme a Golden Slumbers (a cui si lega indissolubilmente),
il cuore del medley assolutamente voluto da Paul per il lato B, il grido
potente rivolto ai suoi amici, specialmente a John Lennon, con più livelli
significativi. Poche strofe, supreme. John stesso ammise anni dopo che
Paul stava parlando a tutti loro, e soprattutto a lui.
Te la senti veramente di "portare quel peso" (della nostra separazione),
te la senti la responsabilità di aver cancellato qualcosa di così grande?
Su un piano rovesciato, sentiva che quel peso lo stava portando lui, nel
suo ultimo sforzo di aggregazione; ma anche che assieme ai suoi compagni,
domani, separati, tutti avrebbero sentito il macigno del loro passato,
così unico e irripetibile. Valeva veramente la pena abbandonarlo al suo
destino, senza provare a reinventarlo? "Once there was a way to get
back homeward" (Un tempo c'era una strada per tornare indietro verso
casa), scrive e canta Paul nella ballata Golden Slumbers, come
una ninna nanna per il suo tesoro, che sta piangendo, ma ci saranno ancora
sonni felici nel loro futuro perché lui se ne prenderà cura. Tutti erano
coinvolti, ma era un dialogo che tra John e Paul era iniziato forse un
anno prima con Hey Jude, ufficialmente dedicata da Paul al piccolo
figlio di Lennon (Julian) per consolarlo a causa della separazione dei
suoi, ma che a un livello più profondo era rivolta anche a John stesso
(Lennon così la interpretò), che Paul sentiva sempre più lontano a causa
di Yoko Ono.
Abbey Road, così armonioso e perfetto, è un inno a quello che
si può creare anche quando ogni cosa sembra andare per il verso storto.
Quello che arriva dal cuore che soffre, dalla mente che si lascia andare,
da chi sa che la banalità non fa parte della sua vita, e da chi ci prova
con tenacia. E spesso non ci si prova, in tanti aspetti della vita, trovandoci
spesso confusi e addormentati dentro, come quando si confonde la comodità
data dal denaro con la felicità e la serenità.
Paul non riuscì a convincere gli altri a credere ancora nel loro potenziale,
ma assieme regalarono al mondo il loro figlio più raffinato, giuste o
sbagliate che furono le loro scelte successive. Ma quella era musica e
loro erano i Beatles, e il frutto di quello sforzo, trasferito metaforicamente
nel mondo di noi poveri esseri umani, varrebbe molto di più.
Quell'ultimo miracolo uscì nell'autunno di 40 anni fa, e siamo un po'
in anticipo per gli auguri. Ma fu tra aprile e maggio che iniziò la sua
vera storia; e allora facciamo che sia oggi il giorno speciale per dire: "Buon Compleanno!"
La copertina dell'album Abbey Road del 1969

I postini di Londra posano come i Beatles sulle strisce di Abbey Road, in occasione della presentazione di una nuova serie di francobolli dedicati ai Beatles, 2007.
