Tra Las Vegas e la borsa la differenza è il rischio, della borsa

Pubblicato il 6 maggio 2009 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Quando anni fa pubblicai il L'investitore libero (2005), delle 381 pagine del testo solo le ultime 9 erano, quasi in appendice, erano dedicate agli indicatori tecnici di misurazione del rischio e dell'efficienza finanziaria, che tanto invece affollavano, e affollano tuttora, le reportistiche dei prodotti finanziari e dei risultati gestionali, e che sono ancora pericolosamente utilizzate dalle banche e dalle sim per misurare la tolleranza al rischio dei clienti secondo quanto previsto dalla Mifid che, come ho più volte detto, non fa che riscrivere e propinare per l'ennesima volta la solita ordinarietà accademica, ignorando il vero significato del caso in finanza (come nella vita). Molto più spazio lasciai invece alla follia e alle distorsioni cognitive.
Non amo troppo (cioè non lì uso come fossero "divinità" per determinare la struttura di un piano di investimento) indicatori come la varianza, la covarianza, l'indice di Sharpe ecc. per due motivi.
Primo, si tratta di indicatori statistici e come tali, qualunque essi siano, sono creati utilizzando solo la storia passata, che innumerevoli volte ha dimostrato essere poco indicativa del rendimento futuro di un qualsiasi strumento finanziario. Il problema non sta inoltre solo nel fatto che i dati passati possono essere poco affidabili, ma anche nella diversità di valori che si ottengono utilizzando diversi intervalli temporali di studio.
Ma, secondo, questo è così perché tutta la moderna teoria di portafoglio di basa su un'ipotesi discutibile, per non dire palesemente errata, e cioè che la distribuzione di probabilità dei rendimenti dell'attività finanziaria considerata segua il modello gaussiano, cioè la cosiddetta distribuzione Normale di probabilità, per la quale i due soli elementi che contano sono la media e la dispersione attorno alla media.
Presupporre questo in finanza vuol dire ritenere che il mercato sia come un casino di Las Vegas. Molti di voi probabilmente pensano che un casino sia un luogo deputato al rischio. Questa idea completamente errata è alla base di tanti fraintendimenti. La differenza fondamentale tra la realtà e un casino è che, se i dadi e la roulette non sono truccati, nel casino tutto è perfettamente determinabile a priori, con precisione millimetrica. Per dirla con Nassim Taleb, dentro un casinò i "Cigni neri" di cui ho parlato nelle ultime settimane non esistono per definizione, se legati al gioco. Sorprese non ce ne sono: so esattamente quanto posso guadagnare o perdere e con che probabilità. Tutto è preordinato. Provate a chiedere a un qualsiasi imprenditore, uno che rischia davvero, se conosce la sua curva di probabilità, il che vorrebbe dire probabilizzare il futuro con precisione! E le azioni di un mercato sono il valore finale di un'attività imprenditoriale.
Però, Mifid compresa, si continua a ragionare sulla normale, sulla varianza e la correlazione, e va tanto di moda (oggi forse un po' meno) il sistema del Var (value at risk), che dovrebbe misurare le perdite massime di un portafoglio in caso di scenario peggiore (con un margine di errore residuo). Quel margine che invece è l'unico che conta davvero.
Taleb scrisse il suo Cigno nero nel 2006 (il libro uscì nel 2007), quando ancora nessuno metteva in discussione il sistema del Var e della sua inefficacia basata sull'ipotesi gaussiana, e quando la crisi ancora era lontana. Ecco cosa disse a tal proposito:
Come se non avessimo già abbastanza guai, le banche oggi sono molto più vulnerabili al Cigno nero e alla fallacia ludica (nda, il confondere rischio e casino), con il loro staff di "scienziati" che si prendono cura dei rischi. Il gigante JP Morgan ha messo in pericolo il mondo intero introducendo negli anni novanta il Risk Metrics, un metodo fasullo per gestire i rischi delle persone, che provoca l'uso generalizzato della fallacia ludica [...] (si sta diffondendo un metodo analogo di misurazione del rischio chiamato Value-at-Risk). Allo stesso modo, la Federal National Mortgage Association (Fanny Mae), in fatto di rischi sembra essere seduta su un barile di dinamite, vulnerabile al minimo sobbalzo. Ma niente paura: il suo staff di scienziati reputa questi eventi "improbabili".
Non è necessario che ricordi le vicende di Fanny Mae, Freddy Mac e di quel barile "anormale" esploso all'improvviso.
Tornando al nostro piccolo quotidiano, tutto questo porta a una considerazione fondamentale nella gestione del vostro risparmio. C'è un'espressione ricorrente che si sente nel mio universo lavorativo di banche e sim: "rischio calcolato". Ho sempre ritenuto tale espressione completamente priva di significato. Così come credo che "non lo so" sia una risposta tra le più oneste che vi possano dare quando si tratta di rischio finanziario (e non solo), e bisogna avere coraggio per pronunciarla.






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