Il mancato coraggio delle politiche antidroga

Pubblicato il 29 aprile 2009 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Quello della lotta al narcotraffico è uno dei paradossi più inquietanti della società globale. E' un qualcosa che svela quanto profonda sia l'incapacità umana di pensare in modo creativo, quanto forti siano le distorsioni cognitive della popolazione davanti a qualunque cosa venga presentata come spettro e quanto poco coraggiosi siano i politici mondiali davanti a una tale disfatta. La dimostrazione più lampante di quest'ultimo punto è che spessissimo capita di trovare ex leader politici che criticano aspramente le politiche di lotta alla droga che loro stessi avevano contribuito a creare. Lo fece anni fa George Schultz l'ex segretario di Stato di Reagan, lo fanno oggi gli ex presidenti di stati coinvolti più direttamente come Messico, Colombia e Brasile.
Nella gestione della presunta repressione antidroga non cambia sostanzialmente nulla da decenni. I fallimenti sono costanti, anno dopo anno, ma regna un devastante status-quo globalmente impotente in cui i narcos di varia nazionalità fanno il bello e il cattivo tempo. Il mantra è che la droga è brutta e va punita, non importa se le conseguenze sono disastrose; così è, e così deve restare, anche perché spiegare ai cittadini elettori che quello che tutti hanno detto loro sino a oggi è una fesseria è imbarazzante. E' un circolo vizioso da cui non pare ci sia via d'uscita.
Ai piani alti di governi e polizia, che la strada della repressione brutale sia uno spreco di soldi e risorse lo sanno da tempo. Forse, negli anni a venire, l'amministrazione Obama darà un segno di svolta anche da questo punto di vista. Il fatto è che in tempi di crisi lo sperpero della crociata antidroga si fa sentire.
Solo negli Stati Uniti si spendono circa 70 miliardi di dollari all'anno, con il solo risultato di aver avuto un consumo in crescita, un quinto delle carceri pinene di delinquentelli legati al piccolo spaccio e una situazione nel suo cortile sudamericano che sta letteralmente esplodendo. Alla frontiera con il Messico, dove il cartello della droga guadagna esentasse circa 40 miliardi di dollari l'anno (se aggiungiamo i guadagni dei colombiani e dell'oppio afgano, si vede come il contribuente americano continua a pagare per arricchire i narcos), si è creata una situazione da Chicago anni venti. Solo nel 2008 ci sono stati più di 5000 omicidi legati alla guerra alla droga, e le sempre più sofisticate reti del narcotraffico sono utilizzate anche da altre organizzazioni criminali, come quelle che gestiscono il traffico d'armi.
In California un paio di mesi fa un deputato (Tom Ammiano, 67 anni) ha proposto di legalizzare e tassare la marijuana, equiparandola all'alcol, per fare un po' di cassa. Sarebbe certamente una scelta lungimirante perché deprimerebbe molto i costi della giustizia e della polizia, che si potrebbe dedicare alla vera sicurezza dei cittadini e al tempo stesso trasformerebbe una passività pesante in un attivo. Secondo il fisco della California il prezzo della marijuana scenderebbe del 50% mentre il gettito ricavabile sarebbe di 1,3 miliardi di dollari all'anno (più i risparmi strutturali sopra ricordati). Sarà difficile che la proposta passi, ma la California spesso stupisce ed è uno stato in cui anche i repubblicani sono tendenzialmente favorevoli a questo approccio (il governatore Schwarzenegger in primis, firmatario dello storico appello proposto da Friedman anni fa), che però dovrebbe avvenire a livello federale e non di singoli stati. Comunque i sostegni alla proposta sono arrivati da varie parti, compresi giudici e sceriffi come quello di San Francisco.
Chissà, forse la crisi costringerà ad aprire gli occhi e a valutare con realismo che tutte le politiche seguite sino ad oggi, dalla repressione armata allo sradicamento delle colture, dai programmi di conversione agricola e persino all'acquisto dei raccolti dai produttori, non hanno fatto che stimolare ulteriori produzioni e rafforzare ulteriormente la malavita legata al narcotraffico.
All'ultima Conferenza sulla droga dell'Onu, la posizione italiana ingessata sulla linea del rigore cieco si è fatta strada, ignorando gli ultimi dieci anni di disastrosa storia mondiale. Ma da noi questo è normale dato che diamo bonus milionari di buonuscita agli amministratori che hanno distrutto aziende pubbliche. E imprese più fallimentari dell'azienda antidoga globale non credo ve ne siano.
Osservando l'impotenza delle politiche illusorie volte a invitare i contadini poveri dei paesi produttori a passare ad altre colture non illegali, un anno fa Fabrizio Galimberti sul Sole 24 Ore scriveva: "Lo squilibrio tra domanda immutata (quella dei paesi ricchi) e offerta limitata (dovuta al calo supposto di produzione), spingerà in alto i prezzi, cambiando ancora una volta gli incentivi e alzando l'asticella dei costi necessari per spingere all'abbandono delle coltivazioni oppiacee. Senza contare che le soluzioni di mercato mal si adattano a un contesto che non è di mercato. Sia produzione che consumo sono illegali, e il consumo di droga si svolge sotto la cupola di un immenso apparato criminale e di un altrettanto immenso (e costoso) apparato repressivo. La sola soluzione veramente di mercato sta nella liberalizzazione della droga. Ma questo è un altro problema".
Un problema enorme di comunicazione, ma soprattutto un problema di coraggio che affligge i governanti globali.





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