Quegli emuli di Ponzi che non finiscono mai di stupire
Pubblicato il 24 dicembre 2008 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Quando cinque anni fa iniziai a collaborare con questo giornale, il secondo articolo che mandai al direttore raccontava le vicende di un tal Carlo Ponzi, un furbacchione vissuto nel primo novecento passato alla storia per essere l'inventore delle catene di Sant'Antonio finanziarie. Anni prima invece avevo iniziato a scrivere un libro sulla storia della speculazione partendo proprio dalle malefatte di mancati guru e fanfaroni vari, e la storia di Ponzi era una delle chicche più divertenti. Una considerazione ovvia è che i cattivi maestri affascinano sempre; una meno ovvia, anzi quasi pazzesca, è che uno schema ponzi colossale da 50 miliardi di dollari, abbia potuto prendere vita nel bel mezzo della Wall Street del terzo millennio, e coinvolgere il gotha della finanza globale, alcune grandi banche italiane comprese, che come dei pirla di prima categoria si sono fidati, lasciatemelo dire, da quel vero genio che è l'intrepido Bernard Madoff, perché dar vita a un castello di carte di simili proporzioni richiede competenze tali che il povero Carlo Ponzi se le sognava. Rinfresco brevemente la memoria sul passato del nostro "eroe" primordiale.
Carlo Ponzi da Parma, era un emigrato spiantato e fannullone viveva di espedienti. L'unica cosa che aveva imparato a conoscere bene nei primi 15 anni di permanenza in America erano le patrie galere.
La sua vita cambiò quando si mise in testa di speculare sul prezzo di un certo tipo di francobolli internazionali utilizzati tra America ed Europa, che garantivano lo stesso servizio postale, ma che erano venduti a prezzi diversi nei due continenti a causa della altalenante forza delle rispettive valute.
Purtroppo come lui stesso sperimentò, i costi burocratici erodevano praticamente tutto il già risicato guadagno. Inoltre, i tempi per un eventuale accaparramento e rivendita erano molto lunghi. Tuttavia, parlandone con altri, si era reso conto che la sua idea piaceva e pensò bene di sfruttarla come specchietto per le allodole. Fu allora che nacque più famoso schema-truffa della storia. Promettendo guadagni del 50% in 90 giorni, riuscì a coinvolgere nei primi 9 mesi del 1920 oltre 30 mila persone, che in realtà non stavano facendo altro che trasferirsi denaro tra di loro, mentre Ponzi succhiava da ogni passaggio la sua ghiotta percentuale.
Carlo faceva le cose in grande: limousine, uffici sontuosi, segretarie a go-go, giornalisti compiacenti (da questo punto di vista lo stile è sempre quello). La folla lo stava trasformando in un idolo paragonandolo a Marconi e Colombo: "Ma no" diceva lui, "loro inventarono la radio e l'America", "e tu il denaro!" fu la risposta. Se il Madoff poteva vantare qualche aiutino dal sistema, specialmente dalle lobby ebraiche, e sorvegliato con un occhio non proprio vigile dalla SEC, il nostro Carlo agiva pericolosamente in proprio.
Poi qualcuno iniziò a sentire la puzza di bruciato e un'inchiesta del Boston Post fece scoppiare la bolla. Fu la fine. Senza più nessuno disposto a rinnovare i suoi titoli, il povero Ponzi finì presto con le braghe calate. Salito in macchina con quel che restava del bottino, cercò disperato rifugio in un casinò di Saratoga Springs deciso a recuperare le perdite degli investitori. Non vi riuscì. Trascorse un po' di anni in galera cui seguirono altre peripezie di scarso successo, prima di essere rispedito in Italia nel 1934, con l'ordine di restarci. Eravamo nel pieno del vigoroso ventennio e Carlo, uomo che tornava ad arricchire la patria dopo aver fatto "fortuna" in America, fu "saggiamente" salutato dal Duce come un grande esperto di finanza (non fu il peggiore dei suoi errori). Dopo i primi passi falsi, Ponzi capì che di nuovo era meglio cambiare aria e si trasferì in Brasile. Morì in miseria a Rio nel 1949, ma il suo nome e il suo esempio non sono mai stati dimenticati.
Oggi di cosa ci si fidava? Qual era la "grande idea" di Madoff? La solita baggianata del "grande esperto", abile e ben informato trader che grazie a privilegi e presunte abilità avrebbe garantito guadagni costanti in ogni condizione di mercato. Con cosa? Ma con gli hedge fund, ovviamente, sempre loro. Non vado oltre nella pappardella, non so quanti articoli ho già scritto al riguardo, ma il mondo, e neppure i banchieri, paiono averlo capito: il mercato non lo si batte mai con continuità, se no non sarebbe il mercato. E gli hedge fund sono talmente tanti che da anni non sanno più dove rosicchiare quegli extra rendimenti che erano possibili quando a guidare la partita erano Soros e pochi altri.
Ma il fascino del "grande dritto" non muore. Prendete una famiglia assai facoltosa, un'istituzione, una società, una fondazione, persino una banca (come si è visto) e prendete un furbone abile soprattutto a presentarsi bene, spacciandosi per quello che ha un sistema per far cose grandiose sia col bello che con il cattivo tempo. Poi prendete un consulente serio, noioso che vi dice la verità, e cioè che movimentare troppo il portafoglio fa male, che di guadagnare sempre non se ne parla, che nessuno è in grado di sfruttare con continuità gli alti e bassi (se non con della gran fortuna, e nessuno è Gastone), che bisogna pianificare bene e che soprattutto bisogna aspettare. "Che barba!", è la reazione tipo. Il fanfarone allora svolazza sicuro presentando report in volumi di pelle umana, sino a che arriva l'impallinata, ma magari nel frattempo un gruzzoletto se lo è fatto.
Serviranno a qualcosa queste mie parole? Assolutamente no, perché la noia non piace a nessuno, anche se Peter Lynch, il più grande gestore di fondi di sempre, diceva di fare gli affari migliori là dove Wall Street sbadigliava. Nel riparleremo per fine anno, intanto, Buon Natale a tutti.







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