Pubblicato il 22 ottobre 2008 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Walter Bagehot uno dei grandi padri dell'informazione economica
(fu il primo direttore di The Economist) scrisse nel suo classico Lombard Street
(1873), "Tutte le persone toccano il massimo della credulità quando
sono al massimo della felicità. E nell'estate del 1929 gli americani
erano proprio al massimo della credulità, e anche i più ferrati
in economia come Irving Fisher, uno stimato accademico di Yale, erano della
partita. Il prof., pochi giorni prima del crollo, pronunciò infatti una
frase infelice destinata a segnare la fine di un'epoca: "il prezzo delle
azioni ha raggiunto un altopiano permanente"!
Negli ultimi tempi non si fa che evocare lo spettro della Grande Depressione
seguita al '29. Quasi tutti ne hanno sentito parlare nella loro vita, ma forse
non molti tra i lettori dei quotidiani sarebbero in grado di riferire con esattezza
cosa accadde veramente negli anni venti. Avevo tralasciato questa crisi durante
la mia carrellata di qualche settimana fa, ma dato l'evolvere degli eventi,
sarà bene darci un'occhiata, anche se superficiale, vista la complessità
della faccenda.
Il motore di tutto il boom di borsa di quegli anni era in realtà un classico
che miete vittime da sempre: si teorizzava l'inizio di una "nuova era",
e le opportunità offerte da settori in forte sviluppo degenerarono in
una mania incontrollata che finì in un disastro. Un po' come accadde
per i titoli legati al web tra il 1998 e il 2000. Ma le stelle degli anni venti
erano oggetti più concreti della posta elettronica: automobili e radio
dominavano la scena.
Henry Ford era all'apice del successo mentre Walter Chrysler e William Crapo
Durant (il fondatore della General Motors - in questi giorni sull'orlo del fallimento)
erano ai vertici dei più grossi pool di speculatori del paese.
Anche la rivista Barron's, che molti decenni dopo avrebbe messo in guardia dalla
follia internet prima che la bolla scoppiasse, nell'aprile del 1927 parlava
di una "nuova era senza depressioni", mentre il Segretario del Tesoro
Mellon nel '28 affermava: "Non c'è motivo di preoccuparsi. L'alta
marea di prosperità continuerà". JK Galbraith commentò
così le sue parole:
"Mellon non sapeva, come non sapevano le altre persone in vista che allora,
e in seguito, fecero dichiarazioni analoghe. Le dichiarazioni di questo tipo
non erano previsioni: non era da supporre che gli uomini che le facevano avessero
il privilegio di vedere nel futuro meglio di altri. Mellon partecipava ad un
rito che, nella nostra società, è considerato estremamente efficace
per influire sul corso del ciclo economico. Affermando solennemente che la prosperità
continuerà, si può contribuire, così si crede, ad assicurare
che la prosperità effettivamente continui. Specialmente fra gli uomini
d'affari è grande la fede nell'efficacia di tale formula magica".
Se le automobili erano il vero motore del boom, fu la radio che stimolò
maggiormente i sogni e le sensazioni degli americani. La Radio Corporation of
America era l'emblema del nuovo corso, ed era sia il principale emittente che
il maggior produttore di radio. Per dare un'idea del fenomeno, il valore degli
apparecchi venduti nei primissimi anni venti ammontava a circa 50 milioni di
dollari contro gli oltre 800 di fine decennio.
Una delle idee portanti della nuova era consisteva nella convinzione che il
concetto di ciclo economico fosse superato. Grazie alle nuove tecnologie i sali
e scendi del mercato si dicevano appartenere al passato e di conseguenza anche
il prezzo delle azioni doveva mantenersi costantemente al rialzo. Questa fallace
sicurezza portò ad una delle pratiche più deleterie di tutto il
decennio e che letteralmente esplose nel biennio '28-'29: i prestiti garantiti
da azioni.
Era un modo per usufruire dei vantaggi offerti dai rialzi del mercato senza
però il limite finanziario imposto dalla propria disponibilità
di denaro. Le banche, infatti, anticipavano, a tassi sempre più elevati,
sino al 90% dell'importo necessario alle operazioni di borsa. La garanzia del
prestito consisteva nel valore dei titoli acquistati e l'investitore avrebbe
dovuto aumentare il margine di garanzia nel caso (ritenuto impossibile) che
il titolo avesse perso valore. Chi disponeva di 1000 dollari, per esempio, poteva
acquistare 10 pacchetti da 1000 dollari anticipando solo il 10% del controvalore
complessivo. I titoli erano però di sua totale proprietà così
come lo erano i relativi rialzi. Con il mercato che raddoppiava ogni anno, i
guadagni venivano moltiplicati e i tassi elevati sui prestiti non rappresentavano
certo un problema per i patiti della borsa.
La Federal Reserve cercò di contenere il fenomeno iniziando dal 1928
ad alzare il tasso di sconto, ma non servì a molto: pur di avere soldi
in prestito gli speculatori erano disposti a sostenere tassi sempre più
alti. Non era così per il paese nel suo complesso. La banca centrale,
infatti, non poteva alzare eccessivamente i tassi, poiché avrebbe finito
per penalizzare l'intera economia, mentre gli accaniti speculatori sarebbero
rimasti del tutto indifferenti a qualche punto di interesse in più da
pagare alle banche.
Una delle critiche successive che furono rivolte all'amministrazione politica
del tempo fu che la Federal Reserve continuò nella sua politica di stretta
monetaria anche negli anni successivi al '29. Non aumentando l'offerta di moneta,
i tassi restarono elevati anche a crisi scoppiata frenando così la sospirata
ripresa, che sicuramente sarebbe stata maggiormente stimolata da una politica
monetaria più distensiva. Un grave errore ben noto ai banchieri di oggi.
Sul mercato finì anche una gran quantità di prestiti di matrice
non bancaria. Gli investitori newyorkesi, disposti a pagare il 12, 15, o anche
il 20% per avere denaro da investire in borsa, fecero gola a molti e una valanga
d'oro iniziò ad arrivare da tutto il mondo. Parlando dell'atmosfera che
si respirava nel novembre del 1928 il giornalista e storico americano Frederik
L. Allen scrisse nel '31: "Naturalmente i tassi erano alti come non mai;
ma questo, si disse con fiducia, era semplicemente un segno di prosperità,
un segno che il popolo americano stava comprando in acconto una partecipazione
nel futuro progresso del paese. E i tassi? Oscillavano tra l'8 e il 9%; un po'
altini, forse, ammisero i rialzisti, ma che male c'era se la gente era disposta
a pagarli? Gli affari non ne stavano risentendo, anzi stavano andando bene come
non mai. La Nuova Era era arrivata, e l'abolizione della povertà era
solo dietro l'angolo".
Purtroppo i prezzi dei titoli erano ad un livello tale che non stavano scontando
più solo il futuro, ma tutta l'eternità! E poi arrivò il
crollo, ma ne parleremo la prossima settimana.