Il mercato è morto. Viva il mercato!


Pubblicato il 1 ottobre 2008 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Mercoledì scorso avevo scritto che dopo ogni crisi c'è qualcuno che ricomincia, e che chi arriva dopo costruisce e prospera grazie ai morti e ai feriti della crisi precedente.
Mi ha fatto piacere leggere quello stesso giorno sul Sole 24 Ore un articolo di Mario Platero in cui già si facevano i nomi di coloro che si stanno preparando a salire sulla giostra al posto delle defunte Merryl, Lehman &C. Nancy Pelosi, pomposa e banale (per non dire stupida) come lo sono tutti i politici in situazioni come questa, avrà anche detto che la festa è finita, ma loro stanno già preparando le bottiglie. "E' morto il Re, viva il Re", per usare le parole di Platero. Cioè viva il nuovo Re. Perché il mercato è ancora con noi; è solo cambiato un gruppetto di giocatori.
Eppure in queste settimane molti hanno chiamato il becchino credendo il mercato morente. Alcuni lo hanno fatto con subdola soddisfazione per la sconfitta di un nemico (e temo saranno assai delusi a breve); altri, formalmente più seri, ma anche più furbi, hanno trovato nella situazione attuale un terreno fertile per fare dell'insano populismo no global, ma in salsa tremontiana fa sempre una buon audience. E fortuna che al governo italiano ci dovevano essere i liberali!
Poi c'è un divertente nugolo di parolai della finanza, di commentatori col dono del melodramma. Sono quelli che col fazzoletto in mano piangono sofferenti la morte addirittura del capitalismo per via delle nazionalizzazioni, si sono scatenati specialmente per quelle di Fannie Mae e Freddie Mac, senza aver capito, tema, nulla di quel che accade.
Per la cronaca, Freddie e Fannie erano esattamente quello che un mercato non deve avere: un'anomalia tutt'altro che capitalistica, e proprio per la sopravvivenza del vero mercato è bene che siano state nazionalizzate. Facevano parte del modello tanto caro alla grande industria italiana de dopoguerra (che qualcuno al governo ancora oggi rimpiange), quel modello cioè che prevede la privatizzazione dei profitti (che vanno in parte a foraggiare una classe politica parassitaria) e la socializzazione delle perdite.
Francamente c'è da restare stupefatti davanti a chi piange la morte del capitalismo per via della fine di questo sistema. C'è da sperare anzi che ricominci proprio da questa crisi, e che la politica smetta di metterci le mani sopra limitandosi a fare poche regole, ma vere, e lasci fare gli economisti agli economisti.
Risollevarsi non sarà un processo rapido, costerà un sacco di denaro e bisognerà stringere la cinghia ben più del solito; ma il mercato funziona proprio per questo. Non è un meccanismo perfetto, e dissesti come quelli recenti (che nelle scorse settimane abbiamo visto essere tutt'altro che delle novità) proprio grazie al funzionamento dell'economia di mercato vengono assorbiti da Stati che sono ancora solidi e che riescono ad intervenire prima del dissesto totale. Quando collassa un sistema statalista, dirigista, protezionista e chiuso, è lo Stato stesso a fallire senza più scampo per nessuno.
Perché invece non si impara qualcosa dai recenti eventi? Perché non si impara, per esempio, che le banche possono fallire? Che possono fallire in America e lo potranno in futuro anche da noi, proprio quando non te lo aspetti? Faccio notare che le obbligazioni della Lehman Brothers sino al giorno prima che la banca fallisse erano inserite nell'elenco Patti Chiari dell'Abi, cioè l'elenco dei titoli ritenuti "sicurissimi".
E se qualcuno avesse ventilato il suo fallimento un anno prima sarebbe stato preso per catastrofista. Esattamente come capitato con ... devo iniziare l'elenco? Pensate a come giudicavate un anno prima del loro disastro la solidità di: Argentina, Parmalat, Enron, W.Mutual (la più grande cassa di risparmio americana fallita venerdì). Se non ve lo ricordate rinfresco la memoria a tutti con la frase che tante volte mi è stata ripetuta in faccia: "ma vuoi che fallisca!"
Non è mai utile fare il catastrofista, in nessun campo, ma il realista sì. E da realista che conosce il mercato so che il mercato prima o poi le inefficienze le punisce, anche infliggendo a se stesso delle cure drastiche. Perché allora si prende come un assioma assoluto il fatto che le banche italiane non falliranno mai? Ma quale legge divina lo prevede? Ma ne siete così sicuri? Il popolo pare convinto di sì, perché continua imperterrito a mettere gran parte delle proprie uova in obbligazioni delle banche, spesso solo di una. Speravo che con questa crisi perlomeno si fosse capito che un elemento rischio c'è ovunque, e che è pericoloso solo se ignorato, perché altrimenti lo si può gestire.
Ma domenica sera, a cena con amici, sono stato subito disilluso. Stupefatto mi sono sentito dire: "basta, adesso con quello che ho, che non è neanche tanto, non voglio rischiare più nulla: comprerò solo le obbligazioni della mia banca". Come dire: esco dal mercato (che è cattivo) e mi metto al sicuro in banca (che è buona). Contenti voi! In giro per il mondo intanto le banche continuano a fallire o ad essere nazionalizzate. E fortuna che si dice che le banche non siano cosi simpatiche agli italiani. Questo è amore vero, ragazzi! Ma un amore cieco. E' mai possibile che sia così difficile imparare che non si mettono mai tutte le uova in un solo paniere, anche se il paniere ha le fattezze rassicuranti delle solide banche italiane?








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