Pubblicato il 3 maggio 2006 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Non è stato il più grande degli economisti del
novecento, e non ha lasciato dietro di sé teorie rivoluzionarie, ma John
Kenneth Galbraith, scomparso sabato all'età di 98 anni, è stato
senza ombra di dubbio uno dei massimi (forse il migliore di tutti) osservatori
e divulgatori di cose economiche che il mondo abbia mai avuto.
Non starò oggi ad omaggiarlo con il solito trafiletto biografico, ma
lo ricorderò con quello in qui eccelleva: l'ironia, la capacita di analisi,
la piacevolezza della narrazione. E soprattutto con la straordinaria attualità
dei suoi scritti. Leggere per credere. Ne ho scelti due pensati a distanza di
40 anni l'uno dall'altro.
Il primo mi dà anche l'occasione di proseguire il discorso sugli sprechi
che avevo iniziato la settimana scorsa affrontando un tema credo caro a molti:
l'inutilità e la perdita di tempo di gran parte delle riunioni di lavoro,
prodotto di una società che era viziata allora e che viziata è
oggi.
Il secondo… beh, lascio a voi il compito di scoprirlo. Dico solo che per
quanto io e John (mi concedo un po' di notevole presunzione) ci possiamo sforzare
di scrivere certe cose, credo che la maggior parte dei lettori non amerà
mai, né accetterà di sentirsele dire, con grande gioia di tutti
i furbetti e furboni.
Parlando delle disavventure del presidente americano Hoover al tempo della Grande
Depressione, che si arrabattava in incontri e riunioni prive di senso, Galbraith
descrive ironicamente il rito più che mai vivo ancora oggi della "riunione
inconcludente". Il brano che segue è tratto dal suo libro "Il
grande crollo". Fu scritto nel 1954 e si riferiva a 25 anni prima, ma se
lo avessi citato in modo anonimo, sono sicuro che non avrei avuto difficoltà
a spacciarlo per una recentissima analisi di una certa realtà italiana.
"Gli uomini si riuniscono per molte ragioni nel corso della loro attività.
Hanno bisogno di scambiarsi informazioni o di persuadersi a vicenda. Devono
mettersi d'accordo su una linea d'azione. Trovano la riflessione in pubblico
più produttiva o meno penosa della riflessione in privato. Ma esistono
perlomeno altrettante ragioni per le riunioni destinate a non concludere niente.
Le riunioni vengono tenute perché gli uomini amano la compagnia o, come
minimo, desiderano sfuggire al tedio del lavoro solitario. Essi aspirano al
prestigio che acquista colui che presiede le riunioni, e ciò li porta
a convocare assemblee di cui possano assumere la presidenza. Infine, c'è
la riunine indetta non perché si debbano prendere delle decisioni, ma
perché è necessario creare l'impressione che si sbrighino degli
affari. Tali riunioni sono più che un surrogato dell'azione. Esse finiscono
in gran parte per essere considerate azione.
Il fatto che non si prenda alcuna decisione in una riunione deliberatamente
inconcludente non è normalmente motivo di serio imbarazzo per i partecipanti.
Si sono escogitate numerose formule per evitare il senso di disagio. Così
gli studiosi, che sono grandi appassionati di riunioni inconcludenti, si servono
essenzialmente della giustificazione dello scambio d'idee. Per essi lo scambio
d'idee è un bene assoluto. Ogni riunione in cui si scambino idee è,
quindi, utile. E' una giustificazione quasi a prova di bomba. E' estremamente
difficile che ci sia una riunione di cui si possa dire che non è servita
a scambiare idee.
Venditori e direttori delle vendite, che sono pure importanti professionisti
delle riunioni inconcludenti, hanno comunemente una diversa giustificazione,
una giustificazione con forti accenti spirituali. Dal calore del cameratismo,
dall'incontro della personalità, dallo stimolo dell'alcool e dall'ispirazione
dell'oratoria nasce un nuovo impulso di dedizione al lavoro quotidiano. La riunione
si concreta in una vita più completa e migliore e nella vendita di più
articoli per le settimane e i mesi a venire.
Le riunioni inconcludenti dei grandi dirigenti economici si basano su qualcosa
di completamente diverso per creare l'illusione di una funzione importante.
Non è lo scambio di idee o il vantaggio spirituale del cameratismo, ma
un solenne senso di potenza riunita dà loro un significato. Anche se
non si dice e non si combina nulla di importante, gli uomini importanti non
possono riunirsi senza che la circostanza sembri importante. La parola banale
del capo di una grande società è pur sempre espressione del parere
del capo di una grande società. La mancanza di contenuto è compensata
dalla consistenza patrimoniale che è dietro ad essa."
Passiamo al secondo contributo. Quasi volesse rispondere all'investitore scioccato
di fine millennio, nel 1990 Galbraith scrisse:
"Quando avverrà il nuovo grande episodio speculativo, e in quale
campo si manifesterà? Immobili, mercato mobiliare, arte, automobili antiche?
A queste domande non vi è risposta; nessuno lo sa, e chiunque pretenda
di darla non sa di non sapere. Ma una cosa è certa: ci sarà un
altro di questi episodi e altri ancora. Gli sciocchi, come si è detto,
presto o tardi vengono separati dal loro denaro. E lo stesso accadrà,
purtroppo, a quanti, in un'atmosfera di generale ottimismo, sono sedotti dalla
sensazione di possedere un bernoccolo finanziario. Così è stato
per secoli; così sarà ancora a lungo in futuro."
E' quasi inutile dire che da quando scrisse queste parole, poste a chiusura
di uno dei suoi ultimi lavori, il bellissimo "Breve storia dell'euforia
finanziaria", degli episodi speculativi gravi si è perso il conto,
tanti sono stati, e in quasi tutti quell'irresistibile "sensazione di possedere
un bernoccolo finanziario" ci ha messo lo zampino in modo pesante.
Caro John, non ti avranno dato il Nobel, forse perché hai usato più
le parole e meno le formule matematiche, ma se tutti avessero letto i tuoi libri
il mondo oggi sarebbe molto più ricco, e anche, credo, meno pieno di
cialtroni.