Pubblicato il 27 agosto 2008 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
La seconda puntata di questa storia della speculazione ci porta
dritti nel decennio dei Beatles. All'inizio dei mitici anni '60 negli Stati
Uniti si verificò una mania speculativa alimentata dalla passione per
l'elettronica. Era una tecnologia che stava muovendo i primi passi, ed anche
se l'era dei personal computer ancora doveva vedere la luce, le azioni legate
ai nuovi settori facevano faville nel mercato newyorkese. Tra il 1959 e il 1962
ci fu un numero smisurato di nuove emissioni, come mai prima di era verivicato.
Per dare più colore alla faccenda, molte aziende si presentarono con
nomi spaziali, in cui non mancavano le sigle del tipo -onics, -tron, space come
la Astron, la Videotronics, ecc. Molte aziende cambiarono nome per stuzzicare
la golosità degli investitori e mandare a buon fine un'offerta pubblica
di titoli. La American Music Guild, per esempio, che vendeva a domicilio giradischi
e registratori, prima di quotarsi in borsa si trasformò nella nuovissima
e più alla moda "Space Tone"! I prezzi, non c'è neanche
bisogno di dirlo, decollarono come veri razzi. La bolla esplose nel 1962, poco
dopo le ultime emissioni calde, trascinando tutti, buoni e cattivi, in una precipitosa
caduta.
Un decennio dopo, come per reazione agli episodi speculativi precedenti, che
avevano riguardato più che altro piccole società, si riuscì
a creare una speculazione esagerata non sulle ultime arrivate in borsa, ma sui
colossi del mercato, che venivano chiamati i Nifty Fifty (letteralmente, i "migliori
cinquanta"). Il nomignolo, che ogni tanto ritorna nelle cronache giornalistiche,
indicava le blue chips del mercato americano, aziende solide, storiche, ad elevatissima
capitalizzazione, ormai super consolidate e che si pensava non avrebbero mai
riservato brutte sorprese. Si parlava a quel tempo di one-decision stocks, "decisione
di investimento a senso unico": una volta acquistato un pacchetto di Nifty
Fifty i problemi di gestione erano cosa passata, i titoli avrebbero fruttato
in eterno e non era più necessario preoccuparsi di quando e se entrare
nel mercato. IBM, Sony, Polaroid, McDonald's, ecc. divennero presto l'oggetto
del desiderio di tutti. Il problema fu che a farsi coinvolgere furono soprattutto
le grandi istituzioni finanziarie. Fondi pensione, fondi comuni, gestori patrimoniali
iniziarono a fare incetta di titoli portando il rapporto prezzo/utile medio
sopra 60, più del triplo di quello che sarebbe stato pochi anni dopo.
Nessuno avrebbe avuto niente da obiettare data la notorietà delle grandi
aziende, e nessuno avrebbe potuto sollevare obiezioni accusando i fondi di essersi
avventurati in imprese senza solide basi finanziarie. In questo caso infatti,
a differenza del passato, il problema non stava nei titoli (le aziende erano
solide e chi acquistò successivamente ottenne nel lungo periodo buoni
risultati), ma nell'illusione di aver trovato una nuova miniera d'oro per la
quale si poteva pagare qualsiasi prezzo. Inoltre non ci fu mai una lista ufficiale
unica di queste "migliori cinquanta". Solitamente si accettano come
punti di riferimento due selezioni: quella della Morgan Guaranty Trust e quella
della Kidder Peabody, che però tra loro avevano in comune solo 24 titoli!
A trent'anni di distanza, sul Journal of Investing dell'autunno 2002, è
stato fatto un confronto tra il rendimento di queste due liste di Nifty Fifty
e l'indice S&P500, che rappresenta le 500 aziende più rappresentative
del mercato. In entrambi i casi il rendimento annuo è stato inferiore
a quello dell'indice (circa un punto percentuale in meno), ma la cosa più
interessante è che il rendimento di quelle che possiamo definire le superbe
24, presenti nelle due liste, fu molto peggiore (9,55% contro 12,01%), tanto
che la one-decision avrebbe portato ad avere alla fine del 2001, un capitale
del 50% inferiore rispetto a chi avesse investito su tutto il mercato. Cosa
che alla fine ripaga sempre se lo si fa senza attendersi risultati immediati
e senza entrare troppo di corsa pensando altrimenti di poter perdere l'ultimo
treno e senza saltar giù allo stesso modo durante la discesa. Ultimamente
lo hanno fatto in parecchi, per la gioia futura di chi ha comprato i loro titoli
in saldo.
La prossima settimana ci sposteremo nella Francia del primo Settecento dove
agì uno dei personaggi più affascinanti della storia della finanza:
John Law, passato alla storia come "l'uomo che inventò il denaro".