La mania ferroviaria nell'era vittoriana
Pubblicato il 20 agosto 2008 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Inizio oggi un viaggio che durerà sei settimane e che ci porterà alla scoperta di alcune delle più clamorose bolle speculative che si sono verificate negli ultimi quattro secoli, da quando cioè le prime pionieristiche borse valori hanno fatto la loro comparsa in Europa. Non seguirò un ordine strettamente cronologico, né racconterò ogni singola storia. Premetto già che non leggerete nulla né della celebre bolla dei tulipani d'Olanda del Seicento (tra l'altro già scrissi un articolo su di essa in passato, lo trovate nel mio sito) né sul crollo del '29 o su quello del Giappone di venti anni fa, né sull'Argentina. Tutte cose oramai molto note, anche se non nei dettagli. Ci sono state infatti molte altre "bellissime" bolle, ed altre né scoppieranno in futuro, e serviranno, come sempre, a regolare il funzionamento del mercato, facendo ogni volta vittime più o meno illustri. Una di esse, come scopriremo, fu niente meno che il grande Isaac Newton. Oggi però partiremo salendo a bordo di un treno.

In soli trent'anni, dal 1850 al 1880, il commercio mondiale triplicò. La rivoluzione industriale si era estesa dall'Inghilterra a tutta l'Europa e all'America. Tra i tanti fattori storico-economici che favorirono il processo di industrializzazione, quello di gran lunga più importante fu la nascita della ferrovia, che rivoluzionò il sistema dei trasporti e diede un impulso straordinario all'industria siderurgica, tanto che la parte centrale del XIX secolo fu detta anche l'età del ferro.
Nel 1802 venne brevettata la prima locomotiva a vapore che esordì nel 1804 trainando il primo treno della storia: 5 vagoni percorsero 16 km in due ore. Si trattava tuttavia di un modello primordiale che avrebbe subito molti cambiamenti sino a che colui che è considerato il padre della moderna ferrovia, George Stephenson, inaugurò la prima linea regolare per trasporto merci tra le città inglesi di Darlington e Stockton, il 27 settembre 1825. Il periodo più importante per lo sviluppo e lo sfruttamento industriale e sociale della ferrovia si ebbe tra il 1850 e il 1870. La sola rete inglese triplicò il chilometraggio nel corso di quel ventennio, e migliaia di chilometri di strade ferrate spuntarono come funghi anche in altri stati d'Europa. L'Italia era un po' al margine di questo processo e solo verso la fine del secolo le nostre ferrovie raggiunsero livelli accettabili.
Tutto questo però era nato sulle ceneri di una grande mania speculativa collettiva che, manco a dirlo, portò alla rovina migliaia di persone. Il copione della storia è sempre quello: il miraggio di guadagni abnormi, un'informazione manipolata, una buona dose di irregolarità contabili, tanto per gonfiare un po' i numeri. E ovviamente c'era poi il boss della situazione, tale George Hudson detto il "Re delle ferrovie", che monopolizzò l'attenzione iniziale, ma finì i suoi giorni in miseria, dopo essere passato per il Parlamento, ed effigiato pure in una statua dedicatagli dai neo ricchi (per poco) investitori ferroviari. Le banche furono sovresposte nel settore, il credito esasperato e via dicendo. Insomma, tra il 1844 e il 1847, nell'Inghilterra vittoriana, accadde di tutto, fino al classico crollo, quando le azioni ferroviarie persero più dell'85% del loro valore.
Uno degli aspetti più interessanti però, fu lo scenario che fece da sfondo a tutta la storia e che resta un caso forse unico di pura allucinazione collettiva. Si è spesso paragonato il boom delle ferrovie al boom internet. La rivoluzione tecnologica di fine anni '90, che apriva autostrade telematiche e vie di comunicazione prima d'ora impensate, a prima vista ben si accosta alla rivoluzione dei trasporti di metà '800. Tuttavia il fenomeno, a mio giudizio, è ben distinto per un motivo fondamentale: la fisicità. La grande bolla che si formò in un paio d'anni a partire dal 1844, nasceva dalla speranza di ottenere guadagni mirabolanti attraverso la costruzione di strade ferrate. Le azioni del settore furoreggiavano, le sottoscrizioni andavano a ruba e la crescita indiscriminata faceva sorgere binari in tutto il paese. Il business quindi era ben visibile, ben piantato per terra! I treni venivano utilizzati, si pagavano biglietti, i costi erano abbastanza chiari; oltretutto locomotive e vagoni venivano costruiti in fabbriche che assumevano nuovi lavoratori e la richiesta di materie prime aveva rimesso in azione l'economia.
Da questo punto di vista il fenomeno internet era molto più oscuro. Nonostante l'utilizzo dei computer fosse in crescita ed il nuovo modo di comunicare fosse relativamente facile da apprendere, il business che reggeva la "macchina" era decisamente di comprensione meno immediata. Anche Warren Buffet, considerato uno degli investitori più esperti al mondo, negli anni del boom tecnologico si tenne lontano dalle azioni high tech dichiarando apertamente di non capire assolutamente come funzionasse l'attività sottostante. Ma se le parole di Buffet vennero oscurate dai media che strombazzavano a quattro venti le gioie della rete, non così accadde per le ferrovie.
Nessuno dubitava della bontà dell'innovazione, ma gli eccessi, proprio per la visibilità fisica del business, erano abbastanza evidenti e mai nella storia precedente a quei giorni, né in quella che sarebbe venuta, una crisi fu tanto annunciata. Il Times e l'Economist, misero più volte in guardia la collettività e ci fu una vera battaglia tra questi quotidiani, che comunque a pagamento ospitavano la pubblicità delle nuove sottoscrizioni, e un nugolo di nuove pubblicazioni sorte tra il 1844 e il 1845. Si contavano 18 giornali ferroviari tra cui il Railway Times, il Railway Telegraph, la Railway Review, la Railway Gazzette, il Railway Engine ecc., anche se poi solo tre sopravvissero alla bolla. La cosa più curiosa è che tutti erano certi del fallimento di alcune imprese. L'Economist del 25 ottobre 1845 ricordava che a volte c'erano diverse proposte per realizzare la stessa linea ferroviaria, ma che ovviamente solo una si sarebbe concretizzata. Tuttavia si vendevano allegramente le partecipazioni di tutte le proposte perché, come notò anche il Times poco tempo dopo, tutti pensavano che sarebbero stati più furbi degli altri, così da riuscire a rivendere in tempo a qualcun'altro il proprio pacchetto di titoli. Cosa che, da sempre, non accade mai.
La settimana prossima faremo un salto di un secolo che ci porterà nei favolosi anni sessanta.



George Hudson, il re delle ferrovie
George Hudson, il re delle ferrovie

Un manifesto ferroviario dell'800
Un manifesto ferroviario dell'800





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