Pubblicato l'11 giugno 2008 su La Voce di Romagna in prima pagina
di Simone Mariotti
La settimana scorsa, mostrando le mie perplessità sul
possibile ritorno al nucleare, ho suscitato la reazione di qualche lettore.
Un amico poi mi ha fatto notare come non avessi dato spazio a nessuna alternativa
credibile, non essendo tale la riduzione dei consumi.
Ad evitare fraintendimenti, non sono a priori contro il nucleare. Tuttavia,
quelli sottolineati la settimana scorsa sono solo alcuni dei problemi che circondano
la questione, e sarebbe bello chi fa pianificazione energetica in Italia non
ragionasse allo stesso modo dei politici riminesi quando (raramente) pensano
alle nostre fogne: al massimo arrivano a fine legislatura.
Il nucleare ha infatti tutte la caratteristiche per diventare tra breve tempo
un pessimo affare, soprattutto perché lo si fa dipendere dal prezzo del
petrolio, che non è assolutamente detto continui a crescere in eterno.
Lascio perdere il discorso sull'effetto serra ed il nucleare pulito, perché
i principali sostenitori del nucleare sono anche i maggiori sostenitori degli
"ambientalisti" alla Lomborg, il danese che ha spopolato con il suo
libro scettico anni fa, e che dice che in pratica non c'è nessun effetto
serra, che le dinamiche del pianeta sono ingovernabili dall'uomo e che tutto
va avanti così da sempre, e da solo si sistemerà. Ma se è
così, mi chiedo, se ha ragione Lomborg, perché non continuare
col carbone, che bisogno c'è del nucleare? E' una della tante contraddizioni
dei nuclearisti assoluti. Tuttavia si continuerà a fare proprio così,
a bruciare carbone e petrolio assai a lungo ancora.
Per i motivi detti la settimana scorsa, a cui aggiungo il problema delle scorte
di uranio, tutt'altro che abbondanti e tutt'altro che in mani sicure, l'idillio
tra l'Italia e il nucleare non sboccerà più, perché quando
ci arriveremo, tra troppi anni, la produzione sarà sempre molto bassa
e molto probabilmente assai più costosa di oggi.
Le alternative? Sono io a chiederle per i prossimi 10 anni, anzi per i prossimi
20, perché se tra 10 anni apriamo i primi due o tre impianti, prima di
essere a regime con una minima quantità di centrali in grado produrre
qualcosa di più di un 5% della capacita produttiva totale, di anni che
ne vorranno altri 10.
Non bisogna illudersi di riuscire a soppiantare carbone ed il petrolio troppo
in fretta, e le scelte di oggi vanno fatte considerando la realtà, che
nel futuro, magari al calare improvviso del costo del petrolio, porteranno ad
un ritardo di tutte le costosissime nuove avventure atomiche con notevole spreco
di denaro. Oggi si da per scontato che il petrolio non cali più di valore
così come 10 anni fa si dava per scontato il contrario, con i conseguenti
errori di politica energetica. Riporto un brano che Leonardo Maugeri, capo delle
strategie di sviluppo dell'Eni, scrisse per il Sole 24 ore qualche mese fa:
"Poi c'è il catastrofismo puro e semplice. Ormai è convinzione
tanto diffusa quanto fallace che la capacità del nostro pianeta di produrre
petrolio si stia riducendo, e che entro pochi decenni il greggio scarseggerà.
Poco importa che i profeti di sventura siano costantemente smentiti dai fatti,
e che le analisi più serie dicano il contrario. Ricordo che, nella seconda
metà degli anni 80 e in tutti gli anni 90, era quasi impossibile convincere
gli analisti finanziari che l'allora sovrabbondante disponibilità di
petrolio prima o poi sarebbe finita, se non si fossero fatti investimenti coraggiosi
in esplorazione e sviluppo di nuovi giacimenti. Il mercato era così convinto
che il petrolio fosse ormai diventato una materia prima sempre meno importante,
con spazi di crescita ridotta, che puniva implacabilmente chi presentasse piani
di investimento incapaci di redditività a due cifre - in uno scenario
di prezzo del petrolio non più alto di 18 dollari a barile per 20 anni!
Per questo motivo, nel mondo non ci sono stati investimenti adeguati. E per
questo motivo la capacità produttiva non utilizzata oggi è così
ridotta. D'altra parte, il petrolio non è un'eccezione. In quegli stessi
anni, molte materie prime subirono la stessa sorte del greggio: nel mondo si
chiudevano miniere d'oro, di rame, di uranio, semplicemente perché il
prezzo di questi beni era troppo basso per sostenere i loro costi di estrazione
- figuriamoci per avventurarsi in nuove avventure esplorative. Ma, così
facendo, si fertilizzò il terreno della crisi che stiamo vivendo. Così,
per esempio, l'uranio era arrivato a un prezzo medio di 13 dollari a chilogrammo
nel 2000, ma nel maggio del 2007 ha raggiunto il suo picco a oltre 200 dollari
(altro che petrolio!)".
Per quanto dolga constatarlo, la realtà è che dai combustibili
fossili non ne usciremo tanto presto, almeno per una generazione ancora, e se
vogliamo ridurre l'inquinamento (a livello globale) e la dipendenza dall'estero
(per quel che riguarda l'Italia), l'unica via è la riduzione dei consumi
ed il contenimento degli sprechi, ma a questo ci penserà il mercato quando
i prezzi diventeranno insostenibili.
Le fonti rinnovabili illumineranno le prossime generazioni (se si continua a
fare ricerca), ma non la nostra. E per l'Italia anche il nucleare non sarà
d'aiuto; e dovrebbe far riflettere che un nuclearista convinto della prima ora,
il Prof Alberto Clò (forse il maggior esperto petrolifero/energetico
italiano assieme a Maugeri), che strenuamente si batté venti anni fa
per non far chiudere le centrali nucleari, oggi sia molto, molto perplesso sulla
fattibilità di un recupero del tempo perduto; si può anche partire,
ma se è per i costi che lo facciamo la bolletta italiana per 20 anni
non migliorerà. Se lo farà sarà perché il petrolio
tornerà a scendere, cosa di cui, a dire il vero, non mi meraviglierei
affatto.